La guerra vista da Odessa (e da un italiano che vive in Ucraina)

La guerra vista da Odessa (e da un italiano che vive in Ucraina)

di Pietro Licciardi

IL GIORNALISTA UGO POLETTI, DIRETTORE DEL THE ODESSA JOURNAL, RACCONTA COSA HA ANIMATO LA RESISTENZA E COSA RESTERA’ AL TERMINE DEL CONFLITTO

Ugo Poletti è un italiano che vive da cinque anni a Odessa, è il fondatore e direttore del The Odessa Journal ed è molto ben inserito nella società ucraina di cui conosce le dinamiche politico-sociali. Da poco ha dato alle stampe un libro: Nel cuore di Odessa edito da Rizzoli in cui racconta la sua esperienza.

Cominciamo chiedendo a lei lumi su una cosa ancora non ci spieghiamo. Come mai nonostante nel Dombass vi siano stati combattimenti per ben otto anni, con la forte probabilità che la situazione degenerasse nessuno, Stati Uniti, o Europa, hanno mosso un dito per cercare una soluzione?

«Quello del Dombass è stato un conflitto congelato. Quando sono arrivato a Odessa, ho trovato un paese che conviveva con questa guerra; un po’ come se chi vivendo in Sicilia sapesse di una guerra combattuta in Alto Adige. Si sapeva di bombardamenti su civili e soldati in questa lunga trincea che era il Dombas ma alla fine era un conflitto che l’Europa aveva dimenticato. Come mai? Credo per un incrocio di convenienze: gli Stati Uniti non avevano voglia di impegnarsi – e non dimentichiamo che Trump, il precedente presidente non voleva un confronto con la Russia – ed erano pure in Afghanistan, quindi senza interesse ad aprire un altro fronte. Anche ai russi faceva comodo lo stallo in Dombas perché visto lo stato di guerra in corso l’Ucraina non sarebbe potuta entrare nella Nato mentre l’Europa voleva continuare a commerciare con la Russia. Dopo le sanzioni simboliche nessuno voleva riaprire la questione».

Diciamoci la verità; all’inizio in pochi avrebbero scommesso sull’Ucraina, il cui esercito non era tra quelli più numerosi e temuti, la quale si è trovata a doversi confrontare con una Russia che seppure non militarmente paragonabile all’Unione Sovietica ha comunque una popolazione tripla e un arsenale convenzionale di tutto rispetto. Eppure le difficoltà dei russi sono sotto gli occhi di tutti. Cos’è che anima la resistenza Ucraina? Le armi della Nato?

«Beh, gli americani avevano armato anche l’esercito afgano, che poi in poche ore si è squagliato come neve al sole. Nelle guerre un fattore fondamentale è lo spirito del soldato; se vuole combattere può farlo e con le armi giuste può anche vincere ma se è poco motivato nonostante abbia armi sofisticate la guerra la perde. C’è una citazione di Tolstoi in Guerra e pace che ho voluto mettere nel libro perché anch’io sono colpito da quello che è successo: non conta chi ha più fucili ma i sentimenti che animano i sodati. Da un punto di vista “tecnico” gli ucraini hanno avuto una brutta sorpresa quando otto anni fa c’è stata la rivolta in Dombass e poi l’occupazione della Crimea scoprendosi totalmente incapaci di gestire militarmente le aggressioni perciò si sono messi a studiare facendo tesoro degli errori. Hanno approfittato degli ottimi istruttori e degli equipaggiamenti che la Nato gli ha fornito, che però erano sufficienti non per fare grandi cose ma per resistere. Comunque i Russi ci hanno messo del loro, perché chi è presuntuoso, sottovaluta l’avversario si sente superiore e fa degli errori. Bisogna però sottolineare un fatto interessante: gli ucraini sono un popolo litigioso e diviso e nessuno avrebbe scommesso che si sarebbero cementati in questo modo e anche loro stessi sono rimasti sorpresi della loro solidarietà, nata da tante cose. Innanzitutto se tu aggredisci delle persone queste si sentono subito vicine e pronte a respingere l’aggressione. Credo anche sia stato determinante l’esempio del governo e del presidente Zelensky che a qualcuno piaceva e a qualcuno no ma che è rimasto al suo posto a rischio della vita e questo ha spinto molti a fare il loro dovere. Da non trascurare anche il fatto che si sa benissimo come si vive male in Russia, dove non c’è libertà mentre io ad esempio quando sono arrivato in Ucraina non ho provato alcun senso di oppressione o costrizione. Questo probabilmente ha fatto pensare che non era conveniente tornare ad essere sudditi della Russia, ovvero uno stato che considera l’Ucraina una colonia, e non come una nazione sorella checché i russi ne dicano»

In effetti conoscendo un po’ la storia sappiamo che tra russi e ucraini non è corso sempre buon sangue. Limitandoci alla storia recente i bolscevichi durante la guerra civile del 1917-1922 hanno compiuto massacri, durante il regno Stalin c’è stato l’Holdomodor, infine dopo la cacciata dei nazisti, che gli ucraini memori di quanto avevano subìto, accolsero come liberatori, vi furono rappresaglie e deportazioni. Alla luce di ciò quanto c’è di vero nel fatto, come si dice, che russi e ucraini sono popoli fratelli? E sarà possibile una riappacificazione?

