Riusciremo a fermarci prima dell’irreparabile?

di Gianmaria Spagnoletti

L’UNIONE EUROPEA, SMESSA LA RETORICA DELLA “PACE”, CORRE A DISTRIBUIRE ARMI A PIÙ NON POSSO. ANCHE L’ITALIA E’ COINVOLTA ED HA GIÀ AVUTO INGENTI DANNI ECONOMICI…

Scriviamo mentre tutti i mass media si stanno occupando della guerra fra Russia e Ucraina. In pochi giorni di conflitto si rischia già un’escalation globale. Ovviamente TV e giornali sono schierati tutti da una parte: quella di Zelensky, ambiguo capo di Stato ucraino sostenuto da tutti i poteri occidentali (e questo basta perché i mass media lo classifichino tra i “buoni”), mentre Putin viene presentato come il “Grande Satana”, “pazzo e visionario”.

Dispiace infinitamente che il conflitto sia già costato migliaia di vite di russi e ucraini, ma è anche vero che la NATO (un’alleanza militare residuo della Guerra Fredda) ha continuato a espandersi inglobando Stati dell’ex Patto di Varsavia e installando batterie di missili a un tiro di schioppo dalla Russia (i missili possono coprire centinaia di Km e raggiungere Mosca in pochi minuti). Con ogni probabilità, facendo un maggiore ricorso alla diplomazia, questo conflitto si sarebbe potuto evitare.

A noi non interessa schierarci da una parte o dall’altra: di fronte a un conflitto che può allargarsi in maniera imprevedibile (forse anche la Cina pensa di regolare i conti con Taiwan), non stiamo neanche a badare alle tifoserie che si sono formate sui Facebook e che si tolgono l’amicizia a seconda delle idee reciprocamente difformi: chissà se pensano di stare aiutando lo “sforzo bellico”. Il miglior consiglio che possiamo darvi, oltre a quello di non litigare tra di voi, è di non fidarvi delle “narrazioni” ufficiali, cercare fonti alternative e tentare una propria sintesi dei fatti.

Lascia quantomeno basiti (a dir poco) vedere che tutti mandano armamenti all’Ucraina. L’Unione Europea, che per propaganda “ci ha garantito settant’anni di pace” fino all’altro ieri, si è affrettata a fornire una grande massa di armi ed equipaggiamenti all’Ucraina. L’Italia ha spostato i propri aerei da caccia in Romania e persino la Germania si riarma, mentre la Svizzera congela i beni riconducibili a persone e società russe. Ma nell’art. 11 della Costituzione l’Italia non ripudiava la guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”? Forse a parole; nei fatti, anche chi si riempie la bocca della parola “pace” quando gli conviene si fa persino fotografare con l’elmetto e si produce in discorsi pieni di retorica e “patriottismo” (tragicomica ripetizione di un’altra epoca….), mentre d’altro canto i più cauti sull’intervento militare sono proprio i generali delle Forze Armate italiane!

Vabbé che ormai la Costituzione è ampiamente calpestata, ma dopo una lunga pandemia ci mancava solo un conflitto armato per prolungare i nostri “anni del terrore”, visto che l’Italia è esposta sia geograficamente che militarmente (i droni di sorveglianza Usa partono da Sigonella, e, inoltre, sono custodite diverse testate nucleari (50 nella base di Aviano e 40 nella base di Ghedi) nell’ambito del programma “Nuclear Sharing” della Nato. Ovviamente questa presa di posizione, dovuta a “interessi” sovranazionali più pesanti di quelli dell’Italia (in primo luogo quelli degli Stati Uniti), si ritorcerà contro di noi: le banche italiane sono tra le più esposte tra quelle europee (per 25 miliardi di dollari) ed è prevedibile che la Russia chiuderà le proprie forniture di gas, di cui l’Italia (notoriamente dipendente dall’estero per gran parte delle risorse energetiche) era tra i maggiori acquirenti. Dopo aver detto no a varie possibilità di attingere al proprio territorio per avere da sé almeno una parte di queste risorse, lo Stivale rimane a secco. Insomma, ci aspetta un 2022 “da brividi”. Gli aumenti nelle bollette e i rincari di alimentari come il pane e la pasta sono solo un “antipasto” di quello che sarà. Certo, pensare di mettere il cappio al collo alla Russia con delle sanzioni economiche è a dir poco ridicolo. Ma credere di poter sottomettere quello Stato con un conflitto aperto è sciagurato.

A chi vuol fare a tutti i costi la guerra alla Russia, sarebbe da consigliare la lettura di “Guerra e Pace” di Tolstoj o, per lo meno, un suo riassunto (sono quattro volumi!) per capire che fare guerra alla Russia non è solo impossibile: è un suicidio.

