Il merito è l’unico antidoto a una società appiattita sull’ignoranza. Rifiutarlo è assurdo e antistorico!

di Antonella Paniccia

SE LO STATO INVESTE SOLDI E RISORSE PER LA FORMAZIONE DEI GIOVANI (ED ANCHE DEI DOCENTI), PERCHÉ NON DOVREBBE ESIGERE UN CORRISPETTIVO IN IMPEGNO E STUDIO DA PARTE DEGLI STUDENTI? LA SCUOLA DEL BUONISMO A TUTTI I COSTI HA PRODOTTO DANNI INCOMMENSURABILI A LIVELLO ETICO, MORALE, SOCIALE E INTELLETTUALE…

”Meritooo? Ma quale merito? Come hanno osato concepire il Ministero dell’Istruzione e del Merito?”

Sicuramente, dopo anni e anni di promozioni a gogò, dopo quintali di pagelle (o schede) colmate di complimenti – spesso esagerati – agli alunni per meriti (forse mai) acquisiti, dopo valanghe di voti eccessivi elargiti (anche all’alunno più indolente ed ineducato) da docenti esautorati sia della libertà d’insegnamento che di quella di valutazione (provate a partecipare ad un consiglio di classe per capire), non resta altro da fare che stracciarsi le vesti per il Ministero del Merito!

Ed ecco, pochi giorni dopo la formazione del nuovo governo, fiumi di critiche e dissertazioni di pedagogisti, storici, scrittori, sinistrorsi a iosa, tutti pronti a gridare allo scandalo, preoccupatissimi – dicono – di tutelare la dignità di ogni alunno (e su questo non si può non convenire), il diritto di studiare e progredire anche per i meno capaci (lapalissiano anche questo).

Ciò che appare peculiare, però, è il panico che alcuni svelano dinanzi a questa semplice e chiara parola: “Merito”. Cosa può indurre ad un’avversione così conclamata? E perché questo termine viene inteso in un’improbabile accezione negativa?

Eppure, basterebbe analizzare con obiettività questa parola e ricordare, ad esempio, come sin dalle origini la caratteristica peculiare di ogni essere umano sia stata quella di cercare di migliorare le proprie capacità, di progredire, di superare ostacoli e difficoltà, di procurarsi il nutrimento, di comunicare. Non sarà necessario ripercorrere qui le varie tappe dell’evoluzione dell’uomo, basterà dire che ogni sforzo che è stato compiuto dall’uomo gli ha consentito di conquistare benefici, benessere, prosperità, salute, vigore, energia. Quindi, se analizzato nel contesto storico, possiamo così tradurre questo termine: merito = sforzo, intelligenza, impegno!

In giurisprudenza, poi, il concetto del merito è strettamente correlato al problema morale ed a quello della responsabilità individuale delle azioni, necessario per valutare se si è compiuta un’azione buona, che abbia conseguito un merito, o un’azione cattiva, che abbia generato un demerito.

Non sarà allora giusto applicare il medesimo principio ad un’istituzione di importanza vitale – come è quella della Scuola – per la formazione delle generazioni future? Quale sarebbe dunque il danno ipotizzato?

L’intento, che dovrebbe apparire ovvio, non è quello di stigmatizzare gli alunni, di discriminarli o suddividerli nelle categorie di buoni e cattivi (come l’antica lavagna delle elementari), ma piuttosto di valorizzarli, di dare un significato ed un riconoscimento ad ogni impegno reale, degno di lode, di ammirazione, di approvazione, di condivisione.

E se lo Stato, dunque, investe soldi e risorse per la formazione dei giovani (ed anche dei docenti), perché non dovrebbe esigere un corrispettivo in impegno e studio da parte degli studenti? Ma davvero non ci siamo accorti di come la scuola del buonismo a tutti i costi abbia prodotto danni incommensurabili a livello etico, morale, sociale e intellettuale? Eppure le varie rilevazioni statistiche, a livello nazionale e internazionale, e le stesse prove INVALSI, con tutti i limiti e difetti della loro applicazione, ci hanno fornito un quadro impietoso della preparazione scolastica degli studenti italiani. Qual è allora la proposta alternativa? Quella di premiare chiunque e far finta che tutti siano egualmente bravi (evviva il livellamento sociale al peggio!) o quella di incoraggiare chi si accinge ad onorare la società con la costanza nello studio, con la creatività dell’ingegno e con i propri sforzi nell’applicarsi in maniera seria alle attività scolastiche?

Non è forse dovere dello Stato incoraggiare le doti, promuovere i talenti di chi sarà “l’uomo (o la donna – scrivo per le femministe) di domani”?

Eppure, questa parola tanto disprezzata è più volte citata anche nel Vangelo: “Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.» Matteo (5,43-48)

E ancora: “Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi…”. Luca (6,27-38).

Cosa aggiungere? Scusate se è poco, se quel Gesù di Nazareth, che è solo un Uomo-Dio, Colui che è il Re dei Re – proprio Lui – interrogava tutti e parlava di merito… non un merito qualsiasi, ma quello indispensabile per ottenere un grande premio: essere chiamati figli dell’Altissimo! In pratica, il passaporto per l’eternità!

E – per chi desiderasse una conclusione laica, politicamente corretta – concludo dicendo che, persino Carlo Calenda (che non è certo un uomo politico del centro-destra) ha dovuto osservare, in coscienza, che il merito è l’unico antidoto a una società appiattita sull’ignoranza e che rifiutarne il principio è assurdo e antistorico. Non l’avrei mai creduto possibile, ma sì, sono d’accordo anche con lui!

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La protesta alla Sapienza è la prova che la sinistra vuole la gente ignorante, così potrà caricarla a comando nelle piazze ogni volta che non governa