Il “transessuale”, la profonda frattura tra psiche e realtà corporea, la carriera alias e le leggi italiane…

di Domenico Conversa (Avvocato)

IL TRAMONTO DELL’IDENTITÀ

“Il prossimo ci passa accanto ogni attimo! […] Siate “in lui”, nei suoi dolori, nei suoi bisogni, nelle sue apprensioni, nei suoi dubbi, nelle sue poche gioie” (Chiara Lubich, 1947)

Scrivere questo articolo mi reca molto dolore nell’anima e nel corpo perché il mio pensiero è rivolto al futuro dei nostri figli. Osservo senza fiato una società che si perde nella confusione incapace di riconoscere quello che è bene e male, il bianco dal nero. E così mi ritrovo a scrivere queste modeste riflessioni discorrendo di temi di cui non avrei voluto discutere e se fossimo stati una civiltà realmente evoluta non sarebbe stato necessario. Invece siamo ripiombati in un nuovo medioevo illuminato di oscurità. 

Di seguito utilizzerò un linguaggio tecnico-giuridico che, ahimè, rischia di ridurre l’individuo ad una triste descrizione contingente, ma non posso spiegare in altro modo, almeno personalmente non riesco, la questione che appresso seguirà. Mi dispiace e mi scuso profondamente se potrò urtare la sensibilità di alcuni. Inoltre, i temi trattati con questo contributo forse toccano poco, almeno per il momento, la quotidianità di molti di noi e per questo possono essere considerati distanti rispetto ad altre questioni, ma la realtà bussa con forza alla porta della vita.

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Le persone transessuali sono coloro che intraprendono un percorso, detto “transito”, volto ad armonizzare il corpo al genere in cui si identificano. Il “transito” in Italia è sottoposto al controllo dell’autorità giudiziaria, mentre in altri ordinamenti europei, come quello spagnolo, la supervisione del procedimento è affidata all’autorità amministrativa.

L’ordinamento italiano è stato uno dei primi a fornire una disciplina del procedimento di rettificazione del sesso mediante l’introduzione della Legge 14 aprile 1982, n. 164, che riconosce alla persona transessuale di ottenere la modifica del sesso attribuito alla nascita e riportato nei registri anagrafici.

La Legge 164/1982, modificata dal D. Lgs. 1° settembre 2011, n. 150, prevede che il soggetto intenzionato a sottoporsi al trattamento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali dovrà instaurare, per il tramite del proprio legale di fiducia ed innanzi al tribunale del luogo di residenza, una causa ordinaria volta ad ottenere l’autorizzazione all’intervento. Una volta accertato l’avvenuto trattamento medico – chirurgico per la riconversione del sesso, il tribunale adito disporrà il cambiamento di stato anagrafico, in forza del quale i documenti d’identità verranno modificati per sesso e nome.

La Corte di Cassazione (sentenza n. 15138/2015) ha dichiarato la non indispensabilità del trattamento chirurgico di demolizione degli organi sessuali ai fini della pronuncia di rettificazione di attribuzione di sesso. Gli Ermellini hanno invero chiarito che l’interesse pubblico alla definizione dei generi non può implicare il sacrificio dell’interessato alla propria integrità psicofisica e hanno rimesso al tribunale il compito di verificare se, prescindendo dall’intervento chirurgico, l’interessato abbia già definitivamente assunto un’identità di genere.

Il cambiamento di sesso, ai sensi della richiamata legge n. 164/1982, ricade nella deroga al divieto dell’art. 5 cod. civ. secondo il quale “Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”. La ratio dell’art. 5 cod. civ. è proprio quella di tutelare la persona da se stessa che, in un dato momento della sua vita, possa trovarsi in difficoltà, e l’ordine pubblico.

S’intende per ordine pubblico quella parte di un ordinamento giuridico, che ha per contenuto i principi etici e politici, la cui osservanza e attuazione sono ritenute indispensabili all’esistenza di tale ordinamento e al conseguimento dei suoi fini essenziali. Tutelare e preservare l’identità di ogni cittadino è parte integrante e fondamentale dell’ordine pubblico. I cittadini non si conoscono tra loro, il rapporto tra me stesso e l’altro non si esaurisce con il binomio io-tu (come può essere il rapporto di conoscenza famigliare e fra amici) ma io-terzi.  Il terzo non conosce nulla di me ed è proprio per questo che la nostra identità personale è documentata e tutelata dallo Stato.