Napoleone la attaccò il 21 giugno 1812, all’apice della sua potenza, con 700 mila uomini (un numero immenso per quei tempi). L’inizio in piena estate avrebbe dovuto garantire il successo della campagna; ma nonostante due battaglie contro le truppe francesi alla Beresina e Borodino, le armate russe continuavano a evitare di impegnarsi in uno scontro decisivo preferendo ritirarsi, mentre il caldo soffocante opprimeva le truppe della Grande Armata, i temporali rendevano impraticabili le piste, trasformate in mari di fango, e i cavalli cominciavano a morire di fame.

I fanti non stavano meglio: affaticati dalle marce, indeboliti dalle malattie, potevano contare solo su rifornimenti limitati dato che, secondo i piani, l’offensiva sarebbe dovuta essere rapida e di breve durata. Le truppe russe continuavano a ritirarsi, incendiando i loro stessi villaggi e campi coltivati, secondo la tattica della “terra bruciata”. Mosca, in preda alle fiamme, fu raggiunta da Napoleone alla metà di settembre, mentre dalla Siberia si metteva in moto una perturbazione fredda: il “Generale Inverno”.

Col peggiorare del tempo, i russi ripresero l’iniziativa ingaggiando diverse battaglie; i francesi evitarono di essere distrutti in più occasioni, ma subirono perdite sempre più ingenti e dovettero via via abbandonare i carri e anche i feriti. Decimati dai continui combattimenti e fiaccati dalle tormente, alla fine solo 100 mila soldati napoleonici riuscirono a rientrare indenni in Europa.

 

Anche Hitler provò ad attaccare la Russia nella Seconda guerra mondiale agendo in modo simile, ma su scala molto maggiore: il 22 giugno 1941 (dopo 129 anni esatti) iniziò l’Operazione Barbarossa: le armate tedesche erano composte da tre milioni di uomini, accompagnati da migliaia di carri armati, aeroplani, camion. Le linee sovietiche furono colte di sorpresa e letteralmente travolte. Dopo un iniziale successo che le portò ad avanzare fino alle porte di Mosca, le forze dell’Asse si bloccarono a Stalingrado. L’ostinazione di Hitler nel voler tenere le posizioni a ogni costo, l’eccessivo allungamento delle linee di rifornimento, il fango, le temperature a -50 °C che congelavano persino l’olio dei motori, fecero sì che le sorti della guerra si rovesciassero, anche grazie al fatto che i russi spostarono il proprio apparato industriale a Est dei monti Urali, riuscendo a produrre carri armati, cannoni e aeroplani a decine di migliaia, oltre le più pessimistiche previsioni di Hitler (che in un colloquio col generale finlandese Mannerheim, si stupì di avere contro di sé 40 mila carri armati sovietici).

Tra gli alleati dei tedeschi vi era anche un corpo di spedizione italiano, l’ARMIR (Armata Italiana in Russia), che di fronte all’offensiva sovietica andò in pezzi. Le truppe italiane, rimaste senza carburante equipaggiate con un vestiario inadatto, con le armi che si congelavano e le scarpe che si rompevano a causa delle temperature polari, dovettero ritirarsi combattendo per 700 Km contro le truppe russe, dotate di armi più efficienti, cappotti e stivali di feltro “Valenki” che proteggevano i piedi evitandone il congelamento.

La guerra diventò una “parabola discendente” per la Germania: i sovietici, forti di un colossale esercito (con consistenti aiuti dagli Stati Uniti), arrivarono fino a prendere Berlino. Dei 330mila tedeschi catturati a Stalingrado ne tornarono a casa forse 10 mila. Le perdite sovietiche furono assai più ingenti, dell’ordine di decine di milioni di persone. Ne uscì un mondo diviso in due dalla Guerra Fredda: con l’Europa politicamente ridimensionata, a contare erano URSS e Stati Uniti, in un precario equilibrio sancito dalle armi nucleari, il cui uso porterebbe inevitabilmente alla distruzione reciproca dei contendenti e dello stesso pianeta Terra.

Stiamo vivendo una nuova Guerra Fredda come se non ci fosse mai stato un 1991 (l’anno del crollo dell’Unione Sovietica). In conclusione, ignorare la lezione di “Guerra e Pace” potrebbe portare a qualcosa di peggio di una bruciante sconfitta. Bene ha fatto papa Francesco a offrirsi come “paciere” fra le parti in lotta e richiamando i cristiani al digiuno di ieri, 2 marzo 2022, Mercoledì delle Ceneri. Preghiamo perché si possa trovare una soluzione equilibrata, anche se le perdite umane sono state già migliaia.

 

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