Italia malinconica e latente, nell’era post-populista

di Pietro Licciardi

LA SITUAZIONE SOCIALE DEL PAESE NEL 56° RAPPORTO DEL CENSIS

Finita l’era dell’abbondanza, come ha detto il presidente francese Emmanuel Macron, comincia quella dell’incertezza. Secondo l’allarmante quadro che emerge dal 56° rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese presentato il 2 dicembre a Roma a spaventare di più è l’inflazione e il fatto che le emergenze che ci hanno colpito nell’ultimo triennio non sembrano risolversi. Questo sembra aver precipitato l’Italia in uno stato di malinconia, che è il sentimento del nichilismo dei nostri tempi, e di latente attesa.

Come ha spiegato il direttore generale del centro studi, Massimiliano Valerii, l’alto tasso di inflazione segna uno spartiacque, nel senso che chi si è sentito fin qui garantito, anche nella fase più acuta della passata emergenza sanitaria, vede oggi depotenziato a causa dell’erosione del potere di acquisto lo scudo protettivo che le famiglie del ceto medio avevano utilizzato per difendersi dall’incertezza, ovvero il risparmio accumulato negli anni e la rassicurante liquidità cautelativa.

Dalle rilevazioni emerge che oggi la quasi totalità degli italiani (il 93%) è convinto che l’impennata dell’inflazione durerà a lungo anche se si fermerà la corsa del tasso di inflazione. Il 69% teme che il proprio tenore di vita è destinato ad abbassarsi e questa percentuale sale al 79% tra chi già detiene bassi redditi. Il 64% sta già intaccando i risparmi per fronteggiare l’aumento dei prezzi.

Inflazione, pandemia e guerra con i loro deleteri effetti si sono aggiunti alle preesistenti vulnerabilità sociali ed economiche del nostro Paese e la rinnovata domanda di preservare il proprio benessere e le legittime istanze di equità sociale che emergono non sono più semplicisticamente liquidabili come populiste, ovvero come aspettative irrealistiche fomentate da qualche leader politico demagogico. Siamo dunque, secondo il Censis, in una fase di post populismo ed effettivamente se si fa attenzione tutte le élite politiche stanno adottando misure protettive, al di là delle culture politiche di appartenenza.

Già da tempo i governi occidentali stanno alzando barriere in forme diverse e hanno varato misure di protezione contro gli effetti negativi della globalizzazione, dall’imposizione di dazi al rimpatrio di molte produzioni, dopo aver costatato che la globalizzazione ha impoverito ampie fasce della classe media a vantaggio delle classi medie dell’Asia. Ci sarebbe ad esempio una perfetta continuità tra le politiche dell’amministrazione Biden e il predecessore Trump, il populista, quello del muro tra Stati Uniti e Messico che in realtà era stato completato dal predecessore Obama.

Nell’Italia post populista, che fa i conti con l’ingresso in una nuova età dei rischi, però si assiste a quella che Valerii ha definito «una rilevante “ritrazione” silenziosa dei cittadini perduti della Repubblica», come dimostrerebbe il fatto che alle ultime elezioni il primo partito è stato di gran lunga quello dei non votanti che tra le politiche del 2006 e quelle del 2022 sono raddoppiati: più 103%. Inoltre si è sedimentata la convinzione che oggi tutto può accadere, anche l’indicibile: l’84% degli italiani è convinto che eventi geograficamente lontani possano cambiare improvvisamente e radicalmente la propria quotidianità, il 61% teme possa scoppiate il terzo conflitto mondiale, il 59% ha paura si ricorra all’atomica, il 50% teme l’Italia possa entrare in guerra.

Tutto questo ci fa sentire impotenti, al di là di ogni prevenzione causando anche un inceppamento della società, non più disposta a sacrificarsi: 8 italiani su 10 affermano di non avere voglia di fare sacrifici per cambiare e il 36% dei lavoratori non è disposto a fare sacrifici per fare carriera e guadagnare di più. Insomma quasi una esplicita rinuncia all’autopromozione individuale. Per questo secondo il Censis è la malinconia oggi a definire il carattere degli italiani, che corrisponde alla coscienza della fine del dominio incontrastato dell’io sugli eventi e sul mondo. Un io, un individuo, che oggi malinconicamente è costretto a confrontarsi con i propri limiti.

