Una parabola con uno svolgimento articolato

Una parabola con uno svolgimento articolato

di Giuliva di Berardino

LA REALTÀ DI DIO E LA NOSTRA RELAZIONE CON LUI

Oggi il Vangelo ci fa meditare una parabola che presenta uno svolgimento articolato, in un contesto narrativo che, come in tutte le parabole, ha come fine quello di comunicare qualcosa della realtà di Dio o della nostra relazione con Lui. Il tema di questa parabola ci mette in discussione sul nostro modo di incontrare le persone, di relazionarci con i beni materiali, ci fa intravedere ciò che è importante davvero per noi, per restare nella pace anche dopo che lasceremo questa vita terrena.  La liturgia ci fa pensare a ciò che sarà di noi in relazione a come viviamo oggi, e questo insegnamento ci è molto utile per sapere come vivere il nostro presente nel migliore dei modi possibili. Subito compare, nel testo, un povero che ha un nome: Lazzaro, poi troviamo un ricco anonimo.

Il Vangelo ci fa già entrare in una logica: il povero è qualcuno, una persona che si può chiamare per nome, che si può conoscere. Il ricco, invece, è una condizione generale, quasi senza volto, senza storia, senza vita. Povertà è inevitabilmente relazione, è essere riconosciuti per quello che si è. Ricchezza, invece, sembra essere sempre identità nascosta, il ricco trova sempre il modo di nascondersi, di camuffarsi dietro le mode o le ideologie del momento. Il ricco se lo può permettere perché, di fatto, non ha bisogno di chiedere nulla. Ecco, il Vangelo ci mostra anche il modo di vita dei due personaggi: il povero Lazzaro non ha una casa, non ha nessuno che lo cura, nessuno che gli dia da mangiare. Il ricco invece vive nelle comodità perché ha una grande casa, “banchetta lautamente”, ci informa il Vangelo, e ogni giorno!

Sembra allora che il Vangelo oggi ci faccia cogliere una verità di cui non siamo sempre coscienti: il modo in cui vivo definisce anche la mia persona. Siamo persone quando, non semplicemente ci impegniamo a vivere relazioni positive con chi ci sta accanto ogni giorno, ma siamo persone soprattutto quando  entriamo nel cuore di qualcuno, quando riusciamo a farci voler bene nonostante i nostri limiti, e quindi ad amare nella verità. Lazzaro, il vangelo ce lo dimostra, entrerà direttamente nel cuore di Dio Padre, lo accoglierà direttamente il patriarca Abramo, il padre della fede, non per una sorta di premio, ma perché ha saputo vivere la sua solitudine in questa vita, con grande pazienza e, ancor più, con speranza! Non aveva una casa, ma viveva lì, davanti alla porta del ricco perché sperava di essere accolto per mangiare qualcosa. La speranza e la pazienza hanno fatto di Lazzaro una persona, e invece il ricco non ha vissuto come una persona: ogni giorno, aprendo la porta di casa, si chiudeva gli occhi per non vedere l’altra persona, si chiudeva per non sentire i cani che erano gli unici conforti per il povero Lazzaro.

Ecco perché il ricco non ha nome, perché ha trascorso tutta la sua vita senza sapere il suo nome, senza essere stato chiamato da nessuno, senza essere stato amato da qualcuno. Allora oggi il Vangelo ci insegna, con serietà,  che per noi ciò che è povertà e miseria, agli occhi di Dio è pienezza, è cioè la condizione migliore per poter essere amato, dagli altri o da Dio, se non in questa vita almeno, come nella parabola,  nell’altra! La felicità dipende da quanto e da come mi faccio amare e non da quanto e da come posso guadagnare di più, a scapito degli altri. Dio desidera che noi viviamo da persone amate, non come presenze rispettate solo in base alle funzioni che svolgono e finché funzionano. La nostra salvezza quindi passa dalla una rinuncia ai guadagni, non solo perché c’è chi può vivere con il nostro superfluo, ma soprattutto perché il superfluo ci toglie la vita, ci illude del fatto che per vivere non abbiamo bisogno degli altri. Così ci assilliamo con le nostre chiusure e ci assimiliamo alle cose e ci dimentichiamo di avere un nome, non ci sentiamo più persone vive.

Allora oggi chiediamo al Signore che ci renda più umani, più vivi, che ci faccia vedere e sentire con gli occhi e le orecchie della carne, coloro che ci vivono accanto, soprattutto quelli che stanno soffrendo. Ricordiamolo: agli occhi di Dio sono i sofferenti, gli emarginati, gli scartati che hanno un nome. Così sia anche per noi, perché, come oggi ci annuncia il Vangelo, è grazie a loro che possiamo vivere la carità, è grazie a loro che per noi oggi ci vengono aperte le porte del cielo.

Buona giornata con il Vangelo del giorno (Lc 16, 19-31)

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

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