Putin cerca il suo “spazio vitale”?

A cura di Pietro Licciardi

LA RUSSIA COMBATTE PER DIFENDERE LA SUA SFERA DI INFLUENZA. L’ANALISI DI SILVIA BOLTUC 

Silvia Boltuc è managing director presso Special Eurasia Geopolitical Intelligence si occupa di questioni e rapporti internazionali con particolare attenzione verso il Medio oriente e l’area caucasica.

Secondo lei, perché si è lasciato che la situazione in Ucraina, degenerasse fino ad arrivare alla guerra? L’Europa non ha imparato nulla dalla crisi balcanica dei primi anni Novanta? 

«Sicuramente l’Europa non sta uscendo benissimo da questo conflitto e se vogliamo scomodare le tesi di coloro che vengono volgarmente definiti complottisti c’è chi pensa che questo sia stato un tentativo statunitense di allentare il processo di avvicinamento che stava avvenendo tra la Germania e la Russia. In effetti se andiamo a vedere il pensiero degli strateghi statunitensi, erano contrari al fatto che una unica potenza si ergesse sull’eurasia e temevano l’unione tra la Germania e la Russia, che insieme avrebbero avuto il potenziale per scalzare gli Stati Uniti. E’ chiaro che non possiamo sapere se vi sono solo queste o altre ragioni. Sicuramente un’altra nota di demerito è che l’Ucraina non ha mai saputo darsi un governo che unisse le sue due anime. Io sono stata molte volte a Kiev e loro di sono dati una serie di governi che o sposavano in toto le posizioni più filorusse o quelle più filoeuropee e questo ha creato una spaccatura nella popolazione che ha portato ai conflitti che vediamo oggi. C’è anche da dire che l’Ucraina nel 2016 ha firmato il primo pacchetto di assistenza con la Nato, quando i russi fino a dicembre 2021, con le truppe già ammassate, avevano chiesto di firmare un accordo vincolante per la non entrata dell’Ucraina nella Nato e l’impegno da parte dell’Occidente di non utilizzare quel territorio per scopi militari. E’ chiaro però che ci muoviamo nel campo delle speculazioni. La Russia ha sempre detto di non volere la Nato sui suoi confini il che dal punto di vista geopolitico è credibile, poi se è solo questo che l’ha spinta a invadere o anche la volontà di espandersi non lo sappiamo. Chiaro è che nessuna delle due parti avrebbe accettato di cedere. Ricordo che nell’Agosto precedente l’inizio del conflitto ero in Ucraina per il summit sulla Crimea organizzato da Zelensky per convincere i Paesi occidentali ad aiutarlo nella riconquista della penisola e lo fece in maniera molto forte»

In questa guerra sembra che gli unici a guadagnarci siano gli americani mentre a perdersi sono soprattutto la Russia, l’Europa e la Cina. Possiamo noi europei continuare ad essere assenti dalla scena internazionale?

«Ci sono delle eccezioni. La Germania fino a qualche anno fa era considerata uno dei leader europei più forti e col cambio avvenuto alla cancelleria ha perso un po’ il suo ruolo ma la Francia no. Ricordiamoci che durante tutta la crisi ucraina Macron è stato uno dei più attivi nel cercare di mettersi in comunicazione con Putin e trovare un accordo e proprio in questi giorni sempre Macron ha detto: attenti a non cadere nella tentazione di seguire ciecamente gli americani; non per volerli biasimare –chiaramente come Europa siamo loro alleati – ma semplicemente perché ci sono degli interessi che non coincidono. Chiaro che Macron si riferiva alla situazione cinese, ma ci sono ancora dei paesi che guardano alla leadership europea. Non diamo l’Europa per spacciata anche se sicuramente c’è stata disunione e un po’ d’impreparazione davanti a qualcosa che si poteva immaginare degenerasse»

Anche a lei chiedo se il Papa aveva ragione quando tempo fa ha detto in sostanza che Stati Uniti e Nato hanno tirato un po’ troppo la corda ignorando gli avvertimenti di Putin che non voleva loro truppe troppo vicine ai propri confini