Restano poi le note fragilità sociali. Innanzitutto la povertà assoluta: 5,6 milioni, 1 milione in più rispetto al 2019, il 44% dei quali vive al Sud. La nostra percentuale di laureati è ancora inferiore alla media europea che nel Mezzogiorno è di meno 21 punti percentuali. Siamo anche il paese che detiene il primato dei Neet: il 23% degli under 30 mentre nel Mezzogiorno sono addirittura il 32%.

Se teniamo pure conto degli scenari demografici rischiamo di avere una scuola e una università senza studenti. Tra dieci anni la popolazione dai 3 ai 18 anni scenderà dagli attuali 8,5 milioni a 7,1 milioni; tra vent’anni potrebbe ridursi a 6,8 milioni. Sempre tra vent’anni avremo una popolazione di 19-24enni di 760mila persone in meno il che significa che se anche avessimo una propensione agli studi come quella attuale avremmo 390 mila iscritti all’università in meno.

Analogamente rischiamo di avere una sanità senza medici e senza infermieri se pensiamo all’alta età media del personale sanitario e al fatto che nel prossimo quinquennio saranno oltre 29mila i medici e 21 mila il personale infermieristico che lasceranno il sistema sanitario nazionale. Quindi una società senza. Senza studenti, senza medici e infermieri negli ospedali…

Per quanto riguarda l’economia l’analisi mostra che a causa dell’incidenza dei costi dell’energia si stima che possano essere 355mila le aziende che potrebbero avere quest’anno un grave squilibrio tra costi e ricavi e quindi rischiare il fallimento. Parliamo dell’8% delle imprese attive, collocate per la gran parte nel terziario, col rischio che 3,3 milioni di addetti, più del 19% del totale degli addetti in Italia, resterebbero senza lavoro.

In questa Italia post-populista e malinconica descritta sinteticamente dal Censis, in cui molti hanno la sensazione di non credere più alle radiose promesse della modernità e sentono messo in pericolo il proprio benessere, le legittime rivendicazioni di equità e benessere rappresentano non aspettative irrealistiche ma l’inaggirabile base sociale dell’agenda collettiva del Paese e questa è una presa di coscienza che dobbiamo fare quantomeno per scongiurare il rischio di vedere nei prossimo anni ingrossarsi ulteriormente il numero dei cittadini perduti della Repubblica.

Oltre ad essere malinconica l’Italia è pure in una fase di latenza, come ha illustrato Giorgio De Rita, segretario generale del Censis, ovvero siamo in una società che non regredisce e non matura ma sta lì e aspetta. Se andiamo a vedere le grandi crisi della nostra storia sociale vediamo che queste ci ributtavano indietro ma davano anche una spinta in avanti. Oggi le emergenze e il funzionamento interno della macchina sociale non ributtano indietro ma non danno neppure la spinta ad andare avanti.

Se dovessimo rimanere ancora nella condizione in cui non si va indietro e non si va avanti, contando sulla promessa di un futuro meraviglioso che arriverà o sulla condanna a veder scivolare tutto verso il basso, di fatto ci si rischia di trasformare la rinuncia al futuro in una rinuncia strutturale e in una masochistica rinuncia a progredire, a rischiare di nuovo e a mettersi in cammino.

Dentro la latenza c’è però un altro elemento che va sottolineato: lo spirito costruttivo, il mettersi di lato per ricaricare le batterie in attesa della ripartenza. Non è detto che ci siano i segnali per farlo e anzi probabilmente se ne vedono molto pochi, però ci sono alcuni elementi positivi. Nella latenza non c’è la condanna al declino e non c’è la certezza del nuovo sviluppo ma ci sono le condizioni per potersi muovere e trasformarla in una condizione di ripresa e di costruzione; non soltanto di resilienza ma anche di crescita significativa delle nostre condizioni economiche e di reddito. Il nostro export va bene e vanno bene anche il turismo e il risparmio mentre molte imprese stanno reagendo bene alla crisi internazionale. Ci sono quindi degli elementi positivi e sono anche dentro le famiglie, che ritrovano il gusto di investire e di rimettersi in gioco. E’ però uno spirito costruttivo che non è ancora emerso e sta ancora esprimendo la propria capacità di mandare segnali al corpo centrale in cerca di una risposta.

 

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