Servo di Dio “con tutto l’amore possibile”: la testimonianza del piccolo Curato d’Ars di Puglia

di Giuseppe Brienza

IL “DESIDERIO SENZA TEMPO” DELLA CHIAMATA UNIVERSALE ALLA SANTITÀ. INTERVISTA A DON FRANCESCO ARMENTI, POSTULATORE DELLA CAUSA DI BEATIFICAZIONE DI DON ANTONIO SPALATRO (1926-1954)

Don Francesco Armenti, nato a San Severo (Foggia) nel 1964, è diacono, giornalista e scrittore. Ha pubblicato vari libri e saggi fra i più recenti dei quali segnaliamo Come seme marcito. Padre Pio pane per l’uomo (2009), Francesco Maria Vassallo. La carezza dello Spirito (2010), Oltre le luci. Provocazioni sul Natale (2016) e La mano di Dio ha quattro dita? Sentieri del cuore da Quaresima a Pasqua (2018). Sull’emittente cattolica nazionale Padre Pio Tv conduce la rubrica quotidiana di spiritualità Dritto al cuore. Predica in Italia e all’estero a ritiri e corsi di esercizi spirituali.

È Postulatore per le cause di beatificazione e di canonizzazione e, attualmente, segue la causa del Servo di Dio don Antonio Spalatro, sacerdote nato a Vieste nel 1926 e morto nel 1954 a soli 28 anni, ricordato come il “piccolo Curato d’Ars”. L’abbiamo intervistato per inFormazione Cattolica mentre è in Canada a predicare.

Cosa può dirci dell’esperienza di don Antonio Spalatro parroco a Vieste?

Dalla mia conoscenza della figura del Servo di Dio, del contesto storico ed ecclesiale in cui ha vissuto e dalla fama di santità che ancora oggi vi è attorno alla sua vita posso affermare che il suo “modo” di essere stato prete in mezzo alla gente è ancora ricordato e indicato come esempio anche da chi non lo ha conosciuto direttamente e tra questi molti giovani. Potremmo dire che don Antonio continua ancora a parlare e ad annunciare il Vangelo attraverso la testimonianza della sua vita.

Qualche sacerdote che l’ha conosciuto personalmente a Vieste è ancora vivo per testimoniarne il carattere e le virtù?

Un grato ricordo da questo punto di vista va a don Giorgio Trotta, un sacerdote viestano, tornato alla casa del Padre il 6 luglio 2021, che ha speso tutta la sua vita per tenere viva la memoria e far conoscere la vita e il messaggio di don Spalatro dopo averlo conosciuto da bambino. Le iniziative svolte e quelle in cantiere nella città di Vieste e nell’Arcidiocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo sono la dimostrazione che don Antonio è un testimone esemplare della comunità civile ed ecclesiale.

Può raccogliere dal diario del Servo di Dio qualche spunto sulla sua vita e spiritualità?

La conoscenza della figura e della spiritualità di don Antonio passa essenzialmente dal suo “Diario spirituale”. Non si tratta di una fonte autobiografica o storica ma del racconto di un’anima che vive, cerca e ricerca continuamente l’amore del suo Dio mentre nell’esperienza terrena arde per il suo profondo desiderio di santità. Un desiderio di farsi santo che ardeva in lui come un fuoco divorante, potremmo dire un “ossessionato” dalla santità, che doveva perseguire nella sua vocazione presbiterale. Il 4 agosto 1948, dopo essere diventato suddiacono, scrive: «Da oggi tutto il mio cuore diventa un altare su cui brucia continuamente un’ostia d’amore a Dio: tutto il mio essere è consacrato a Dio, al suo servizio, alla sua preghiera». Ecco la totalità di darsi a Dio, non di dare qualcosa di sé, ma tutto di sé. Infatti, il prete è chi si lascia consumare, oserei dire “mangiare”, dal popolo che la Chiesa gli affida ma, a sua volta, il sacerdote deve nutrirsi continuamente di Dio. E questo il Servo di Dio lo aveva compreso ancora prima di essere ordinato sacerdote.

