Il fascino discreto – e politicamente corretto – del “migrante” celtico
di Gianmaria Spagnoletti
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UN ARTICOLO DI GIORNALE DEFINISCE “MIGRANTE” UN GUERRIERO DELL’ETÀ DEL FERRO. MA È POSSIBILE CHE PER ATTRARRE QUALCHE LETTORE IN PIÙ SU UN ARGOMENTO “DI NICCHIA” SI DEBBA PER FORZA ATTUALIZZARE FATTI DI MIGLIAIA DI ANNI FA? VALE SEMPRE IL VECCHIO ADAGIO DI TOTÒ: «MA MI FACCIA IL PIACERE!»
Leggo da un’ANSA del 12 maggio che ad Aosta è stato scoperto il tumulo dove è sepolto un guerriero celtico dell’Età del Ferro. Le analisi effettuate sui suoi resti e in particolare sui denti hanno evidenziato che il guerriero nacque in un luogo piuttosto distante da Aosta, nella zona dell’attuale Germania, da dove si spostò in età molto giovane. Ed ecco qui il colpo di genio: secondo il giornalista (o il titolista?) il guerriero celtico era un migrante. Come con un colpo di bacchetta magica, la notizia che normalmente potrebbe interessare solo un pubblico di nicchia diventa all’improvviso d’attualità. «Migranti dell’Età del Ferro? Ohibò, questa non l’ho mai sentita. Vado subito a leggere». Insomma, sta a metà fra il furbesco “titolo acchiappa click” e l’attualizzazione forzosa di un uomo vissuto e morto 2700 anni fa come se, per attrarre il lettore di media cultura, non ci fosse altro modo che sfoderare una parola magica.
Il fatto è che i Celti fecero effettivamente delle migrazioni, ma non fu certo il loro tratto primario, perché riguardò solo alcuni periodi della loro storia. Il luogo d’origine della cultura celtica si colloca in un’area relativamente piccola compresa tra le attuali Svizzera, Austria e Germania, dove si svilupparono le culture di La Tène e Halstatt nel VIII secolo a.C. Da qui i Celti si espansero verso le attuali Francia e Italia nel IV secolo a.C. (il sacco di Roma ad opera di Brenno è del 390 a.C.) e successivamente giunsero fino nei Balcani, e in Europa Orientale. I motivi di questi spostamenti non sono del tutto noti, ma si ipotizza che uno fosse la ricerca di nuove terre da coltivare e l’altro il mercenariato al servizio di vari sovrani. Infatti la società celtica era composta da agricoltori guidati da una aristocrazia guerriera. Mercenari celti arrivarono persino a scontrarsi in battaglia alle Termopili contro nel 279 a.C. contro i Greci, per poi giungere a Delfi e saccheggiare il tesoro del tempio di Apollo. Successivamente sconfitti, una parte di essi fece ritorno alle pianure danubiane da dove era partita la spedizione, un’altra finì per stabilirsi in un territorio nell’attuale Turchia, che ne prese il nome: dato che i greci chiamavano “Galati” i celti, quella zona divenne nota come “Galazia”. Stessa origine ha la “Galizia” spagnola e, forse, la “Galizia” che si trova tra le attuali Polonia e Ucraina.
In seguito i Celti si stabilirono in diversi territori e, alla professione di guerrieri, agricoltori, artigiani, affiancarono quella di mercanti e di allevatori (dai Celti Boi, soprannominati “Boivarii”, cioè “allevatori di bestiame”, sono derivati “Baviera” e “Boemia”) tanto che molti nomi di animali, in italiano, francese e inglese, sono di origine celtica: ne è un esempio “cavallo” che ha soppiantato in generale equus (ma usiamo anche “equino” e “ippica”, di origine greca). I Segusii, a cui si deve il nome di Susa e dei suoi abitanti (segusini) allevavano un cane da fiuto utile per la caccia, il segusius, molto apprezzato anche in seguito, tanto che il nome è rimasto fino a oggi.
In sintesi, nel momento di massimo splendore, i Celti occupavano l’intera Europa, dalla Spagna fino all’Est europeo: ma una tale potenza non poteva non scontrarsi con quella (emergente) di Roma. Notoriamente lo racconta Cesare nel “De Bello Gallico”: quelle popolazioni che non accettarono l’alleanza con, o la sottomissione a Roma (come la nostra Gallia Cisalpina) finirono sterminate. Lo stesso accadde con la Britannia, “visitata” prima da Cesare nel 55 a.C, e poi conquistata in varie riprese tra l’impero di Claudio e quello di Antonino Pio.
Le armate dei Celti erano sì potenti, ma non avevano potuto resistere alle legioni romane, superiori in ogni aspetto. Si aggiunga che i Celti non sono mai stati un vero “popolo”, ma un insieme di tribù mai veramente unite e anzi, a volte in contrasto tra loro. Inoltre erano molto meno evoluti dei Romani, non avendo nemmeno un alfabeto proprio (che, a seconda dei casi, appresero dai Greci o da altri popoli) dato che tutta la loro cultura era tramandata oralmente e andò quasi totalmente perduta quando Cesare fece sterminare i Druidi, “perno” della resistenza all’invasore. Per questo, se oggi sappiamo molto degli usi e costumi dei Celti è grazie a scrittori greci e latini.
