Dopo 700 anni il Dante filosofo è di nuovo attualissimo

Dopo 700 anni il Dante filosofo è di nuovo attualissimo

di Andrea Rognoni

UN ALTRO ASPETTO DEL SOMMO POETA DA RISCOPRIRE…

La filosofia di Dante rappresenta un capitolo fondamentale del pensiero medievale e al tempo stesso una pietra miliare della cosiddetta ISOIDA TOSCOITALIANA, vale a dire quella specie di identità nazionale che si basa prima ancora sulle idee che sui gusti ed i comportamenti. Riprenderla in mano, cercare di focalizzare nuovamente e con inedita volontà di approfondimento significa riportare alla luce un tesoro inestimabile, a cui attingere tuttora per comprendere il senso ultimo delle scelte da compiersi in Italia ed in Europa per raddrizzare le sorti di un millennio nato malfermamente, come dimostra la stessa simbologia infausta delle due torri crollate, scenografia che non sarebbe dispiaciuta allo stesso Dante apocalittico della Prima cantica della Commedia.

Quel che veramente conta e’ innanzitutto riassumere quanto ha prodotto la critica dantesca al proposito, con particolare attenzione agli studiosi, non tantissimi per la verità, maggiormente dotati di talento ermeneutico in fatto di questioni schiettamente filosofiche, nonché poi procedere ad una sorta di sinossi didattica della filosofia dantesca , sulla base di quanto scritto e di quanto può servire ancora in riferimento all’ utilizzo della stessa in chiave di fondamento extratemporale e fertile consiglio sulla attualità.

Esercizi certamente non facili per tantissimi motivi, innanzitutto per la complessità dell apparato filosofico approntato dal Sommo ma genialmente spalmato in tre opere strutturalmente diverse, e differenti perfino nel codice espressivo, vale a dire Convivio , Monarchia e Divina Commedia. Non può neppure desumersi un lavoro veramente organico come nell’ opera omnia di un filosofo vero, anche a causa dell utilizzo, peraltro mirato ad una più sottile comprensione della stessa materia filosofica, di un linguaggio di ispirazione più poetica, estetica e artistica che di ricognizione gnoseologica o scientifica. Ma qui sta proprio la prima grande lezione del Maestro: la vera filosofia non deve esser costretta a produrre i suoi concetti , i suoi sistemi e i suoi sillogismi soltanto attraverso un codice afferente ad una semiologia realisticorazionale, votata cioe’ all ‘ astrazione concettuale di impronta puramente logicoinduttiva o logicodeduttiva.

Tutto questo a maggior ragione se, come vuol far Dante, la vera filosofia da proporre non è tanto una visione del mondo o una interpretazione del senso ultimo delle cose ma una indagine sulla maniera e il percorso con cui deve venire esercitata la filosofia stessa. Si tratta insomma di una vera e propria META FILOSOFIA, una impresa di primaria entità che pochi filosofi hanno voluto davvero affrontare nel corso della storia del pensiero universale. Una profonda riflessione sul senso ultimo della filosofia come salvezza del genere umano attraverso la conquista della piena consapevolezza del ruolo esiziale della nostra specie.

La maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che codesta METAFILOSOFIA assuma una caratteristica di notevole eclettismo, tale da non esser riconducibile ad una scuola precisa, presentandosi a conti fatti come il frutto di una riflessione originalissima. Da Nardi a Gilson, sono stati ampiamente demistificati le presunte dominanze del tomismo (che rimane comunque un palinsesto sostanzioso) e del neoplatonismo (il concetto di emanazione della luce di marca plotiniana alita in tutta la Commedia, come dimostra magistralmente l’esegesi di Romano Guardini), pur presenti nel pensiero dantesco come lieviti insostituibili.

Aristotele, pur mediato da Tommaso per impraticabilità del campo linguistico greco, risulta comunque una specie di ‘imperator mentis’, nel senso che moltissimi spunti sono riconducibili alla LECTIO metafisica dello Stagirita, così sensibile tra l’altro all’ impegno sociopolitico della umanità in chiave di applicazione morale del sistema ontologico. Questa presenza ingombrante di marca pagana, ha fatto parlare qualcuno di eresia, tematica che si è trascinata fino ai nostri giorni, non senza allusioni ad una presunta frequentazione da parte del poeta di circoli o sette poco ortodosse in senso religioso. Ma, mentre per una lettura esoterica paiono non esserci più dubbi, rimane salda la convinzione che Dante non volesse affatto opporsi al retto pensiero cristiano, pur leggendolo in una chiave di apertura razionale che può trarre in inganno i più maliziosi.

In realtà non si può negare la suggestione esercitata su di lui da altri autori di marca religiosa come Pier Lombardo, Alberto Magno e Sigieri di Brabante, mentre rimane sostanzialmente estraneo al filone arabo per l’accanita opposizione dantesca alla dottrina della doppia verità ( un margine di orientalismo potrebbe venir spiegato colla mediazione della frequentazione iberica del Maestro Brunetto Latini).