Qual a suo avviso il messaggio più importante che il sacerdote pugliese può trasmettere ai cristiani italiani di oggi, chiamati a vivere ed a testimoniare la Fede in un contesto molto diverso da quello in cui visse ed operò don Spalatro?

Noi sappiamo che il Vangelo è proponibile in ogni tempo, possono cambiare i modi di trasmetterlo, di evangelizzare ma è la testimonianza di vita dei cristiani a renderlo “appetibile” alle donne e agli uomini che vivono in un mondo in cui Dio e l’uomo sono spesso emarginati. Agostino d’Ippona, Francesco d’Assisi, Benedetto da Norcia, Domenico da Guzmán…  sono sempre attuali perché è Dio ad essere eternamente attuale per l’umanità. Il messaggio di don Spalatro è attualissimo per la Chiesa e la stessa società scristianizzata di oggi. Rimando a una frase del suo Diario: «Siamo la figura di Cristo? Il popolo vede Cristo in noi? O vede dei mercenari qualsiasi, dei don Abbondio che dicono “Infine la Chiesa è loro, ci pensino loro a custodirla”? […] Fede! Fede vissuta ci vuole! Trasfusa nel popolo». Questa forte considerazione è riferita non solo al prete ma, richiamando la fedeltà e la coerenza del ministero presbiterale, don Spalatro invita i discepoli del Signore a vivere una sequela vera e coerente, una «fede vissuta». A me sembra, pur se con parole diverse, il richiamo che Papa Francesco fa spesso e a ragione a noi ministri ordinati.

Provi per favore ad illustrarci come la vita e gli scritti di un sacerdote vissuto più di sessant’anni fa possano interessare un laico dei nostri tempi…

Il Servo di Dio è stato un prete che si è donato “tutto a tutti”, si è speso per i poveri di cose e i poveri spirituali dei suoi tempi. Quello che attrae di lui è la felicità interiore e del cuore che egli ha raggiunto con il suo farsi dono per e in Cristo. Oggi don Antonio dice ai cristiani che il Signore ci ha creati per essere felici e che la vera felicità non è quella del mondo ma è quella della Croce, quella di un Dio che si è donato totalmente per renderci felici, quella che don Spalatro ha sperimentato nella malattia e nella sofferenza. Ma il prete viestano ha da dire tanto anche a chi cristiano non lo è: il segreto della vita non è il possesso ma il lasciarsi possedere dall’Amore e il vivere con coerenza i valori umani e universali. I comunisti che vollero portare a spalle la sua bara il giorno dei funerali furono edificati dal suo modo radicale e autentico di essere uomo e prete. E oggi tutti abbiamo bisogno di Dio, di autenticità e di amore vero donato e di testimoni del calibro di Servo di Dio.

Don Spalatro, nel suo cammino di santità, definisce “desiderio senza tempo” quello di rispondere alla chiamata di Dio “con tutto l’amore possibile”. Cosa consiglierebbe ad un giovane di oggi che, spesso, nutre quasi esclusivamente desideri di carattere materiale e di soddisfacimento immediato?

Io consiglieri prima che ai giovani, agli adulti di essere testimoni e pedagoghi credibili dell’amore come unica risposta alla chiamata d’amore di Dio. I giovani, contrariamente a quel che si crede, hanno dentro sete di Dio, di autenticità, di verità, di esempi di vita umana e cristiana coerenti e, perciò, attraenti. Se i genitori, gli educatori, i ministri della Chiesa e i fedeli laici non si lasciano riconoscere dall’amore che sono capaci di donarsi, quale Vangelo, quale fede e quale Chiesa trasmettiamo ai nostri ragazzi? Don Antonio era ed è un testimone autorevole per i giovani perché da giovane prete ha saputo vivere, appunto, «con tutto l’amore possibile».

Il Concilio Vaticano II ha solennemente richiamato un insegnamento che risale alle origini del Cristianesimo: tutti siamo chiamati alla santità. Come e quanto don Spalatro ha testimoniato questa realtà ai suoi contemporanei?

