I tre presupposti dell’interpretazione della Torah e la sua osservanza

I tre presupposti dell’interpretazione della Torah e la sua osservanza

di Pietro Madeo

COME OGNI LEGGE È SOGGETTA AD ESSERE INTERPRETATA PER ESSERE OSSERVATA, COSÌ ANCHE LA TORAH NECESSITAVA DI UNA SUA INTERPRETAZIONE

Come ogni legge è soggetta ad essere interpretata per essere osservata, così anche ai tempi la Torah necessitava di una sua interpretazione. Come ben si può immaginare un testo sacro non può far da guida di per sé stesso. Deve esser letto e tutto il leggere è interpretazione. La Torah gode di uno status privilegiato come “Parola del Signore” rivelata a Mosè sul Monte Sinai. Una legge si considera biblica solo se deriva da un verso dei cinque libri della Tora (il Pentateuco). L’interpretazione del testo biblico è governata da tre presupposti:

– Il testo è privo di errori e di incongruenze. Dio non commette errori! Contraddizioni apparenti possono esser risolte da una interpretazione corretta, sebbene non sempre si sappia quale sia.

– Il testo è privo di ridondanze. Alcune leggi vengono ripetute – per esempio, il Deuteronomio rivisita temi già esaminati in libri precedenti – ma la formulazione precisa rivela sempre un qualche nuovo aspetto.

– Il testo è integrale, contenendo tutto ciò che uno deve sapere (non necessariamente “tutto il sapere”, sebbene ci siano stati rabbini che hanno affermato anche questo).

Questi tre presupposti si applicano solo alla Torah, il resto della Bibbia ebraica – Profeti e Agiografi – si reputa libero da errori ma non da ridondanze, non può creare halakhah ma solo chiarirla. Il Talmud non tratta il testo della Mishnah o altre opere tannaitiche come “stabili e fisse” al pari della Bibbia ma come deposito di leggi che possono essere corrette se ce n’è bisogno; propone emendamenti per chiarire, per evitare inconsistenze o per stabilire la versione corretta della legge. Gli Amoraim a volte dicevano di un testo della Mishnah, m’shabeshta hi (è sbagliato). Amoraim successivi generalmente assumono che i Tannaim non abbiano preservato dichiarazioni superflue, sebbene siano disposti ad ammettere che in qualche occasione “Rabbi incluse una Mishna superflua”.

David Weiss Halivni nota che termini tecnici comuni, come hakhi qa‘amar (“questo è ciò che intende dire”) o eima (“Potrei dire”), “oscillano tra emendamento e spiegazione” e descrive un procedimento per “estrarne l’interpretazione”, che gli Amoraim usavano per limitare l’applicazione di una dichiarazione mishnaica ad un certo contesto o caso particolare.

 

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