Inquietante attacco in una scuola, ferita un’insegnante

di Antonella Paniccia

L’ULTIMA TAVOLA DI SALVEZZA

“Progetto Scuola Sicura”. Un best seller, sicuramente, fra i progetti che si potrebbero divulgare con Circolare Ministeriale dopo gli episodi di violenza che, con crescente frequenza, si sono registrati nelle scuole.

Un’idea appropriata, considerando il far west che serra come una morsa la (ex) scuola italiana, ove ormai si è toccato il fondo. Sì, perché andare a scuola è diventato rischioso. A scuola si accoltella.

È accaduto ad Abbiategrasso di Milano, dove uno studente di 16 anni ha ferito una docente che è ora ricoverata in ospedale con prognosi riservata. Rambo docet. Dunque, dovremo attenderci una nuova disciplina scolastica per il futuro? Magari,  Scienza di Conservazione della vita? Oppure, almeno, “Corso di Sopravvivenza per docenti, studenti e dirigenti”?

Ci salverà l’ironia… è stato già detto? Ma dovremo abituarci. Purtroppo, dovremo abituarci a questi episodi apparentemente indecifrabili di giovani che, in modo così ostentato – e violento – rivelano tutto il malessere che hanno assorbito da una società malata all’origine, incapace di offrire valori autentici e dignitosi modelli di vita, né di corrispondere adeguatamente alle loro attese di un futuro accettabile.

Di chi la colpa? Sicuramente le cause sono molteplici. Possiamo partire da non molto lontano, magari da quel famoso ’68 che ha fatto da tremendo spartiacque tra una scuola che, seppur migliorabile, offriva comunque la tranquillità di valori etici e morali, ed elargiva – a chi ne avesse avuto almeno il desiderio – una cultura adeguata alle istanze lavorative consentendo anche di orientarsi correttamente nei labirinti  della vita.

La stessa scuola ove si studiava anche educazione civica e si apprendeva che, del modello base di vita, la famiglia, erano tutelati i diritti dall’articolo  29 della Costituzione,  in quanto essa costituiva una società naturale fondata sul matrimonio. Sì, la famiglia che, pur se talvolta ferita al suo interno da difficoltà economiche o da incomprensioni, rappresentava comunque lo spazio vitale essenziale, il territorio nel quale l’individuo costruiva le sue sicurezze emotive ed affettive, sviluppava la sua identità di persona,  traeva conferme per le proprie capacità.

Oggi la famiglia è attaccata violentemente, inesorabilmente, da potenti lobbyes lgbt e anche da alcune leggi che, sebbene emanate a tutela dei diritti delle cosiddette minoranze “discriminate”, in realtà ne offuscano, sino a cancellarla, l’immagine originaria. Così, infatti, nelle scuole si assiste impotenti al diffondersi delle ideologie che, mentendo, narrano ai bambini, sin dall’infanzia, di una creazione dell’uomo avvenuta in maniera diversa dalla realtà (perché tutti siamo nati da una mamma e da un papà). Si fa a gara per disorientare i bambini, la diversità  diventa requisito unico di normalità e si taccia come anormale ciò che è naturale e veritiero.

E perché ci meravigliamo, allora, se ai ragazzi ora manca il terreno sotto i piedi? Se sono fragili e, anziché affrontare un problema o condividerlo con persone di fiducia, preferiscono annegarlo nell’alcool, dissolverlo nei fumi della droga o eliminarlo lanciandosi nel vuoto?

Carissimi…qual è il modello che oggi abbiamo offerto? A quali sforzi abbiamo temprato questi ragazzi, a quale disciplina li abbiamo allenati? Quali certezze abbiamo offerto?

Viceversa: con quali nefaste ideologie abbiamo nutrito la loro mente? Quanto ci siamo adoperati perché il disastro non avvenisse? Ecco, ora siamo alla resa dei conti.

E perché, nascondendo la testa sotto la sabbia, non vogliamo riconoscere che le tanto sbandierate attese di estrema (quanto falsa) libertà deludono, e vengono – in realtà – ad annullare i diritti di tanti (soprattutto di quanti sono nati e vissuti all’insegna di quei valori cristiani oggi tanto vilipesi, offesi e sconosciuti agli stessi cristiani)? Dal punto di vista pedagogico, poi, dal momento che siamo in clima di commemorazioni – quasi di beatificazione – oserei dire, di maestri che vengono qualificati fra le eccellenze, sarebbe opportuno allargare un po’ lo sguardo sui luoghi triti e ritriti, sulle frasette costruite ad hoc per ricordare taluni personaggi per anni proposti come autentici modelli pedagogici.

Senza troppo girare intorno, non sarà il caso di riconsiderare l’opera “educativa” di don Milani? Sicuramente un sacerdote idealista, ma i cui ideali – probabilmente – vanno rapportati fortemente alla sua stessa vita, alle esperienze maturate già nell’ambito dell’educazione ricevuta in famiglia (e qui ognuno potrà adoperarsi per conoscenza).

