Quale carità nel tempo dell’apostasia

di Diego Torre

BISOGNA CONOSCERE CHI VIVE ACCANTO A NOI E LA CULTURA CHE LO IMPREGNA, PER NON FARCENE CONDIZIONARE E PER SMONTARNE I PRESUPPOSTI ERRONEI. E TUTTO CIÒ CON L’ASTUZIA DEL SERPENTE…

Sembra veramente di vedere avanzare i tempi di Gog e Magog, ma non solo per la violenza e le distruzioni che li caratterizzano, ma anche per la confusione, l’incertezza e la paura. Il male avanza e le anime soccombono. Ma tutto è perduto? Niente affatto!

S. Giovanni M. Vianney quando fu mandato ad Ars a fare il curato fu avvertito che quel paese era così malridotto che non c’era niente da fare. Ed egli rispose convinto che allora c’era TUTTO da fare. Ora più che mai dobbiamo ricordare che “Vita hominis super terrammilitia est” (Gb 7) e combattere il male con ogni chiarezza, ortodossia di pensiero e carità, senza scoraggiamenti, né presunzioni di successo. Il nostro dovere è la semina. “A noi la battaglia, a Dio la vittoria” diceva S. Giovanna d’Arco.

Ci ricorda Papa Benedetto XVI (17.6.2012) che «il tempo presente è tempo di semina, e la crescita del seme è assicurata dal Signore». Ogni cristiano, allora, sa bene di dover fare tutto quello che può, ma che il risultato finale dipende da Dio: questa consapevolezza lo sostiene nella fatica di ogni giorno, specialmente nelle situazioni difficili. A tale proposito scriveva sant’Ignazio di Loyola: «Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio» (cit. in Pedro de Ribadeneira, Vita di S. Ignazio di Loyola, Milano 1998).

La lotta non investe soltanto la sfera religiosa ma è ampiamente estesa alla natura e al fine ultimo dell’uomo. Dobbiamo credere innanzitutto, e poi annunciare, con audacia e coerenza, che l’uomo non è un’astrazione ideologica o lo strumento di un progetto politico, ma un essere concreto e personale, tendente ad una felicità eterna e perfetta, che solo in Dio e con Dio può raggiungere. Questa è la prima carità che dobbiamo a noi stessi ed al nostro prossimo: ridestare la sete di Dio e della verità, nonché il gusto del bello e del buono, il bisogno di amare e la certezza di essere amati da Dio. «Tu ci hai fatto, Signore, per Te; ed è irrequieto il nostro cuore, finché non riposa in Te!» (S. Agostino, Confessioni).

Non è un dichiarazione fideistica, ma un dato di fatto inoppugnabile. I santi che hanno trovato Dio sono entrati nella felicità. Credere e prospettare una simile visione è un dovere ed un’arma potente. Obiettivi più ridotti ed edulcorazioni possono forse lasciare contento chi vive nel peccato… sul momento. Ma non riescono né a convincerlo né a convertirlo. Se i cristiani propongono surrogati di ciò che offre il mondo, gli uomini finiranno per preferire… l’offerta originale.

Certamente chi ha inseguito le creature e vissuto nel male, rimane insoddisfatto e la sua sete di Assoluto, che sonnecchia o è stata anestetizzata, può ridestarsi dinanzi ad una proposta “forte”. Probabilmente ciò non avverrà subito, ma c’è un tempo (ed un operaio) per seminare ed un altro (magari con un altro operaio) per mietere.

Bisogna anche conoscere chi vive accanto a noi e la cultura che lo impregna; per non farcene condizionare e per smontarne i presupposti erronei. E tutto ciò con l’astuzia del serpente. Paolo parlò nell’areopago di Atene per far capire che la salvezza in Gesù rispondeva alle domande più profonde della ricerca filosofica e religiosa dei greci, usando i loro schemi culturali, partendo da un’ara dedicata a quel “dio ignoto” che egli disse di annunciare. Poi continuò proclamando l’unicità di Dio creatore e di Cristo giudice alla fine dei tempi. Non ebbe un grande successo, ma gettò il primo seme dell’evangelizzazione della Grecia, tanto importante per la cristianizzazione dell’impero romano.

E tutto va operato con il gradualismo necessario, anch’esso derivante dalla carità, che non è rinuncia a pezzi di verità o all’obiettivo finale della santità. Anche qui ci soccorre l’apostolo delle genti che oltre a farsi servo di tutti, debole con i deboli e giudeo con i giudei conclude: “mi sono fatto tutto a tutti, per salvarne con ogni mezzo alcuni” (1 Cor.9). Ma sempre con parresia, senza cedimenti, come il Divino Maestro insegna: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure uno iota o un apice dalla legge, senza che tutto sia compiuto Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli” (Mt 5,17).

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