«Sui legami tra questi due paesi c’è da dire molto ma in verità questa guerra sta creando un solco tra popolazioni che avevano legami molto intensi. Purtroppo questo fanno le guerre: creano confini e li fissano col sangue. Una riconciliazione sarà molto difficile anche perché i russi hanno mostrato il peggio di loro stessi. Soprattutto la Russia profonda ha mostrato il proprio razzismo nel modo in cui hanno trattato i civili. Eppure non c’erano troppi motivi di conflitto in quanto abbiamo calcolato che almeno un ucraino su quattro ha parenti dall’altra parte e anche qui a Odessa molti si vantavano di avere antenati nell’antico impero russo e ascendenze russe. Insomma c’era una intensità di rapporti che questa guerra sta cancellando. Ma visto che parliamo di storia ci sono regioni, pensiamo alla zona di Leopoli, che hanno avuto un atteggiamento molto ostile verso i russi; si tratta però di una regione sempre appartenuta all’impero austroungarico e mai stata sotto l’impero russo. Quando Stalin ha conquistato quelle terre non l’hanno mai digerito. Parliamo comunque di un paese con grandi differenze interne che tuttavia la guerra ha compattato. Se solo otto anni fa la metà degli ucraini votava per partiti filorussi adesso a combattere contro la Russia sono proprio i soldati ucraini che parlano russo, ovvero quelli che i russi si aspettavano li accogliessero a braccia aperte»

Zelensky sta dicendo che coi russi non tratterà fintanto non avrà ripreso tutti i territori invasi, compresa la Crimea. Gli Ucraini si rendono conto che riprendere la Crimea potrebbe significare una escalation nucleare e che se la guerra dura ancora per molto il paese, già prima molto povero, potrebbe precipitare in una crisi ancor più drammatica?

«Voglio esprimere un parere che forse altri non condivideranno. Zelensky è meno intransigente del suo popolo; il suo problema è che lui deve rappresentare ciò che il suo popolo sente. Non dimentichiamoci che mentre Putin può decidere se iniziare o quando finire una guerra, Zelensky non ha questo potere in quanto è stato eletto e se non fa quello che il paese si aspetta il paese è pronto a cacciarlo; che poi è quello che è successo con il filorusso Viktor Janukovyč. Zelensky quindi deve stare attento perché non è lui che decide cosa si deve fare ma è l’Ucraina che decide cosa deve fare lui. Io ho studiato la sua vita e ho visto che non è un fanatico, non proviene da partiti politici, non ha una ideologia di contrapposizione, è un russofono, ovvero a casa sua parla russo e non ha quella ostilità che avrebbe un nazionalista; infatti i nazionalisti non lo amano. Infine è un uomo d’affari e come tale tenderebbe a fare compromessi. Insomma sono convinto che nel suo intimo avrebbe un atteggiamento negoziale e non dimentichiamo che appena eletto fece una apertura verso Putin proponendo uno scambio di prigionieri. Si tratta di segnali che indicano che il personaggio non è sempre quello che lui mostra di essere. Bisognerebbe poter trovare un pretesto affinché Zelensky possa far digerire al popolo una soluzione che adesso nessuno in Ucraina vuole in quanto si pensa solo a vendicare l’aggressione subita, specialmente dopo aver visto le stragi di civili. Riguardo al nucleare qui nessuno prende sul serio questa minaccia anche perché i russi per primi si rendono conto che se esplode qualcosa di radioattivo poi arriva anche a casa loro e se anche ci fosse qualcuno così pazzo da ordinare un attacco nucleare probabilmente non ci sarebbe chi fosse disposto ad eseguirlo».

