Riscoprire il valore educativo della Profezia

di Giuseppe Lubrino

L’IMPORTANZA DELLE PROFEZIE


Lo spirito del Signore Dio è su di me,
perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l’anno di grazia del Signore. (Cf. Isaia 61).

Nel periodo di avvento la Liturgia pone all’attenzione dei fedeli la Parola dei profeti. Costoro con la loro vita, il loro esempio e il loro insegnamento – prevalentemente – indicano il volere di Dio al popolo, ai governanti e con essi all’umanità di tutti i tempi. Chi è il profeta? È l’uomo di Dio per eccellenza è colui grazie al quale è possibile scorgere, tra le trame ordite della storia umana, la mano del Signore che giuda, dirige e governa gli eventi che l’accompagnano. Nell’epoca attuale in cui sembra imperare una certa logica materialista che, non di rado, si traduce in un consumismo senza senso supportato dall’imperativo: tutto e subito pare che non si è più capaci di conferire valore alle cose, alle persone, all’esistenza stessa. In tale contesto, la parola profetica si pone come una spada capace di frantumare la roccia dell’individualismo e dell’egoismo in generale che imbandisce le tavole dell’indifferenza e del rancore che attanagliano, non poche volte, i cuori nei confronti degli altri.

Il rotolo del libro del profeta Isaia è confluito all’interno del canone scritturistico in forma tripartita. Tale circostanza ha fatto supporre gli esperti che intorno al profeta del VI secolo a.C. si è formata nel tempo una vera e propria scuola di pensiero che è stata portata poi avanti dai suoi discepoli. In questo brano si respira l’aria dell’attesa messianica: il popolo di Israele è in esilio in Babilonia e avverte la nostalgia del ritorno, sente la mancanza del proprio habitat il tempio, la liturgia, la Torah, Gerusalemme. In terra straniera subisce il culto degli idoli, sente sulle proprie spalle il peso del macigno di Nabucodonosor che ha sfidato e oltraggiato Jahvé, ignaro che quest’ultimo si è servito della sua brama di potere e di gloria al fine di impartire una lezione ai suoi figli: ascolto, fedeltà e obbedienza alla lunga ripagano sempre!

Questo è lo scenario entro cui si situa la speranza messianica: nessun governante – per quanto giusto possa essere – potrà mai eguagliare la giustizia del Principe della Pace, dell’Emmanuele che sarà portato alla luce dalla giovane donna (cf. Is 7,14ss) e inaugurerà un tempo di grazia e di perdono per Israele e per tutti i popoli. Il Messia è il benedetto dal Signore è assistito in modo particolare dallo Spirito Santo e i segni della sua venuta sono i segni della Misericordia, i privilegiati delle sue azioni sono gli ultimi, oggetto delle sue cure sono gli afflitti, i sofferenti, gli schiavi e i prigionieri saranno dalle sue parole e dalle sue azioni liberati.

In queste pagine avviene una vera e propria rivoluzione della concezione veterotestamentaria di Dio: il dolore e la sofferenza umana non sono più la conseguenza di un castigo da parte di Dio ma, invece, Dio nel suo Messia intende arrecare sollievo ai sofferenti, fasciare le piaghe di coloro che vivono nell’afflizione e nel dolore, portare in libertà coloro che non lo sono. Il Dio della Bibbia capovolge le statistiche e le aspettative degli “esperti” che allora come oggi immaginavano l’intervento di Dio con le loro categorie di pensiero e con i loro criteri interpretativi ma: “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore. (Cf. Is 55,8 SS).

Il libro di Isaia a buon ragione è stato definito dagli esegeti il Dante della letteratura ebraica. Dai profeti si può imparare a guardare al cuore delle cose, si puó apprendere l’arte di interpretare e comprendere la realtà nella sua complessità per leggerla con gli occhi di Dio stesso. L’incarnazione di Dio nella storia umana porta con sé un grande messaggio: l’esistenza umana nel suo insieme deve fare i conti con l’imprevisto e la realtà in se stessa non ha mai una sola chiave di decodificazione ma si dipana sempre in diverse prospettive. Ora la scuola dei profeti si pone quale strumento efficace in tal senso, poiché la profezia biblica è una vera e propria palestra dello spirito, un’educazione alla realtà a partire dalla prospettiva di Dio. Durante il tempo dell’esilio il popolo di Israele era esortato a coltivare la speranza della Redenzione: il popolo doveva maturare la consapevolezza che in esilio ci si era spinto da solo, era stato avvisato del pericolo di concludere alleanze straniere e del rischio che comportava il riporre la propria fiducia esclusivamente nel potere umano eppure – deliberatamente – aveva scelto di non dare “ascolto”. Il male, infatti, è spesso il risultato di scelte sbagliate che si prendono.

Il “grido” dei profeti e, in particolar modo, del profeta Isaia si traduce in ultima analisi in un grande invito a predisporsi all’ “Ascolto” e all’ “Accoglienza” della Parola di Dio. Essa ha il potere di trasformare la vita e di cambiarla, di far nascere i fiori dai rovi e dalle spine. Che cosa insegna il Natale se non che Dio agisce in maniera inaspettata e sorprendente? L’umiltà è preferibile alla gloria e la sobrietà al lusso. Lasciarsi guidare dallo Spirito Santo significa rendersi capaci di perdono e di compassione. Occorre coltivare l’empatia e praticarla soprattutto nei riguardi di chi è nel dolore. La Parola di Dio esorta a diffidare delle “imitazioni”. Oggi purtroppo si vive in una società che predica buonismo in tutti i sensi ma – ahimè – poi a conti fatti risulta essere talmente priva di bontà da far raccapricciare la pelle. Riscoprire il valore educativo della profezia biblica si pone come un vaccino efficiente nei confronti del virus dell’ipocrisia e dell’apatia che sembra caratterizzare il tempo presente.

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