«In questo caso sono abbastanza disponibile a fare concessioni ai russi, nel senso che credo abbastanza nelle sfere di influenza e non penso il problema fosse tanto l’Europa alle porte quanto gli Stati Uniti; tanto è vero che in questo ultimo anno abbiamo visto gli americani attivissimi per ridurre l’influenza russa in tutto lo spazio post sovietico. In Kazakistan, nell’Asia centrale, nel Caucaso si sono attivati ovunque per tentare di insidiare l’influenza russa ed effettivamente questa percezione da parte di Mosca c’è. Certo, probabilmente si è pensato molto all’aspetto geopolitico e poco all’aspetto locale. Mi ha colpito una frase del cancelliere tedesco Sholz – anche se si riferiva ad un’altra area di conflitto scaturito sempre dal crollo dell’Unione sovietica, il Nagorno Karabakh – con cui ha ammesso che in quei territori disputati il diritto all’autodeterminazione è arrivato ad avere la stessa valenza dell’integrità territoriale e che quindi è necessario trovare un compromesso. Noi parliamo molto degli interessi delle potenze in campo ma ci sono situazioni che partono anche dal basso e non necessariamente sono influenzate dall’esterno. Un altro dettaglio che credo sia interessante, reso noto dall’intelligence inglese – forse la migliore al mondo – e che ha trovato conferma da chi è stato inviato con l’esercito russo, è che quando i convogli russi sono entrati in Ucraina i soldati avevano nello zaino le divise da parata. Ovvero: Mosca aveva lavorato negli ultimi anni per “oliare” parte del governo ucraino ed entrare trionfalmente a Kiev ottenendo con poco spargimento di sangue un cambio di regime con le dimissioni di Zelensky e l’istaurazione di un governo più vicino a Mosca. Con l’inaspettata reazione e anche la grossa sconfitta subita dall’FSB anche Mosca si sta muovendo su un terreno nuovo e quando si chiede qual è l’intenzione della Russia sinceramente… Come noi ci regoliamo su ciò che fa Mosca anche Mosca si regola su quello che facciamo noi occidentali e arrivati a questo punto c’è una corresponsabilità su come questo conflitto andrà a finire».

Questo conflitto sta probabilmente influenzando anche la situazione in Medio oriente, già difficile prima che la Russia, diventata uno degli attori in quel contesto, si ritrovasse con ben altro di cui occuparsi. La persecuzione dei cristiani è nota e forse aumenterà anche la conflittualità tra sciiti e sunniti. Lei che ne pensa?

«Gli scontri religiosi in Medio oriente sono all’ordine del giorno ed è chiaro che bisognerebbe analizzare i singoli contesti e paesi. Quelli che forse storicamente hanno più copertura mediatica sono i cristiani maroniti del Libano. Se vogliamo trovare un filo rosso che accomuna i cristiani dell’area è che molti hanno lasciato i loro Paesi e a detta delle stesse comunità con cui ho avuto modo di parlare questo è avvenuto perché sono tra i più benestanti e con i mezzi per potersene andare. Mi riferisco al Libano ma anche alla Palestina. Ho intervistato il capo della Caritas di Nazareth in Israele e anche lui mi ha parlato di una fuga in massa di cristiani, i quali condividevano lo stesso destino dei mussulmani sotto l’occupazione israeliana. Sempre in base alle mie ricerche pure in Siria è stato registrato da parte della Turchia, un po’ come aveva fatto a suo tempo Stalin, lo spostamento di popolazioni per creare una concentrazione etnico-religiosa più favorevole alle mire siriane di Ankara. I cristiani lamentano un certo abbandono da parte della Chiesa di Roma e questo va ribadito. Forse il Papa coi suoi recenti viaggi ha voluto un po’ rimediare a questo ma se posso dare un giudizio personale credo che non è stato fatto abbastanza perché le popolazioni hanno comunque finito per lasciare il loro paese. Le tematiche sono diverse. Se parliamo di estremismi religiosi nello stato islamico in cima alla lista dei perseguitati non c’erano i cristiani ma gli sciiti, anche se poi seguivano a ruota tutti coloro che non avevano come riferimento l’Islam».

Lei prima ha detto che Putin sperava in un veloce colpo di mano in Ucraina per riportarla sotto l’ala della Russia. Quindi è plausibile pensare che si sarebbe fermato e senza prendersi altri pezzi di ex Unione sovietica, come paventato?

«Sono abbastanza restia a soffermarmi su questo tipo di ragionamenti. Fondamentalmente solo Putin sa cosa pensa Putin e quindi dire se ha mire imperialiste o spera di ricostituire l’Unione sovietica sono solo speculazioni che servono a vendere giornali. I dati che abbiamo sono che quando è crollata l’Urss Putin ha detto che quello è stato uno dei giorni peggiori della sua vita ma non viene mai riferita la frase che ha pronunciato subito dopo, ovvero che era necessario e inevitabile. Anche lui ha riconosciuto i limiti di un certo tipo di regime. E’ vero anche che l’attuale sistema russo non è propriamente comunista, pensiamo ai miliardari che occupano posti di rilievo, ciò nonostante vediamo dalle attuali politiche di Mosca che tutto quello che considera e percepisce come il suo spazio vitale e che coincide con lo spazio postsovietico lo vuole sotto la sua influenza. Non so se è un fatto ideologico o un fatto puramente geopolitico. Creare una zona di divisione tra se e gli altri stati è più o meno qualcosa che le grandi potenze fanno. Lo fa anche la Cina in Asia centrale e lo hanno fatto gli Stati Uniti in America latina. Se poi questo sottende un desiderio di Putin di governare un grande impero non credo obbiettivamente noi possiamo dirlo. Quello che si può dire è che negli ambienti vaticani e religiosi c’è una certa nostalgia non per l’Urss ovviamente ma per la Russia imperiale».

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