Pare di capire a questo punto che il pallino è nel campo americano, ovvero dovranno essere loro a costringere in qualche modo gli ucraini a trattare…

«Io paragono la situazione ad una partita di scopone scientifico in cui le coppie sono Zelensky e Biden da una parte, Putin e Xi Jinping dall’altra. La cosa interessante è che le coppie stanno già litigando perché Biden ha già detto agli ucraini che stanno esagerando e temono la situazione possa sfuggire di mano; i cinesi stanno dicendo la stessa cosa a Putin e questo mi fa pensare che una trattativa sia già in corso, anche perché Viktorovič Lavrov, il ministro degli esteri russo, ha trascorso cinque giorni negli Stati Uniti. Poi ritengo gli americani abbiano già ottenuto un successo e un grandissimo regalo inaspettato da questa guerra che ha ricompattato la Nato, logorato la Russia e distrutto la sua immagine internazionale. D’altra parte i cinesi sono preoccupatissimi per una guerra che gli sta portando molti problemi a causa dello shock nei commerci e neppure Putin può permettersi di perdere l’alleato più importante che lo sta sostenendo».

Quale potrebbe essere allora per l’Ucraina una via di uscita accettabile da questa guerra?

«Qui le parole negoziato e accettabile non passano, come non passa l’idea di parlare con Putin, però credo la situazione stia maturando. Adesso gli Ucraini sono in una posizione di forza e il trend, come in molti dicono, non potrà cambiare; pertanto credo gli ucraini abbiano il diritto di riprendersi i territori occupati dal 24 Febbraio. Esiste però un problema molto grosso sul quale gli ucraini non sentono ragioni: se in Dombass e Crimea vi sono popolazioni che non vogliono tornare all’Ucraina si crea una situazione di guerra civile permanente e trovare una soluzione non sarà facile anche se i modelli non mancano; si pensi all’Alto Adige o al Canada col Quebec. Bisogna avere moderazione e flessibilità e gli ucraini sono un popolo giovane, valoroso, generoso, eccessivo e anche immaturo come stile di governo, pertanto secondo me occorre il contributo della esperienza internazionale».

Come la prenderebbero invece i russi se uscissero da questa guerra umiliati militarmente e politicamente?

«Tutte le sconfitte in Russia hanno portato a delle rivoluzioni. E’ stato così nella prima guerra mondiale e ancor prima in occasione della guerra russo-giapponese del 1904-1905, che vedo molto simile a quella attuale, e che fu molto umiliante dando origine alle prime rivoluzioni. Come si fa a dire a un popolo convinto di essere superiore agli altri, di essere sempre vittorioso e che non poteva non vincere con questi quattro contadini ucraini ignoranti e traditori perché hanno scelto l’Occidente di non essere stato all’altezza? E’ una cosa che avrà sicuramente dei contraccolpi e credo Putin stia pensando non solo alla fine della sua carriera ma anche della sua vita; ma qui entriamo nella zona oscura del sistema di potere russo e non possiamo fare previsioni».

Quindi potremmo assistere all’inizio di qualcosa di nuovo?

«Comunque vada non solo i russi hanno perso questa guerra ma è nato un nuovo stato.  L’Ucraina prima era in bilico, con ancora una parte del paese legata alla Russia – vuoi per legami di parentela o perché tanti pensionati erano nostalgici dell’Unione Sovietica –oggi si tiene cara la propria indipendenza ed è in grado di difendersi. La questione è se la Russia metabolizzerà la sconfitta rivedendo i suoi valori. Se gli alleati avessero fatto la pace con la Germania una volta arrivati ai confini il regime nazista sarebbe rimasto e avremmo ancora avuto in Europa una nazione aggressiva e razzista. Una sconfitta russa potrebbe aiutare questo paese a rivedere la sua alta considerazione di sé, che lo porta ad usare la forza nelle relazioni internazionali».

Qual è l’atteggiamento della Chiesa ortodossa, della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa del patriarcato di Kiev di fronte a questo conflitto? C’è dialogo tra le rispettive comunità?

«No, qui purtroppo se le danno di santa ragione. La Chiesa cattolica è sempre stata vista in queste terre ortodosse come un intruso e nella migliore delle ipotesi è la chiesa dei polacchi, tra l’altro tra le varie storie dell’Ucraina c’è stata anche la dominazione polacca. Comunque ci sono cattolici ucraini e a Leopoli ad esempio è pieno di chiese cattoliche. Per quanto riguarda le due chiese ortodosse c’è stata una spaccatura tra la chiesa che fa parte del patriarcato di Mosca e quella autocefala di Kiev. La prima è una quinta colonna russa in quanto se i cattolici sono sempre stati indipendenti sfidando talvolta il potere dello stato gli ortodossi al contrario sono sempre stati sottomessi al potere statuale quindi se il patriarca Kirill appoggia ideologicamente e spiritualmente Putin si può capire come tutti i preti qui in Ucraina sono stati visti con un po’ di sospetto. In qualche parrocchia hanno anche trovato un po’ di materiale propagandistico pro russo. In questo macello la Chiesa cattolica ha poco margine per muoversi perché non può fare appello ad un accordo tra le chiese cristiane per questi motivi politici ed è una frattura terribile».

 

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