Sicuramente animato da ottimi propositi (ma è pur vero che le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni) egli si prodigò per offrire un modello di scuola che, in netta opposizione a quella di gentiliana memoria, sotto l’egida dell’uguaglianza, pian piano ha finito col produrre una sorta di livellamento al basso dei saperi e delle menti.

Pertanto, l’obiettivo prioritario della scuola, quello di formare capacità, offrire conoscenze e avviare a saperi superiori, veniva inesorabilmente demolito e sostituito in nome di una scuola che si desiderava priva di valutazione e di regole, dove i docenti avrebbero dovuto rapportarsi alla pari con i discenti senza esercitare alcuna forma di autorevolezza: così, infatti, si pensava di creare una scuola non classista.

Invece, con l’alibi di una scuola più democratica, si è venuta a diffondere una scuola malata nel suo interno, esautorata dei suoi fini pedagogici, fallimentare negli esiti finali. Una scuola che, nel corso degli anni, ha finito per perdere sempre più considerazione persino agli occhi degli studenti. Una scuola dove non trovavano spazio le materie che, da sempre, hanno costituito le fondamenta del sapere di base, dove persino la conoscenza del latino (e tutta la cultura che ne deriva) veniva derubricata a strumento di selezione tra ricchi e poveri e l’italiano era considerato alla stregua di strumento di discriminazione, per cui necessitava esaltare il dialetto.

Non ci si meraviglierà più di tanto se oggi, i nostri giovani, non usano più le vocali quando scrivono, oppure quando sostituiscono la lettera “k” al “che”, mortificando la bellezza e lo splendore di una lingua armoniosa, fluida, ricca di suoni, di significati e di vocaboli  quale è la lingua italiana.

Ma – e qui non facciamo sconti a nessuno – le famiglie (almeno quelle che ancora esistono), che ruolo hanno oggi nell’educazione dei figli?

Il libro del Siracide, al capitolo 30, così ammoniva i genitori sull’educazione dei figli:

“Chi corregge il proprio figlio ne trarrà vantaggio e se ne potrà vantare con i suoi conoscenti…

… Chi accarezza un figlio ne fascerà poi le ferite, a ogni grido il suo cuore sarà sconvolto. Un cavallo non domato diventa restio, un figlio lasciato a se stesso diventa sventato. Coccola il figlio ed egli ti incuterà spavento, scherza con lui, ti procurerà dispiaceri. Non ridere con lui per non doverti con lui rattristare, che non debba digrignare i denti alla fine…”.

Troppa severità? Erano altri tempi? Eppure, anche Santa Caterina da Siena scrisse che un buon educatore deve valutare bene quando è il momento di usare la spada per correggere e l’unguento come carezza.

Contemporaneo, infine, lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet, ha invitato i genitori ad essere più vigili, ritenendoli colpevoli di un’educazione troppo morbida, e lo Stato a fare il proprio dovere per non correre il rischio di crescere una “generazione di lobotomizzati e anestetizzati che si rifugiano nell’alcool…e perdono l’incanto della gioventù…”. Non risparmia neanche i dirigenti scolastici, ovviamente, inchiodandoli alle loro responsabilità.

A chi apparirà troppo critico e duro nei giudizi, bisognerebbe chiedere: quali comportamenti vogliamo attenderci oggi, quando i ragazzi sanno che, comunque, essi resteranno impuniti dalla famiglia, dalle istituzioni scolastiche e dalla società? Quando anche il peggiore dei gesti o la più grande offesa verrà derubricata a semplice ragazzata? Quando il Consiglio d’Europa, autoproclamandosi custode della genitorialità, ha decretato che intende combattere la violenza nell’educazione? E per questa ragione ha vietato la più antica (e innocua) delle punizioni, cioè quella di dire ai figli di ritirarsi nella loro stanza (cornering)? (fonte: articolo di Antoine Béllion)

Fortunatamente c’è chi rimane coi piedi in terra. Prontamente, infatti, lo psichiatra infantile Maurice Berger, ha bollato come ignoranza scientifica tale proposta ed ha invitato a ristabilire la necessaria asimmetria educativa nei rapporti tra adulti e bambini.

Oltre tutte queste considerazioni – non ultima causa – va considerata l’assenza dell’educazione dei giovani alla fede e alla cultura religiosa, quella stessa cultura che ha permeato il tessuto tutto della nostra Europa. Oggi molti genitori hanno smesso di trasmettere la fede ai propri figli, hanno cessato di insegnare a credere, a pregare, a sperare. Sembra ormai un processo irreversibile. Quelli che vediamo sono gli esiti di tale abbandono. Eppure, ne sono certa, ancora si può fare un passo verso la salvezza. Ne sono convinta, ma i genitori devono iniziare ad educare alla fede i figli sin da bambini. I bambini hanno sete di sapere, di conoscere Dio, di incontrare Gesù. Non è fantasìa. È ciò che ho sperimentato negli anni di insegnamento alla scuola primaria, è quanto vivo ora nella mia esperienza di catechista. I bambini sono semplici, hanno il cuore pronto ad accogliere, a recepire, vogliono comprendere e vogliono essere aiutati. Sono loro l’ultima tavola di salvezza per il nostro domani. Non esistono altre vie.

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