Con i Celti sottomessi in Gallia e in Britannia i Romani si comportarono abbastanza benevolmente (benché la rivolta di Vercingetorige e quella di Boudicca, regina degli Iceni, siano state sanguinosamente represse) tanto che fino alla caduta dell’Impero d’Occidente si parla di popolazioni “gallo-romane”, perché i conquistatori si limitarono a introdurre il proprio modello statale senza toccare gli usi e costumi locali.
Per concludere: i Celti furono “migranti”? No. Non nel senso che intendiamo oggi. Piuttosto, erano tribù “nomadi” o “semi-nomadi” che poi divennero stanziali. Infatti molti nomi di città in Francia, Italia ecc. hanno radici celtiche (si veda più sotto qualche esempio). Cercare di attualizzare per forza la storia antica è uno stratagemma che serve per mettere insieme uno o forse due lettori in più per il giornale, ma soprattutto è antistorico perché non tiene conto che “quella” storia si è svolta con dinamiche e circostanze completamente diverse da quelle di oggi, e quindi si rischia di darne una immagine distorta: ad esempio bisogna considerare che a quei tempi (nell’Età del Ferro) l’Europa aveva una densità abitativa di meno di 3 persone per Kmq, e quindi i territori oggetto di quelle antiche migrazioni erano praticamente deserti. Oltretutto a chi intende “zuccherare” la storia del “migrante di Aosta” ricordo che i Celti non erano propriamente dei “buoni” da romanzo, dato che usavano fare sacrifici umani e tagliare le teste dei nemici uccisi, tenendole come trofeo (ne danno un pallido ricordo le phalerae rinvenute a Manerbio, nel Bresciano, negli anni ’20).
Che cosa li ha “ammansiti”? Per prima cosa, il diritto romano, e poi il cristianesimo. Benché i Romani in guerra non andassero tanto per il sottile, consentivano ai sottomessi di continuare a vivere come prima, una volta garantita la fedeltà all’Impero. Questo valeva per i mestieri, per i culti delle vecchie divinità (assimilate a quelle greco-romane), ma anche per la lingua locale, che coesistette in modo “non ufficiale” con il latino. Ancora nel IV sec. d.C., San Girolamo scrisse nel suo “commento alla lettera ai Galati” che gli abitanti di Treviri (allora parte della Gallia Belgica) e i Galati parlavano quasi la stessa lingua.
Con il crollo dell’Impero d’Occidente furono i “nuovi venuti” (Franchi, Burgundi, Longobardi ecc.) che, per stabilire una continuità con l’antica Roma, imposero dovunque l’uso del latino mettendo la pietra tombale sulle lingue celtiche continentali.
Con l’avvento della nuova religione cristiana vi fu un’ultima apparizione dei Celti nella storia, nelle vesti dei monaci missionari irlandesi, che in un flusso incessante arrivarono sul continente per portare il Vangelo là dove la predicazione non era ancora giunta. Infatti San Colombano morì a Bobbio (Piacenza) dove aveva fondato l’abbazia ancor oggi esistente.
Se a tutt’oggi si può parlare di “lingue celtiche”, si tratta di quelle insulari, cioè il gaelico scozzese e irlandese, sopravvissute fino a oggi (oltre al bretone) anche se i parlanti veri sono ridotti a piccoli “Fort Apache” a causa dell’incessante opera di cancellazione da parte dei poteri statali e dei mass media.
Per curiosità dei lettori, moltissimi toponimi di città europee, specialmente in Francia, sono di origine celtica; rimangono a tutt’oggi in uso circa 350 parole celtiche in francese, probabilmente lo stesso numero in inglese, forse un po’ meno in italiano (per esempio baita, battaglia, becco, bocca, braghe, brocca, carro, camicia, carrozza, lancia ecc). Molte sopravvivono anche nei dialetti che vengono definiti “lingue gallo-italiche”parlati fino all’Italia centrale, dove una città di nome Senigallia (Sena gallica) denuncia chiarissime origini di quel tipo.
Esempi di toponimi celtici in Italia
Milano: da Mediolanon (“in mezzo alla pianura”)
Toponimi in -enn-: roccia
Toponimi in -uno- / -duno-: “fortezza” (Induno, Chiuduno, Leggiuno…)
Toponimi in -berg- / -bric-: “monte” (Bergamo, Brescia)
Toponimi e idronimi in -bor-: “acque ribollenti” (Bormio, Bormida)
Toponimi in -bon-: “villaggio” (Bononia)
Toponimi in -ago / -aga ; -igo / -iga ; -aco / -aca: “podere di…”
Toponimi in -ate: “di” o “presso”
Idronimi come Reno / Rino: “mare” (lo stesso che il Reno tedesco)
Idronimi in -mbr-: “acqua che scorre” (Lambro, Nembro)
Idronimi in -brem-: “acque tonanti” (Brembo)
“Benaco” (Lago di Garda): “dai molti promontori”