Quella lezione di Antonio Rosmini

di Daniele Trabucco

DALLA GNOSEOLOGIA ALLA METAFISICA

Il grande filosofo e teologo roveretano, il beato Antonio Rosmini Serbati (1797/1855), non è stato solo uno dei più autorevoli pensatori dell’800, ma anche uno studioso che, contro ogni forma di sensismo e soggettivismo, ha cercato di elaborare un sistema di filosofia cristiana in tutte le sue articolazioni. Non a caso san Giovanni Paolo II (pontefice dal 1978 al 2005), nella nota Lettera Enciclica “Fides et ratio” del 14 settembre 1998, lo ha incluso tra i più illustri pensatori cristiani.

Rosmini parte dalla gnoseologia, dal problema della conoscenza, e perviene alla metafisica, allo studio dell’essere. Nel 1830, nel “Nuovo saggio sull’origine delle idee”, Rosmini si pone il problema di trovare il fondamento oggettivo della Verità e del conoscere. Non condivide nè l’origine delle idee dalla sensazione (come Locke o Condillac) poichè, essendo questa particolare, non è in grado di provare l’universalità delle idee stesse, nè l’innatismo (Kant con le forme a priori di spazio e tempo e le dodici categorie di cui si parla nella “Critica della Ragion pura”) per cui esse sono possedute dall’uomo fin dalla nascita.

Rosmini, viceversa, ritiene che solo una idea sia innata e che essa costituisca il presupposto della conoscenza: l’idea dell’essere. Ogni conoscenza, infatti, implica l’attribuzione di esistenza, se non altro a livello mentale, a ció che viene conosciuto. Se è così, allora, la nozione di essere deve essere posseduta in anticipo. Ora, l’idea dell’essere non puó provenire all’uomo dalle sensazioni le quali fanno apprendere soltanto la relazione che le cose, gli enti, hanno con noi, mentre l’esistere in sè è qualcosa di assoluto e non di relativo, ma non proviene neppure dal sentimento della propria esistenza poichè, anche in questo caso, si ha la sensazione solo della propria personale esistenza e non dell’esistenza in senso universale.

Pertanto, essa è una intuizione immediata e non richiede alcun giudizio per essere concepita, ossia non presuppone alcuna connessione di un soggetto con un predicato. Ció che viene intuito, quindi, non è un essere particolare, ma l’essenza dell’essere (non la sua esistenza reale). Rosmini chiama questa intuizione l’idea dell’essere possibile quale forma della ragione umana che garantisce la conoscenza e che, diversamente dal criticismo kantiano, non discende dalla ragione in quanto è Dio che la immette nella mente dell’uomo.

Ne consegue, dunque, che la conoscenza di un singolo ente, di un essere finito, non puó costituirsi sulla base dell’idea dell’essere ideale, ma richiede una connessione fra l’idea dell’essere e la sensazione. Questa operazione è chiamata da Rosmini “percezione intellettiva”. Vincenzo Gioberti (1801/1852) accusó Rosmini di psicologismo, cioè di aver privilegiato l’idea dell’essere possibile come punto di partenza e di non aver spiegato come si passi dalla sfera ideale, intellegibile, all’essere reale in sè, indipendente dal pensiero.

Nella “Teosofia”, l’opera teroretica più importante del roveretano, che uscì postuma e frammentaria in cinque volumi tra il 1859 ed il 1874, Rosmini rispose che non si possono affrontare i problemi dell’ontologia, dell’essere reale, senza prima aver definito il criterio della verità. L’essere ideale esprime una possibilità in qualche modo infinita e puó essere riferito ad ogni cosa di cui si abbia esperienza. Detto diversamente, l’essere reale è la attuazione, la realizzazione dell’essere ideale e poichè quest’ultimo esprime una potenzialità infinita, tra le sue attuazioni ce ne sarà una infinta, cioè esisterà un ente realmente infinito che è Dio il quale, attraverso l’atto creativo libero, viene ad essere il punto di raccordo tra l’essere ideale e quello reale. L’Essere assoluto (Dio), nella sua forma soggettiva, amando infinitamente se medesimo, ama anche l’essere in tutti i modi in cui questo puó essere amato, incluso come essere finito.

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