Della triade appena citata subisce fascino sul versante della gnoseologia applicata alle verità ultime. Per esempio trova nel “De intellectu” albertiano la linfa giusta per indagare una certa autonomia della ragione rispetto alla fede come accesso alla felicità terrena. GILSON nei suoi lavori ci ha spiegato benissimo che tale autonomia non risulta opposizione alternativa ma graduale approccio alla realtà che non può non esitare nel trionfo della teologia. Del resto tale impostazione un po’ dislessica rispetto allo zoccolo duro del medievismo ha appassionato quegli storici che hanno voluto vedere in Dante il precursore dello stesso umanesimo. Forzatura pure quest’ ultima se leggiamo con cura i versi dell’Inferno.

La METAFILOSOFIA dantesca comprende quella dimensione tipicamente estetica che compete all ‘impiego strategico del linguaggio espressivo. Una frase dotata di significato o un verso endecasillabo presentano un significato letterale e altri significati profondi che conducono nella regione dell ‘anagogia e dell ‘allegoria. A questa polisemanticita’ non può sottrarsi neppure l’ assioma o la definizione di ordine filosofico. Qualsiasi tentativo di ridurre l’ indagine ad un livello linguistico di scientificità intenzionata nasconde una presa di posizione di carattere interpretativo o addirittura persuasivo in senso propagandistico. Pensate alle conseguenze di tale deriva ermeneutica nella storia della stessa filosofia.

Vi e già l’intero dilemma proposto dalla fenomenologia e dal formalismo contemporanei rispetto alla tradizione metafisica da una parte e all’ empirismo dall’ altra. In tal modo il concetto stesso di scienza adottato da Dante nella descrizione dell’ oggetto dello scibile nel Convivio, dal trivio al quadrivio, rimanda ad una visione larga della conoscenza, non piu’ compresa dal patto faustiano impostato da Bacone per la modernità, che costringe invece il vero studioso all’ uso della retorica per riuscire ad avvicinarsi alla verità da un lato e dall ‘altro per attuare un piano strategico di comprensione a favore di allievo e decodificatore. Di qui la dicotomia inevitabile tra l’applicazione costante verso la filosofia del linguaggio come avanguardia della filosofia ‘essoterica’ e modulazione esoterica della crescita spirituale , evidenziata dallo stesso Guenon.

Sul primo versante la stessa opera in latino “De vulgari eloquentia” presenta un intento filosofico perché dimostra che il volgare di alcune regioni italiane si presta meglio del latino allo studio della materia polisemantica. Secondariamente, non si può non notare che strumentazioni espressive e misurative quali quelle adottate da cosmologia, astronomia e astrologia, per esempio nella classificazione dei cieli in merito anche al pianeta in ognuno dominante o nella localizzazione del ciclo apocatastatico (intuizione stoica) attraverso la temporalizzazione del viaggio anabatico della Commedia, vanno viste e usate come straordinari apparati simbolici per capire appieno il percorso da intraprendere nell’ approfondimento progressivo della realta’.

E non e’ neppure distrazione fantasmatica, ancora oggi, scomodare il cielo delle stelle fisse per focalizzare l oggetto della fisica e della metafisica, il cosiddetto Cristallino per la filosofia morale e l’Empireo per la teologia. La lezione dantesca sulla superiorità della morale rispetto alla metafisica rimane tra l’altro validissima oggi per un mondo così laicizzato, tentato dalla bioetica più facile, quella di ordine materialistico che pone la fisica in cima a tutto, al posto della teologia. E la stessa etica risulta fonte di felicità solo se guidata dalla comprensione razionale, in altre forme cade vittima delle emozioni e delle passioni, non conosce più la gentilezza costitutiva di quella donna tanto amata, ecco l’immagine fondamentale che sta alla base del Convivio, in grado di ispirare la vera sapienza, in un nesso privilegiato tra mente e cuore.

La metapolitica dantesca parte anch’essa da un plafon di carattere cosmologico, colla teoria dei due soli, che garantisce l’indipendenza dell’Impero, voluto comunque direttamente da Dio, rispetto alla Chiesa. Derivando dalla morale, la vita politica si erge risoluzione dell intera gamma dei problemi terreni, in ordine all ‘esercizio collettivo della felicità possibile. Tanti gli spunti di attualità, dal valore dello stato come garan zia di sovranità alla necessità di non ingerenza nelle scelte politiche da parte del papa, reggitore unicamen te delle sorti spirituali. E proprio per il fatto che la struttura imperiale si basa gia’ su un fondamento di difesa dei principi cristiani (ecco un ottimo spunto di riflessione sul valore di una vera Europa dei popoli che non ceda al “laicismo pluriconfessionale”) che le direttive ecclesiali non possono divenire “politiche”.

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