Viva il latino e viva il progresso!

di Matteo Castagna

È NECESSARIO COMINCIARE A DUBITARE DI UN SISTEMA CHE STA TRASFORMANDO IL MONDO IN UN PARADISO PER I ROBOT E IN UN INCUBO PER GLI ESSERI UMANI, ANCHE PER COLORO CHE NON SE NE RENDONO CONTO

“Il latino è una lingua precisa, essenziale. Verrà abbandonata non perché inadeguata alle nuove esigenze del progresso, ma perché gli uomini nuovi non saranno più adeguati ad essa. Quando inizierà l’era dei demagoghi, dei ciarlatani, una lingua come quella latina non potrà più servire e qualsiasi cafone potrà impunemente tenere un discorso pubblico e parlare in modo tale da non essere cacciato a calci giù dalla tribuna. E il segreto consisterà nel fatto che egli, sfruttando un frasario approssimativo, elusivo e di gradevole effetto ‘sonoro’ potrà parlare per un’ora senza dire niente. Cosa impossibile col latino”. (Giovannino Guareschi, “Chi sogna nuovi gerani?” )

Il decadentismo che viviamo, produce mediocrità in ogni ambito. L’ignoranza moderna non è il “non sapere” di chi non ha studiato, ma uno status sociale che identifica l’uomo contemporaneo come un’ameba, disinteressata a ciò che lo circonda e completamente deresponsabilizzata al punto di desiderare di non conoscere perché potrebbe indurre a scelte non omologanti.

Per molti il latino è inutile. Molta gente crede che il sapere si debba immediatamente tradurre in un servizio pratico. Il destino della conoscenza è la resa alle macchine, o meglio, alla tecnologia. Perché, in fondo, l’uomo che cosa deve sapere? Soddisfatti i bisogni primari, non c’è altro, parafrasando il Prof. Nicola Gardini (“Viva il latino, storie e bellezze di una lingua inutile”, ed. Garzanti, 2016). Il troglodita non può comprendere la complessità di una lingua che induce al ragionamento logico, perché non riflette, ma subisce e si abbevera di ciò che altri fanno al suo posto.

Giada Lupi, in un articolo per “Secondo Tempo” titola “non chiamatela lingua morta”, in occasione della terza giornata mondiale del latino, svoltasi il 17 Aprile 2023. “Nel corso della sua lunga esistenza il latino ha subito continue evoluzioni. Si possono facilmente notare le differenze tra il latino pontificio, lingua ufficiale della Chiesa Cattolica e il Lapis Satricanus, la più antica iscrizione in lingua latina, risalente all’incirca al 500 a.C., sulla quale compare il nome di Valerio Publicola, uno dei primi consoli repubblicani”.

2500 anni di storia di latino hanno insegnato l’italiano e il gusto del saper pensare a generazioni di persone. “Nella credenza comune è ritenuta tale solo quando si allude al fatto che nessuno oggi parla o scrive in latino, ma se si guarda invece alla sua presenza nell’italiano, bisogna considerarla viva perché continua a produrre nuove parole tramite i suoi suffissi, radici o lemmi”.
«Da uno studio non superficiale delle lingue e delle civiltà classiche, come da tutte le scienze che impongono metodo e rigore, – sottolinea in particolare la professoressa Antonietta Porro, docente di Lingua e letteratura greca e direttore del Dipartimento di Filologia classica, Papirologia e Linguistica storica dell’Università Cattolica – derivano l’affinamento delle capacità logiche e del senso critico, la costruzione di un orizzonte di conoscenze entro il quale anche le nuove tecnologie ricevono una sicura valorizzazione: non per caso professionisti di successo nei più vari settori riconoscono il ruolo insostituibile della loro formazione classica».

La cultura classica, a differenza di qualsiasi competenza tecnica e scientifica, insegna a non ridurre la complessità, ma ad affrontarla con metodo e con rigore. La tecnologia, per sua natura, tende invece a semplificare, come per esempio il linguaggio di internet e dei social, che ben si adatta al prototipo dell’umanità del XXI secolo, mentre il latino rappresenta la nostra identità.

«Fermare le macchine è un atto che restituisce all’uomo la sua vera natura, che non sarà di certo perfetta, ma non può essere ridotta a una stringa matematica gestita da un computer. Io non vorrei vivere in un mondo senza tecnologia, di cui sono per altro un abbondante consumatore. Ma ho l’impressione che oramai il rapporto si stia invertendo: non sono più gli uomini a usare la tecnologia. E’ la tecnologia che usa gli uomini. E allora o cambiamo verso e ribaltiamo il tavolo. Oppure, meglio le caverne» (Mario Giordano, dalla prefazione a “Fermate le macchine! Come di stanno rubando il lavoro, la salute e perfino l’anima” di Francesco Borgonovo, Ed. Sperling & Kupfer, 2018)

«Per chi si scopre quindi chiamato a studi umanistici – osserva sempre la professoressa Porro – si tratta dunque di un’ opportunità formativa unica, che porta con sé anche una responsabilità sociale non comune, poiché chi mantiene vivo il rapporto coi classici lo fa nell’interesse di tutti: la dimenticanza del proprio passato, infatti, impoverisce inesorabilmente l’intera società».

Francesco Borgonovo osserva, a ragione, nel libro sopra citato: «Perché la rivoluzione digitale ha tanto successo? Perché è comoda, innanzitutto, e ha reso il mondo facile, confortevole, «smart». Vediamo gli amici senza uscire di casa, facciamo la spesa e organizziamo un viaggio sdraiati sul divano. Una serie di macchine sempre più perfette ci risparmiano ogni fatica, e presto ci sostituiranno in ogni tipo di azione, dalla guida di un’auto alle operazioni chirurgiche. Conveniente, no?

E ora guardiamo l’altra faccia di questa fantastica realtà: scompaiono le professioni e si diffondono i «lavoretti» della gig economy, squalificati e sottopagati; ogni volta che entriamo in internet siamo inconsapevolmente guidati fra prodotti, servizi e informazioni da un algoritmo che li ha selezionati per noi sulla base delle preferenze indicate dai nostri clic. I big data, le immense banche dati in cui tutti siamo profilati e vendibili per pubblicità mirate, arricchiscono un pugno di aziende che controllano le tecnologie e fanno di tutto per non pagare le tasse. Pensiamo di essere più liberi e invece ci sottoponiamo volontariamente al più gigantesco sistema di controllo sociale mai creato.

Chi fa un’obiezione è un nemico del progresso, un liberticida. Mentre i tecnoentusiasti celebrano il potere dei social network che rendono tutto trasparente e pubblico. Perché allora perfino i guru della Silicon Valley hanno cominciato a temere lo strapotere tecnologico?». E’ necessario cominciare a dubitare di un sistema che sta trasformando il mondo in un paradiso per i robot e in un incubo per gli esseri umani, anche per coloro che non se ne rendono conto. Evviva, dunque, il latino! Evviva la penna stilografica! Evviva l’anima immortale e la dignità umana a scuola e sul lavoro, senza psico-dipendenze o peggio. Ma, evviva anche il progresso tecnologico, se usato per finalità buone, di aiuto alle nostre necessità, non di devastazione sociale.

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