I due “Lucii” e i valori estetici assoluti

di Eugenio Capozzi

L’OMAGGIO DEFERENTE È SPESSO NIENT’ALTRO CHE L’ALIBI ALLA NOSTRA CATTIVA COSCIENZA

Cos’hanno in comune, nella loro unicità, i due magnifici ottuagenari Lucio Dalla e Lucio Battisti, che giustamente ieri e oggi vengono da tutti celebrati?
Il fatto di considerare la canzone pop come qualcosa non di frivolo ma di molto serio, attraverso cui inseguire valori estetici assoluti.

La totale, maniacale dedizione alla propria arte come vocazione. La altrettanto totale indifferenza a qualsiasi moda, a qualsiasi “corrente” o “movimento”, a qualsiasi convenienza o ruffianeria, nella convinzione di dover seguire soltanto la propria strada personale, anche a costo di deludere una parte dei propri appassionati che si erano formati di loro un certo cliché. L’instancabile, continua evoluzione.

Sono aspetti che si ritrovano in molti altri protagonisti autentici del pop rock italiano: basti pensare a Fabrizio De André, a Franco Battiato, a Francesco De Gregori, a Paolo Conte, a Pino Daniele, a Giovanni Lindo Ferretti. Ma che nei due “Lucii” assumono, per la universale riconoscibilità popolare della loro biografia, un valore quasi paradigmatico.

Curioso come noi italiani nella musica celebriamo gli “irregolari”, gli ostinati, gli anticonformisti non per posa ma nella vita, gli artisti devoti alla sostanza e indifferenti all’apparenza, mentre nella realtà quotidiana tendiamo irresistibilmente al conformismo, all’allineamento, alla corporazione, alle uniformi e ai distintivi, al gregarismo.

Curioso ma in fondo non sorprendente, ed esteso ad altri campi dell’arte (quanto ci piace immedesimarci negli “irregolari” Flaiano, Buzzati, Fellini, Montale, e quanto è strano il culto unanime per Pasolini, spesso nella più totale ignoranza e incomprensione della sua opera … ).

Quell’omaggio deferente è spesso in realtà nient’altro che l’alibi alla nostra cattiva coscienza, il culto di qualcosa che non siamo stati mai capaci di diventare, la superficiale assoluzione dal nostro essere una società di Fantozzi, l’immaginarci, attraverso il mito di certi artisti, capaci di dire almeno una volta nella vita che “la corazzata kotiomkin è una c***ta pazzesca”, con relativi 92 minuti di applausi.

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