I bei discorsi dei media non sono avallati quasi mai dalla concretezza della testimonianza

di Nicola Sajeva

LA FIDUCIA E LA PROVA DEL NOVE…

Ormai messa fuori gioco dalle calcolatrici, la prova del nove trova solo nella tavola pitagorica una dialogante in grado di condividere la malinconia, la tristezza, i ricordi della trascorsa grandezza. L’esattezza della tavola approntata da Pitagora e l’infinitesimale margine di errore della prova del nove non costituiscono motivi validi per compromettere la gioia della compagnia e per turbare la serenità del loro cammino verso i bacini di utenza più accoglienti del terzo mondo.

E mentre la tavola pitagorica sogna la comparsa di un virus in grado di sconvolgere i meccanismi di tutte le calcolatrici, la prova del nove trova ancora qualche motivo di sopravvivenza quando è chiamata in causa per siglare la bontà di una scelta o per dare vigore a un argomento, quando questo è chiamato a costituire prova inconfutabile all’interno di un qualsiasi confronto dialettico.

Quanto mi appresto a presentare si muove su questo binario: scelgo un valore, lo innalzo a prova del nove e poi tento di portare al mio mulino quanta più acqua possibile. Il valore è la testimonianza che diventa prova, questa volta senza margine di errore, della credibilità. Se alle parole non seguono i fatti, tutte le argomentazioni più suggestive, più stringenti, non trovando alcun sostegno necessario per garantire nel tempo la possibilità di testare i loro teoremi, perdono consistenza.

San Paolo VI, contro l’inflazione delle parole, proponeva con forza la necessità della testimonianza: “Oggi la Chiesa non ha bisogno di predicatori, ma di testimoni”. La forza profetica di questa intuizione può essere facilmente accolta in tutti i contesti sociali, può costituire il metodo vincente da seguire per costruire realtà stabili e civilmente evolute.

Pedagogicamente, l’esempio rappresenta la corsia preferenziale da praticare per arrivare alla trasmissione di abitudini, stili di vita, voglia di continuare una ricerca, entusiasmo, gioia di esistere, speranza, consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo: tutti petali di un fiore il cui profumo non riesce più ad inebriare l’uomo contemporaneo.

La credibilità ci porta ad avere tutte le carte in regola per instaurare rapporti duraturi, positivi, inalterabili; perché nei suoi canali vitali viene immessa, senza calcolo quantitativo e senza interruzioni, la linfa rigenerante della fiducia.

Nella mancanza di credibilità si individua, senza eccessiva difficoltà, la causa dello smarrimento spirituale che intristisce la prospettiva del nostro domani.

Tutti i bei discorsi, sciorinati attraverso i mezzi di comunicazione, non vengono avallati quasi mai dalla concretezza della testimonianza: abili parlatori, astuti sofisti, invadono le scene più importanti e cercano abilmente di spegnere le nostre capacità critiche.

I politici di turno, gli amministratori di tutti i livelli esecutivi, mentre cercano i punti più strategici per affondare il loro bisturi, impegnano le loro migliori energie nell’approntare gli anestetici più efficaci.

Sagre, concerti, serate danzanti, giochi pirotecnici, supporti economici di feste religiose, spettacoli con al centro le star del momento sono i più usati e collaudati. Tutto gratis, tutto pagato, anche dai non partecipanti, tutto a rendere più pesante il deficit statale per coprire il quale, con una pratica vuota di fantasia, si ricorre a tagli sulla scuola, sulla sanità, sugli investimenti produttivi. Tutte le strade alternative non portano voti o ne portano in quantità tanto ristretta da non riuscire ad assicurare la riconquista del potere.

La testimonianza, il riscontro pratico, la traduzione dalle parole ai fatti prendono le scorciatoie per raggiungere la macchia. Mancando questa prova del nove, la credibilità cede il posto alla sfiducia, e tutti gli arcobaleni forieri di speranza escono, spesso per sempre, dal nostro campo visivo.

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