L’identità personale è data da quel complesso dei dati personali, caratteristici e fondamentali, che consentono l’individuazione o garantiscono l’autenticità, specialmente dal punto di vista anagrafico o burocratico. Si tratta, infatti, dell’insieme dei caratteri fisici e somatici uniti alle generalità (come ad es. il nome e cognome).

L’identità assume un ruolo preminente nella pubblica sicurezza, per esempio, l’art. 4 del T.U.L.S. (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) prevede che “L’autorità di pubblica sicurezza ha facoltà di ordinare che le persone pericolose o sospette e coloro che non sono in grado o si rifiutano di provare la loro identità siano sottoposti a rilievi segnaletici. Ha facoltà inoltre di ordinare alle persone pericolose o sospette di munirsi, entro un dato termine, della carta di identità e di esibirla ad ogni richiesta degli ufficiali o degli agenti di pubblica sicurezza.” Si precisa che cosa assai diversa è l’obbligo di fornire indicazioni sulla propria identità personale, rispetto al dovere di documentarle (Cass. sez. I, 25 giugno 1987, n. 1769). Il rifiuto di esibire un documento di riconoscimento e contemporaneamente di dare indicazioni sulla propria identità personale, costituisce concorso materiale della contravvenzione prevista dall’art. 651 c.p. con la contravvenzione prevista dal T.U.L.P.S. (Cass. sez. VI, 13 aprile 1989, n. 10378). 

Indubbiamente, un aspetto rilevante dell’identità personale è l’identità sessuale della persona, nella sua dimensione psico-somatica e comportamentale, che viene indicata con la formazione dell’atto di nascita (art. 71 dell’ordinamento dello stato civile, R.D. 9 luglio 1939, n. 1238).

Lo Stato contemporaneo, connotato da due caratteristiche fondamentali, che si riassumono nella definizione di Stato di diritto e Stato sociale, ha ritenuto che la protezione dell’identità personale non si esaurisca nella tutela dei segni distintivi della persona (nome, immagine, ecc.), ma risponde alla esigenza di “essere se stessi”, per distinguersi ed essere distinti nella vita di relazione. Il nostro ordinamento giuridico fondato sul principio personalistico e quindi “attento ai valori di libertà e dignità della persona umana, che ricerca e tutela anche situazioni minoritarie e anomale” (Cfr. Corte costituzionale 24/05/1985, n. 161), ha ritenuto di riconoscere e tutelare il fenomeno transessuale e respingere una nozione di sesso come dato immutabile della persona, acquisito una volta per tutte dalla nascita e attestato altresì nei registri dello stato civile.

È noto che il “transessuale” si caratterizza per una profonda frattura tra psiche e realtà corporea, poiché, pur avendo organi genitali chiaramente definiti al sesso opposto, ha il desiderio invincibile di cambiare sesso atteggiandosi (a livello psicologico e comportamentale) in conformità a tale desiderio. La possibilità di adeguare le condizioni e i caratteri sessuali mediante trattamento medico-chirurgico, conformando per quanto possibile il soma alla psiche, è oggi ammessa dalla richiamata legge n. 164/82, che consente e autorizza poi la rettifica dell’atto di nascita e del documento di riconoscimento al fine di rendere certa e conoscibile ai terzi la nuova identità. In sostanza si adotta un parametro analogo a quello espressamente previsto nella legislazione tedesca, che parla di “chiaro avvicinamento all’apparenza del sesso opposto”. 

La motivazione che ha portato il sottoscritto a occuparsi timidamente e parzialmente di questo tema è l’applicazione da parte di alcune parti importanti delle istituzioni di categorie procedurali/burocratiche non previste per legge, anzi, ritengo, contrarie non solo alla nostra legislazione, ma all’ordine pubblico. 

Mi riferisco in primis alla così detta carriera alias nelle scuole pubbliche. 

La carriera alias nelle scuole permette di modificare il nome anagrafico con quello di elezione nel registro elettronico, negli elenchi e in tutti i documenti interni alla scuola aventi valore non ufficiale. “Ci sono persone che durante il loro percorso scolastico avvertono un’incongruenza di genere quindi percepiscono una propria identità diversa rispetto a quella che corrisponde al sesso assegnato alla nascita – spiega l’avvocato Vincenzo Miri, presidente di Rete Lenford. – Nel momento in cui avvertono questa incongruenza ci possono essere delle ripercussioni negative anche sul proprio rendimento scolastico. Quando il benessere psicologico di una persona viene meno anche il rendimento a scuola può subire un calo. Essere nominato nel contesto scolastico con il nome che quella persona sente proprio è molto importante, anche perché magari ha già cominciato parallelamente un percorso con uno psicologo e/o in una struttura specializzata nelle incongruenze di genere in età pre-adolescenziale o adolescenziale”.