Tutta la sua vita è stata un lasciarsi bruciare dal desiderio di farsi santo nello stato di vita cui il Signore lo chiamò. Per lui la santità consisteva nell’essere come prete figura di Cristo. Scriveva infatti: «Dire Cristo è lo stesso che dire sacerdote». Applicato a ogni battezzato si potrebbe tradurre, con le dovute specificità, così: “Dire Cristo è lo stesso che dire sposo, sposa, madre, padre, figlio, laico impegnato…”. Tutti siamo chiamati a diventare santi perché la santità è la possibilità che il Signore ci offre per conformarci a Lui e vivere in pienezza la vita che è amare e donarsi alla sua maniera.

Fra gli aspetti ricorrenti della predicazione del Servo di Dio ve ne sono anche alcuni che, ai nostri tempi, potremmo definire “politicamente scorretti”, come ad esempio la necessità delle mortificazioni, anche corporali, ed il richiamo alle realtà ultime, cioè i c.d. novissimi. Potrà il positivo esito del processo di beatificazione di don Spalatro aiutare a riscoprire questi consigli o massime eterne?

Quando si annuncia e vive il Vangelo senza sconti si è necessariamente “politicamente scorretti”: «Voi siete nel mondo ma non siete del mondo», annuncia il Vangelo di Giovanni (15,18-21) e «Il vostro parlare sia sì sì e no no» quello di Matteo (5,37). Don Spalatro ha vissuto e consigliato le mortificazioni corporali come strumento per una conversione del cuore. Papa Francesco non ha chiesto di pregare e digiunare per far cessare la guerra in Ucraina? I cosiddetti “novissimi” (Morte, Giudizio, Paradiso, Inferno e Purgatorio) sono verità di fede e quindi oggetto della predicazione della Chiesa. Il Servo di Dio presentava queste realtà non come uno spauracchio per incutere terrore ma come realtà che fanno riscoprire e godere l’amore e la visione di Dio (Paradiso), che ti purificano per accedere a questa visione (Purgatorio) oppure che ti impediscono di godere della visione di Dio (Inferno). Ma non è Dio a condannare l’uomo è la creatura a scegliere la salvezza o l’Inferno con la sua vita. Il giudizio spetta solo a Dio e il giudizio divino – come dice Sant’Agostino – è sempre di una giustizia misericordiosa e di una misericordia giusta. A noi, però, il Signore lascia la libertà di accogliere il suo amore con il nostro pentimento e la nostra conversione.

Ci parli della devozione del Servo di Dio per sante e mistiche esemplari come Teresina di Lisieux ed Elisabetta delle Trinità.

Nel corso della sua formazione spirituale certamente don Antonio ha letto le opere e respirato la spiritualità della monaca carmelitana, Teresina di Lisieux che era ed è una colonna della vita spirituale della Chiesa. Ritengo improbabile che Elisabetta della Trinità sia stata approfondita dal Servo di Dio visto che la grande mistica morta nel 1906 è stata beatificata nel 1984 e canonizzata nel 2016 e, quindi, molti anni dopo la morte del sacerdote viestano avvenuta nel 1954. Questo, però, come ha fatto emergere Stefania Perna nel suo libro sul Servo di Dio, non esclude delle affinità spirituali tra don Spalatro e le due grandi sante.

Come mai invece don Spalatro è stato spesso definito “un piccolo Curato d’Ars”?

Semplicemente perché come Giovanni Maria Vianney, don Antonio è stato un sacerdote per e con la gente, ha vissuto il suo ministero con totalità, semplicità, autenticità e povertà. Aveva una profonda spiritualità orante, eucaristica e mariana. Ha saputo guidare le anime nel e fuori il confessionale. Basta questa frase del Curato d’Ars, patrono dei parroci, a far emergere l’affinità tra i due: «Se voi pregate ed amate ecco questa è la felicità».

Può consigliare ai nostri lettori un libro per iniziare a conoscere il Servo di Dio?

Il Diario spirituale è la fonte prima e più autorevole per conoscere don Spalatro. È da qui che occorre partire per entrare nel mondo umano e spirituale del Servo di Dio.

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