Croce e sofferenza sono stati “strumenti” della sua missione

di Jozef Miklosko

UN RICORDO DI SAN GIOVANNI PAOLO II DEL GIÀ AMBASCIATORE MIKLOSKO

Era un sabato “di Fatima” quel 2 aprile 2005, il giorno prima della domenica della Divina Misericordia, festa istituita proprio da lui dopo aver benedetto l’apostolato di Faustina Kowalska, una suora che ha predicato al mondo la misericordia di Dio.

Sulla piazza di San Pietro siamo arrivati ​​alle 21:15. Cominciava il rosario, c’erano circa centomila persone, soprattutto giovani. Cantavano, si inginocchiavano e pregavano. Molti erano pronti per una notte di veglia, per dormire in piazza. Improvvisamente si è accesa la luce anche nella terza stanza dell’appartamento del Papa.

Alle 21:55 i cellulari squillavano, tutti guardavano le tre finestre illuminate. L’Arcivescovo Sandri ha annunciato: “Alle 21:37 il nostro amato Papa Giovanni Paolo II è tornato alla casa del Padre”.

La folla non ha capito subito il messaggio, c’è stato silenzio, poi c’è stato un grande applauso. La gente si inginocchiava, pregava e piangeva.

I giovani “papaboys”, con il rosario in una mano, e il cellulare nell’altra, spesso in lacrime e abbracciati, hanno accompagnato l’anima del Papa nel suo cammino verso il cielo.

Giovanni Paolo II è stato il primo papa a morire nell’era di internet e dei cellulari, vivendo “nella piazza del mondo”.

Giovanni Paolo II è stato un gigante della storia, un vecchio che ha conquistato il cuore dei giovani. Ci siamo fermati accanto alla fontana del Maderno, una delle fontane di Roma del 1352, testimone di molti momenti storici. Le candele tremolavano, le chitarre suonavano e un cantante dai capelli lunghi cantava: “Il Signore è risorto dai morti, Alleluia”.

Il suono dell’acqua somigliava al suono delle ali angeliche che accoglievano l’anima del Papa alle porte del cielo. Improvvisamente il suono della fontana si era fermato e il suono della campana a morto della basilica annunciava alla città e al mondo con un monotono la triste notizia. La lotta impari del Papa con la morte era finita, la grande epoca della Chiesa era finita e ne iniziava una nuova, ancora sconosciuta.

Regnava il lutto, le saracinesche erano serrate, le macchine si fermavano sul Lungotevere, gli automobilisti si fermavano.

Non lontano da Castel Sant’Angelo c’era una sorta di mini città di studi televisivi, luci e parabole satellitari. Centinaia di redattori hanno raccontato al mondo le prime impressioni senza il Papa. Le preghiere sono state interrotte da applausi, canti e applausi di nuovo.

La gente piangeva con le candele in mano, anche se l’atmosfera era gioiosa, nobile e solenne. Un bambino ha chiesto ai genitori: “Dov’è il Papa?”. ​​La madre gli ha detto che era andato in paradiso pensando a noi, il padre ha aggiunto che il Papa era un santo e in paradiso stava bene. Non era più malato, non aveva nemmeno bisogno di una sedia a rotelle. Il bambino era soddisfatto delle risposte. In futuro, padri e madri ricorderanno ai loro figli: “Quella sera in cui morì il Papa, tu eri nella piazza di San Pietro”.

Siamo stati felici di essere vicini al Papa nella sua ultima battaglia. Non lo abbiamo lasciato solo quando ha sussurrato: “Lasciami andare dal Padre”. Le televisioni hanno commentato solo questo evento. MTV ha suonato la canzone di Bob Dylan: Knocking on the Heaven’s Door. L’Osservatore Romano ha definito questi momenti una Giornata Mondiale della Gioventù non programmata.

L’area intorno all’obelisco è diventata un luogo dove soprattutto i bambini hanno lasciato i loro doni al Papa: disegni, giocattoli, foto, cuori. Quello che stava accadendo a Roma era incredibile. Il Papa giaceva nella basilica e la gente ha aspettato disciplinatamente in fila per 12 ore per rendere omaggio. Durante il giorno al caldo, di notte col freddo, circa 5 milioni di persone stavano in fila in movimento, 10 m all’ora. Nessuno ti anticipava, non si discuteva, a quel tempo a Roma la delinquenza non esisteva.

San Giovanni Paolo II una volta disse: “Non si scende dalla croce, si muore sulla croce”. Così ha fatto fino alla fine, dopo 104 viaggi apostolici nel mondo per circa 1,16 milioni di km percorsi, visitando 129 Paesi, oltre 400 milioni di persone lo hanno visto di persona. È stato il primo ad aver visitato una Sinagoga, la Casa Bianca e la Cuba comunista.

Ad Assisi si era seduto con gli altri rappresentanti delle religioni, a Damasco aveva visitato una moschea, a Casablanca aveva baciato una copia del Corano, a Gerusalemme aveva messo un biglietto sul Muro del Pianto, chiedendo perdono per gli atteggiamenti dei cristiani del passato.

Il Papa polacco non ha nascosto la sua personale croce e sofferenza, sono stati lo strumento della sua missione e del suo apostolato. Ha superato i limiti delle capacità umane, esprimendo solidarietà alla sofferenza dell’umanità in anni di sofferenza. Durante gli anni della sua malattia, non ha pronunciato una parola scoraggiata o un pensiero sconsiderato.

Con sofferenza, anche senza voce, si rivolgeva alle moltitudini, ha dato loro una nuova prospettiva sul dolore. Non ha nascosto le difficoltà della morte, la sua crudeltà e la sua debolezza. Ha mostrato come combattere e non arrendersi. Non è morto da solo dietro un lenzuolo bianco, ma davanti agli occhi del mondo. L’ho osservato e ammirato da vicino, ripetendo spesso il suo richiamo: “Non abbiate paura, aprite, anzi spalancate, le porte a Cristo”.

 

Subscribe
Notificami
1 Commento
Oldest
Newest
Inline Feedbacks
View all comments

San Giovanni Paolo II, Papa Carol Woitila Grande Uomo di Dio Grazie, Grazie della Tua presenza nella mia un piccola vita, grazie di Essere entrato nella mia umile casa e con la Tua Potente Voce mi hai svegliata da un letargo subito e immediato hai dato una svolta ..
Ancora e sempre Grazie di cuore, da Daniela e Vittorio