In Italia il Ministero dell’Istruzione non ha provveduto a emanare linee guida specifiche per l’attivazione della carriera alias, alle quali le scuole stanno facendo riferimento redigendo appositi protocolli. “Rientra quindi tutto nella possibilità di emanare dei regolamenti sulla base dell’autonomia scolastica – prosegue Miri –. Per legge la scuola si deve fare promotrice del benessere ma al momento attivare la carriera alias non è un obbligo”. Senza delle linee guida unitarie e senza leggi dello Stato, gli interventi in questo senso fino adesso sono stati a macchia di leopardo. Per come stanno al momento le cose rimane una concessione, tutto dipende dalla “sensibilità” della dirigenza scolastica. Al momento sono circa 200 le scuole che hanno inserito la carriera alias nei loro regolamenti. Sul sito dell’associazione Genderlens è possibile visionare un modello di proposta di carriera alias da poter attivare nelle scuole.

Notizia degna di attenzione riguarda il Consiglio regionale della Lombardia che ha bocciato, l’11 ottobre 2023, la mozione contro le carriere alias nelle scuole della regione, presentata dal partito Fratelli d’Italia. “Crediamo che sia importante che la vita vera non si faccia condizionare dalle scelte politiche”. Questo il commento di Pierfrancesco Majorino, capogruppo regionale del Pd, al quale si aggiungono le parole della consigliera dem Paola Bocci: ”Chi fa politica deve pensare al benessere di tutti e di ciascuno e in questo caso, di coloro che chiedono di vedere tutelato e rispettato un diritto. E chi siamo noi per giudicare come vogliono riconosciuta la loro identità queste ragazze e ragazzi?“. Paola Pizzighini del Movimento 5 Stelle sottolinea: “La mozione contro le carriere alias oggi ha sancito un patto tra una parte della maggioranza e l’opposizione, per archiviare le istanze della destra retrograda. Sui diritti civili non si gioca e si sta compatti, ai nostri cittadini dobbiamo garantire protezione e sostegno“. Per Luca Paladini, consigliere di Patto Civico e fondatore dei Sentinelli di Milano la bocciatura della mozione: “È una soddisfazione incredibile per noi che l’abbiamo contrastata in aula ma soprattutto per la libertà e l’autodeterminazione di tutte e tutti“.

In secondo luogo, si porta all’attenzione il documento approvato il 13 giugno 2023 dall’Istituto Superiore di Sanità, segnatamente dall’Osservatorio dedicato alla Medicina di Genere, avente ad oggetto Linee di indirizzo per la comunicazione del personale sanitario con i/le pazienti LGBT+.

Nel documento, l’ISS spiega che LGBT è l’acronimo, derivato dall’inglese Lesbian, Gay, Bisexual, e Transgender che, a partire dagli anni Novanta del XX secolo, è impiegato per indicare le persone che non si riconoscono come cisgender e/o eterosessuali e che si identificano come Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender. Al fine di rendere l’acronimo più inclusivo è stato aggiunto il simbolo + per riferirsi alle persone intersex, gender diverse, genderqueer, genderfluid, asessuali, etc. (per approfondimenti si rimanda al glossario del documento stesso). 

Sono elencate le buone pratiche di comunicazione che l’operatore sanitario deve intraprendere con le persone con orientamento sessuale non eterosessuale (LGB+), in sintesi:

  • Utilizzare un linguaggio neutro;
  • Mantenere un atteggiamento non giudicante sia nel linguaggio verbale che in quello non Verbale;
  • Acquisire familiarità con i termini comunemente utilizzati da e in riferimento alla popolazione LGB+;
  • Evitare di desumere l’orientamento sessuale di una persona in base al suo aspetto, al sesso assegnato alla nascita o alla sua identità di genere. Il paziente è l’unica persona che può determinare il proprio orientamento sessuale;

Tra le tante cose, si consiglia di utilizzare domande inclusive: anziché chiedere “Come si chiama suo/a marito/moglie?” predisporre la domanda nei termini seguenti “Come si chiama/chiamano il/i suo/suoi partner? Quando si parla di rapporti e comportamenti sessuali, si consiglia di utilizzare un linguaggio neutro ed evitare di dare per scontato che i comportamenti sessuali siano svolti tra persone eterosessuali, o che siano finalizzati alla procreazione e non al raggiungimento del piacere sessuale. A tal fine può essere anche utile utilizzare un linguaggio neutro e non caratterizzato dal genere. Ad esempio, può essere utile usare l’espressione “partner sessuale” invece di “uomo”, “donna”, “marito” e “moglie”.

