L’interpretazione del dionisiaco e la versione di Valeria Turra delle “Baccanti” di Euripide

di Angelica La Rosa

IL VOLUME OFFRE ANCHE UN AMPIO SAGGIO INTRODUTTIVO E NUMEROSE NOTE DI COMMENTO

Un gruppo di baccanti asiatiche entra in Tebe assieme a un sacerdote che si rivelerà essere lo stesso dio Dioniso che ha assunto transitoriamente natura d’uomo per portare in città un sommovimento mirante alla punizione del sovrano Penteo, che si oppone al rito, e alla sua rimozione definitiva. Le donne tebane fuggono sul monte cedendo al pungolo della follia dionisiaca che le punisce della passata miscredenza, e anche gli anziani che solitamente si mostrano più saggi, Cadmo e Tiresia, per motivi diversi decidono di non opporsi al culto nuovo. Dioniso e il suo corteggio hanno la meglio: Penteo viene ucciso dalla madre Agave durante il rito dionisiaco, la dinastia di Cadmo sarà esiliata da Tebe, Cadmo tramutato in serpente ritornerà in Grecia come aggressore capeggiando un esercito barbarico.

Questa edizione delle Baccanti (Rusconi Libri, 2023, 512 pagine), a cura della professoressa Valeria Turra, è corredata da un ampio saggio introduttivo e da numerose note di commento, mira sia all’interpretazione del dramma – di cui evidenzia la centralità del riconoscimento come seppur tardivo ritorno alla razionalità – sia all’interpretazione del dionisiaco, come fenomeno che viene indagato da molteplici punti di vista (l’effetto sulla psiche come delirio d’immagine; il rapporto non solo oppositivo rispetto al cristianesimo, ma anche le nuove riflessioni gnoseologiche sul cosiddetto cervello arcaico e la mente animale), sia alla ricostruzione del ruolo che le Baccanti hanno assunto nel pensiero occidentale (da Hölderlin all’hegeliana dialettica servo-padrone al pensiero dionisiaco nietzschiano con l’eterno ritorno dell’identico; a Girard; da Camus alle rivisitazioni di Yehoshua).

Euripide (Salamina 485 ca – Pella 406 a.C.), l’autore dell’opera, nacque da un proprietario terriero, Mnesarco o Mnesarchide, e da Clito, rappresentata dai commediografi come un’erbivendola. Molti dati della sua vita, provenienti, appunto, dalle parodie e dalle malignità della commedia, sono inattendibili. Si sa di sicuro che da giovane fu adepto del culto d’Apollo, ebbe tre figli, vinse poche volte negli agoni teatrali, morì all’estero, alla corte di Archelao, in Macedonia, e fu commemorato da Sofocle durante la festa teatrale delle grandi dionisie nella primavera del 406. La sua opera rivela un’educazione raffinata, un vivissimo interesse per il movimento filosofico della sofistica, una posizione scettica nei confronti della religiosità tradizionale, una viva partecipazione alle vicende della città, che non si concretizzò mai, però, in attività politica diretta.

La leggenda che voleva componesse i suoi drammi in una grotta di fronte al mare contiene un dato reale: il progressivo isolarsi dell’artista dalla comunità che aveva nutrito la poesia dei tragici precedenti. Controverso il numero delle sue opere, probabilmente 88; sono rimaste 18 tragedie, di cui una spuria (Reso), e un dramma satiresco (Il Ciclope). Di alcune è nota la data di rappresentazione, per altre la datazione è determinabile in base a elementi stilistici o accenni a fatti contemporanei.

Le tragedie di Euripide, tutte della maturità, sono: Alcesti (438), Medea (431), Ippolito (428), Ecuba (420 ca), Andromaca, Eraclidi, Le supplici, Eracle, Troadi (415), Elettra (413 ca), Elena (412), Ifigenia in Tauride, Ione, Fenicie, Oreste (408), Ifigenia in Aulide e Baccanti (rappresentate postume a cura di un figlio, anch’egli tragediografo).

A Euripide piacque scegliere i suoi argomenti tra i miti meno noti o soffermarsi su aspetti secondari dei grandi cicli epici e tragici, talvolta in polemica con l’antica interpretazione religiosa, talvolta fornendo la spiegazione di riti particolari di cui era ormai smarrita la giustificazione remota. Si possono distinguere, nella sua produzione conosciuta, tre filoni principali. In un primo tempo prevale la tematica amorosa, e il conflitto tragico è provocato dalle forze elementari della passione umana; nascono grandi figure isolate, per lo più femminili (Alcesti, Medea, Andromaca, la Fedra di Ippolito). In un secondo momento si accentuano gli aspetti politici, l’esaltazione patriottica di Atene (Eraclidi, Supplici), la coralità della tragedia nel dramma collettivo della guerra (Troadi). Abbiamo infine i cosiddetti drammi della tyche, del caso (Elena, Ifigenia in Tauride, Ione), in cui, al di là dell’intrigo, spesso volto al lieto fine, resta l’amarezza di destini umani affidati non a un provvidenziale intervento divino ma a un cieco gioco d’eventi.

Isolato, difficilmente interpretabile, di un fascino misterioso, si pone infine il suo capolavoro: le Baccanti. Penteo, che ha negato onori divini a Dioniso, finisce ucciso dalle baccanti, guidate da sua madre, che nell’estasi dionisiaca lo scambiano per una fiera. L’uccisione, l’accecamento vengono descritti con razionale orrore, ma, nello stesso tempo, la visione del dio, della comunione con la natura che le sue seguaci raggiungono, è piena d’incanto e partecipazione. Qualunque fosse l’intenzione del poeta, è certo che egli rende con stupefacente abilità l’ambigua ricchezza dell’elemento dionisiaco.

Acuto fu l’interesse di Euripide per l’individualità dei suoi protagonisti: di qui l’insistenza su singole scene analitiche; meno gli interessa la loro fusione in una sintesi compatta, tanto più che il gusto del dibattito porta l’autore a creare perfetti agoni in cui i personaggi discutono (secondo lo stile retorico dell’epoca) le ragioni del loro agire e i problemi di cui l’autore avverte l’urgenza. Da questo disinteresse per l’ambito generale della vicenda deriva anche l’uso del prologo e del «deus ex machina»: un personaggio e il dio risolutore dell’intrigo chiariscono gli antefatti, spiegano connessioni e riferimenti. Tutto viene trattato in una dimensione di umanità, talvolta di quotidianità antieroica, che dissolve dall’interno gli antichi miti e ha fatto avvicinare Euripide al mondo della commedia borghese. L’attenzione all’individuo fa passare in secondo piano il coro, innovazione che comporta anche modifiche nella metrica e, quindi, nella musica.

La fortuna di Euripide, scarsa in vita, fu enorme dopo la morte. Da lui attinse la «commedia nuova», e in periodo ellenistico egli fu l’unico tragico rappresentato. La tragedia latina (in particolare Seneca) si rifà a lui. Il dramma cristiano bizantino Christus patiens, del sec. XII, è un centone delle sue opere. Dall’umanesimo in poi la sua influenza è determinante, anche perché i suoi eroi, svincolati dall’antico mondo mitico, sono più vicini a noi; in modo particolare affascinano alcuni personaggi femminili (Andromaca, Ifigenia, Fedra, Medea). Tra i molti autori che si ispirarono ai suoi temi, pur rivivendoli con moderna sensibilità, è sufficiente citare Racine e Goethe.

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