Stop subito alle sanzioni o la Siria morirà

di Pietro Licciardi

IL TOCCANTE APPELLO DELLE TRAPPISTE DI AZER: LA TRAGEDIA PIU’ GRANDE NON E’ IL TERREMOTO MA IL BOICOTTAGGIO DELL’OCCIDENTE CHE HA DISTRUTTO IL PAESE

«Basta parole a vuoto, adesso è il momento di togliere le sanzioni alla Siria». Inizia così l’appello che suor Marta e le consorelle del monastero trappiste di Azer in Syria hanno rivolto assieme a quello di padre Bahjat Elia Karakach, parroco di Aleppo all’indomani del devastante terremoto che ha colpito il nord-ovest della Siria e il sud della Turchia. Il Paese mediorientale devastato dalla guerra civile aizzata dagli Stati Uniti e messo ancor più in ginocchio dalle sanzioni, applicate anche dall’Europa, era già allo stremo prima del sisma e continuare con l’embargo significherebbe aggiungere altri morti a quelli che ancora giacciono sotto le macerie.

«Le parole di conforto di tanti di voi che oggi sono vicini alla nostra gente, i gesti di aiuto con cui vi fate presenti, fanno bene al cuore… Riscaldano, nel freddo che domina in mezzo alle macerie. E la gente è grata del vostro aiuto. Grazie, grazie veramente», scrivono le suore ma le parole di cordoglio e solidarietà che in questi giorni stanno giungendo dall’Europa e perfino dall’America hanno il sapore della beffa se si tiene conto del fatto che la popolazione siriana è stata portata, giorno dopo giorno alla fame proprio da quei governi che in queste ore stanno portando qualche aiuto umanitario, che prima o poi finirà, ributtando i siriani alla disperazione.

«Certo, si muore sotto le macerie anche se si sta bene, anche se c’è il cibo in casa… Ma se le condizioni generali della gente non fossero state così disperate, oggi ci sarebbero più mezzi per scavare nelle macerie, e salvare ancora qualcuno. Ci sarebbero ospedali più attrezzati, farmacie fornite di tutto il fabbisogno. Più case capaci di accogliere i rifugiati, ci sarebbero anche qui più persone con lavoro e risorse per aiutare i propri fratelli», si legge nella supplica delle religiose. Per questo l’Occidente deve togliere le sanzioni, che in questo momento più che colpire un governo stanno letteralmente distruggendo un intero popolo.

L’Iran, la Corea del Nord, il Myanmar e la stessa Russia sono alcuni dei Paesi sottoposti a sanzioni, che però hanno bisogno di moltissimo tempo per avere una qualche efficacia sui regimi che si intende punire, mentre fin da subito infieriscono sulla popolazione. Ciò è evidente ad esempio nel caso dell’Iran e lo è stato nel caso dell’Iraq di Saddam Hussein, Paesi la cui economia è ed è stata boicottata per lunghissimo tempo senza che i rispettivi regimi abbiano rinunciato svolgere le loro politiche sullo scacchiere interno e internazionale, mentre la vita dei propri cittadini, oltretutto a cominciare da quelli meno compromessi col potere, si è da subito sensibilmente deteriorata.

Tuttavia, mentre altrove in un modo o nell’altro la vita continua in Siria l’embargo sta letteralmente uccidendo una intera nazione. Quasi che lo scopo finale sia proprio quello di annientare lo Stato per permettere ai contendenti internazionali di dividersi le spoglie.

Chissà se il terremoto riuscirà a fare aprire gli occhi almeno dell’opinione pubblica internazionale sulla tragedia siriana, di cui nessuno parlava più da tempo.  «I morti sono morti, li affidiamo a Dio e alla sua Misericordia, che illumina anche ciò che noi non comprendiamo. Ma i vivi hanno bisogno di una speranza tangibile e concreta che la vita si possa ricostruire. La cosa che più colpisce in questo momento è lo sgomento che invade le persone, lo smarrimento davanti a tutto questo. Gli amici di Aleppo, di Lattakie, da cui abbiamo notizie per telefono, hanno tutti una nota pesante nella voce: hanno macerie non solo davanti agli occhi, ma nel cuore. Anche queste hanno bisogno di essere rimosse, sollevate in qualche modo» dicono le suore trappiste di Azer.

Su di noi la responsabilità di far si che il grido d’aiuto dei siriani e dei fratelli cristiani che ancora là sopravvivono non cada nel vuoto.

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