La nuova percezione del tempo durante il Trionfo del Regno di Cristo

di Matteo Iacopelli e Alvise Parolini

MILLE NON PIÙ MILLE?

“Dopo avere avuto tutto quanto sopra, prendo la Bibbia per ricercare in essa ogni apparizione angelica. Passano così Abramo, Giacobbe, Tobia e poi il profeta Daniele. Nel capo 8° mi cade lo sguardo sui versetti 13-14. Giunta alla frase: “Rispose: Da sera a mattina, per duemila trecento giorni, e poi sarà purificato il santuario”, rapida come una freccia luminosa viene una risposta, meglio, una spiegazione: “Metti al posto della parola ‘giorni’ quella di ‘secoli’, perché per noi un secolo è meno di un giorno, e avrai la data della fine del mondo”. Non altro. Subitanea come è venuta, così è cessata la voce, che direi del mio interno ammonitore perché è simile alla sua” (Maria Valtorta, Quaderni dal 1945 al 1950 Capitolo 510, 21 dicembre 1945).

Quando San Giovanni Evangelista in Apocalisse 20,4-6 parla del Regno di 1000 anni del Signore, nell’originale greco, egli usa l’espressione χίλια ἔτη (hília éti). “χίλιοι” è sì il numerale 1.000, ma è anche un espressione idiomatica per dire “tantissimo”.

Quando diciamo “100 di questi giorni!” oppure “campare 100 anni”, non intendiamo fare un computo preciso di quante volte vogliamo che si ripeta quest’occasione o di quanti anni vogliamo vivere: noi auguriamo semplicemente che si raggiunga la pienezza, il limite massimo. Stessa cosa intende dire San Giovanni: il suo intento non è quello di dare un computo preciso della durata del Trionfo del Regno di Cristo sulla terra, ma di sottolinearne l’estensione, al contrario della brevità della Grande Tribolazione.

Nell’Opera dell’anima vittima viareggina Maria Valtorta (1897-1961), messa all’Indice solamente un anno dopo la morte del Venerabile Papa Pio XII, che nel 1948 aveva già invece concesso il Nihil Obstat pontificio, possiamo trovare alcuni indizi per comprendere meglio questo grande mistero del tempo del trionfo del Regno di Dio. A tal proposito segnaliamo un paio di estratti dai dettati di Gesù stesso.

A proposito del significato celato dietro alle due risurrezioni annunciate in Apocalisse 20: “Prima di chiudere questo ciclo vi è da dire delle due risurrezioni. La prima ha inizio nel momento in cui l’anima si separa dal corpo e appare davanti a Me nel giudizio singolo. Ma non è che risurrezione parziale. Più che risurrezione si potrebbe dire: liberazione dello spirito dall’involucro della carne e attesa dello spirito di ricongiungersi alla carne per ricostruire il tempio vivo, creato dal Padre, il tempio dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio” (Maria Valtorta, Quaderni del 1943 Capitolo 98, 22 agosto 1943).

In merito all’abolizione del tempo inteso in senso cronologico, per dare inizio al tempo del kairós, dell’eviternità, come ben formulato dalla metafisica tomista (cfr. S.Th., Summa Theologiae I, q. 10): “Io, non il mio angelo, Io stesso giuro che quando sarà finito il tuono della settima tromba e compito l’orrore del settimo flagello senza che la razza di Adamo riconosca Cristo Re, Signore, Redentore e Dio, e invocata la sua Misericordia, il suo Nome nel quale è la salvezza, Io, per il mio Nome e per la mia Natura, giuro che fermerò l’attimo nell’eternità. Cesserà il tempo e comincerà il Giudizio. Il Giudizio che divide in eterno il Bene dal Male dopo millenni di convivenza sulla Terra” (Maria Valtorta, Quaderni del 1943, Capitolo 96, 20 agosto 1943).

D’altronde non ce l’aveva già detto Gesù nel Vangelo, parlando da una parte di “risuscitati dai morti” e dall’altra “a riguardo poi” dei “viventi” che “devono [ulteriormente] risorgere”? “Non siete voi forse in errore dal momento che non conoscete le Scritture, né la Potenza di Dio? Quando risusciteranno dai morti, infatti, non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli. A riguardo poi dei morti che devono risorgere, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe?” Non è un Dio dei morti ma dei viventi! Voi siete in grande errore” (Vangelo di San Marco 12,24-27).

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