Demonizzare il sacrificio porta la società alla rovina

di Nicola Sajeva

«PREGHIERA, AZIONE, SACRIFICIO»: UNA STRADA PIANEGGIANTE NON PORTA MAI IN ALTO

Siamo contenti della società in cui viviamo? La risposta, che arriva un po’ da tutte le parti, è purtroppo densa di smarrimento, di sfiducia, di impotenza. Famiglia, scuola, Chiesa sembrano disorientate nell’individuare le vie da percorrere per risalire, per cercare di indicare orizzonti più sereni, traguardi più rassicuranti.

Una strada pianeggiante non porta mai in alto”. Ho ascoltato questa espressione da un vescovo qualche anno fa. Si rivolgeva ai giovani ed ho avvertito chiaramente che mi trovavo di fronte a qualcosa di veramente grande, di esplosivo: un concetto stimolante che portava a riflettere, a superare la teoria dell’acqua stagnante, ad intraprendere percorsi più esaltanti. Un invito a vivere il brivido dell’alta quota, a desiderare un ossigeno sempre più puro, ad intravedere finalmente un’aurora che può aprirci ad esperienze sempre più positive, ad un vissuto colorato dalla speranza e irrorato dalla rugiada che sempre alimenta i sogni di ogni uomo di buona volontà.

Demonizzare il sacrificio e con esso tutti i concetti che prendono consistenza esistenziale dalla sua accettazione, porta la nostra volontà alla ricerca del facile, del tutto e subito. Il sacrificio viene emarginato, diventa percorso riservato a quella stretta cerchia di persone che, in ogni tempo, hanno saputo dare, al genere umano le conquiste che hanno segnato il vero progresso. Ciò non basta per costruire la società che tutti desideriamo.

Il sacrificio è quel qualcosa in più che determina la realizzazione delle cose grandi. I sacrifici della mamma, dell’educatore, del medico, del bidello, del netturbino, dello scolaro, del sacerdote e di ogni altro essere che trova collocazione solo nell’anonimato; questi sacrifici, che quasi sempre superano i confini del dovere, sono le sole leve che danno forza alla realizzazione delle cose importanti.

“Una strada pianeggiante non porta mai in alto”. Se nel cuore dell’uomo si spegne questa aspirazione alle cose giuste tutto scivola verso il basso, verso una quotidianità sempre più povera, vuota che si va incrostando di interessi, bisogni, ricerca dell’effimero, dell’epidermico, della conquista di un posticino su una scena dove si rappresenta continuamente il dramma dell’uomo che ha smarrito tutte le motivazioni nobili della sua esistenza.

“Una strada pianeggiante non porta mai in alto”. Ai giovani è indirizzato questo invito, loro hanno l’enorme responsabilità di costruire un futuro migliore. Loro, non altri, devono sentire il fascino di scoprire le realtà che in questa strada in salita rappresenteranno le loro conquiste. Rivalutiamo il ruolo di questa parola che inevitabilmente ci riporta al grande sacrificio dell’Uomo giusto, quel crocifisso che da più parti si vuole togliere, perché scomodo, perché ci fa riflettere, perché preferiamo non guardare in alto, perché mette in discussione il comodo giaciglio che da ipocriti sepolcri imbiancati siamo riusciti a costruirci. Diventi pure monile decorativo dei personaggi televisivi del momento. Situato in quel posto, è innocuo, non riesce a turbare, a trasmettere la grandezza di un dramma che continua ad avere protagonisti in ogni angolo del nostro pianeta.

“Una strada pianeggiante non porta mai in alto”. Possiamo continuare ad ignorare questo invito, possiamo scacciare come una mosca fastidiosa questa grande verità; possiamo continuare a sollevare da ogni peso i nostri figli, aiutarli ad ignorare la strada del sacrificio; però non avremo giovani felici ma larve inconsistenti che la più piccola realtà riesce a travolgere.

 

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