“Finis Europæ” (una società dove la barbarie prolifera rapidamente)

“Finis Europæ” (una società dove la barbarie prolifera rapidamente)

di Sergio Caldarella

IL RISPETTO PER IL PASSATO, ECCO IL TRATTO CHE DISTINGUE L’ISTRUZIONE DALLA BARBARIE (ALEKSANDR SERGEEVIČ PUŠKIN)

Nel complesso ed articolato panorama della storia, il barbaro, l’incivile o il bruto, posseggono un vantaggio spropositato sul civilizzato poiché, in primo luogo, non hanno nulla da proteggere alle loro spalle, nulla di spirituale di cui dirsi difensori: il loro spazio è quello dell’immediato, di tutto ciò che può essere utilizzato, toccato, sfruttato, cannibalizzato, agguantato, addentato. Il barbaro non ha alcuna prospettiva diversa dalla sua propria espansione, dalla massimizzazione della propria volontà di potenza o dal suo divorare tutto ciò che gli si pone sul cammino. Se la civiltà crea ed edifica, la barbarie consuma e distrugge.

La forza della clava è l’unico strumento riconosciuto dal barbaro e così, anche sotto quest’aspetto, egli possiede un vantaggio abissale, immenso, quasi inconcepibile, sul civilizzato poiché, nel caso estremo, ossia per fermare il bruto, anche la civiltà sarebbe costretta a scendere nella stessa arena del barbaro, ossia quella della brutalità. Le possibilità della civiltà di fronte alla barbarie sono dunque limitate: utilizzare la forza che deprime e consuma la civiltà stessa, oppure arrendersi all’avanzata della barbarie, lasciandosi così divorare lentamente, immolandosi, perché è il solo modo che questa ha per resistere più a lungo.

Finché esisterà la barbarie, il destino della civiltà, di ogni civiltà, sarà quello di lasciarsi divorare. Il civilizzato potrà magari conoscere l’intelletto e il dialogo, ma questi a nulla servono tra i bassifondi dello spirito dove vengono riconosciute soltanto la scaltrezza e l’istinto di sopravvivenza. Il bruto è, in molti modi, simile ad una zavorra della storia che, quando numericamente notevole, è capace di affondare qualunque veliero, non importa quanto grande, bello o robusto. La cultura o la civiltà, fino ad oggi, non sono mai state in grado di resistere alla zavorra della barbarie.

Il barbaro, anche grazie a curiose e strabilianti leggi della natura, ha anche la quantità dalla sua parte e questo, alla fine, tende a farlo diventare persino un modello. Quando una civiltà diventa debole, questa arriva persino a dimenticare se stessa e le proprie forme essenziali diventando sempre meno coloro i quali sono ancora capaci di intendere ciò che è cultura, valore e fondamento mentre, dall’altra parte, aumentano vertiginosamente coloro per i quali la civiltà e la cultura non hanno un luogo e neppure un significato così, alla fine, la gran quantità di costoro fa sì che il sapere venga dimenticato, che si trasformi in una lontana rovina che essi, però, non mancano di occupare, rendendo antichi e nobili luoghi di sapere delle mere aule di fantasmi.

In una società dove la barbarie prolifera rapidamente, perché quella di proliferare è anche la forza del barbaro, alla fine rimangono soltanto i modi ed i modelli della barbarie in quanto, grazie alla forza del numero, questi riescono a diventare dominanti, se non altro perché, aumentando esponenzialmente, rendono la cultura una mera rarefazione. Il barbaro non verrà mai sostituto dal civilizzato tanto quanto la gramigna non verrà mai sostituita dai fiori, quanto l’esatto contrario: questa è, forse, una tra le più curiose ed ambigue leggi del mondo.

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