Invito caldamente alla lettura integrale del documento per rendersi conto in maniera autonoma della veridicità di quello che scrivo.

La legge è molto chiara: è possibile per qualsiasi cittadino modificare la propria identità sessuale attraverso un procedimento giudiziario ben stabilito al fine di definire la propria identità e relazionarsi correttamente con la società. Solo all’esito si potrà rettificare la documentazione anagrafica e le proprie generalità. Pertanto, ci si può rivolgere in termini di identità sessuale (o come oggi viene declinato: identità di genere) solo attraverso quello che risulta dalla documentazione anagrafica e non da richiami arbitrari individuali. Per tale motivo di ordine pubblico quello che la carriera alias e le linee di indirizzo dell’ISS propongono sono contrari alla legge e, pertanto, all’ordine pubblico stesso. Il terzo (che rappresenta l’altra persona che non conosciamo e non ci conosce) si confronta e rapporta con il mondo osservandolo e tutti noi siamo tenuti a rivolgerci in termini di identità sessuale semplicemente osservando l’altra persona. Non può essere chiesto qualcos’altro a ciascuno di noi. 

Invece oggi la capacità di osservazione non conta più. Potrei mai recarmi presso l’Inps ed esigere la corresponsione della pensione perché mi sento diversamente anziano? Oppure pretendere di essere iscritto alla scuola per l’infanzia perché in questo periodo sento di avere 5 anni? Potrei andare avanti per ore con questi esempi. Ogni sensibilità, ogni difficoltà personale in merito alla confusione della propria identificazione sessuale e in generale alla perdita del principio di realtà, senza previamente l’instaurarsi di un percorso pubblico (in sede giudiziaria o amministrativa) che colleghi me stesso ai terzi, è rimessa nella sola sfera privata e lo Stato ha l’obbligo di aiutare ogni cittadino che attraversa problemi di questo genere a sviluppare in modo sano la propria personalità, soprattutto quando si tratta di giovani. Non riesco a credere che oggi, nell’opinione pubblica, venga ritenuto normale la possibilità per un ragazzo di non identificarsi con nessun genere sessuale. Normalizzare l’identità individuale in una volontà di non identificazione è aberrante solo a pensarci, figurarsi tutelarlo giuridicamente, figurarsi obbligare tutti ad assumere comportamenti che aiutano e sostengono l’irrazionalità. Il passaggio antropologico della domanda sull’essere umano chi sei? al cosa sei? è molto vicino se non già verificatosi. Ma come è stato possibile giungere sino a questo punto? 

Dietro i termini di inclusività, discriminazione, parità di trattamento, si nasconde una volontà perversa di abbandonare tanti ragazzi e ragazze all’oblio, ad un’alienazione ed isolamento esistenziale tramite pressioni mass-mediatiche inimmaginabili.

Nel Mondo Nuovo di Huxley, in quel lontano futuro distopico, gli esseri umani sapevano che in passato erano stati vivipari e che esistevano nascite e genitori, ma questi concetti erano diventati un tabù, i termini “madre” e “padre” erano usati come insulti. Infatti, nel romanzo la terminologia “madre” è connotata da elementi di ribrezzo, ignominia, vergogna in quanto assimilata alle fasi di procreazione e allattamento, che vengono percepite come attività bestiali, degne degli animali e non certo degli esseri (post)umani. Il motto dello Stato Mondiale era: “Comunità, Identità, Stabilità”. Una comunità dove tutti erano per gli altri, ma nessuno per se stesso, una identità identica al volere superiore dello Stato, una stabilità cieca, fredda e meccanica. 

“Usati in un certo modo, stampa, radio e cinema sono indispensabili alla sopravvivenza della democrazia. Usati in modo opposto, divengono le armi più possenti dell’arsenale dittatoriale”. Aldous Huxley in Ritorno al mondo nuovo.

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