Mario Palmaro, difensore della fede 

di Paolo Gulisano 

FINO ALL’ULTIMO ISTANTE DELLA SUA VITA HA COMBATTUTO LA BUONA BATTAGLIA CON GLI SCRITTI, CON LE PAROLE E SOPRATTUTTO CON L’ESEMPIO DELLA SUA VITA CRISTIANA

Sono passati 10 anni da quel 9 marzo 2014 quando si spense dopo una lunga malattia Mario Palmaro. Aveva 46 anni e aveva speso la sua vita per la famiglia e per la fede cattolica, di cui era stato testimone e difensore.  Fino all’ultimo istante della sua vita ha combattuto la buona battaglia con gli scritti, con le parole e soprattutto con l’esempio della sua vita cristiana.

Il professor Palmaro spese tante energie per difendere la vita indifesa, per tutelare la vita umana minacciata dall’aborto e in seguito dall’eutanasia. Un amore per la vita ancora non nata che era nel suo cuore dalla nascita, una gravidanza che per la sua mamma era giunta tardivamente e che le costò la vita. 

Mario si era laureato in Giurisprudenza alla Università Statale di Milano nel 1995 con una tesi sull’aborto procurato. Proprio così: niente eufemismi, niente giri di parole, niente “interruzione di gravidanza”, un’espressione che a Mario era sempre sembrata surreale e ipocrita. Lui, filosofo del diritto, si perfezionò in bioetica, e cominciò fin dalla fine degli anni ’90 a distinguersi come uno dei più brillanti studiosi della materia. Il suo primo volume, Ma questo è un uomo. Indagine storica, politica, etica, giuridica sul concepito, rimane uno dei testi più limpidi sulla problematica etica e giuridica riguardante l’aborto.

Mario Palmaro non fu mai un intellettuale da cattedra o scrivania: la sua passione per la difesa della vita umana ne fece un autentico militante, dapprima nel Movimento per la Vita, e in seguito in altre realtà come l’Associazione Giuristi per la Vita e l’Unione Giuristi Cattolici Italiani, per finire con il Comitato Verità e Vita, di cui era stato tra i fondatori e che ha presieduto fino alla morte.

Verità e vita erano davvero per Mario le due direttive del suo impegno, sia che si trovasse a parlarne agli studenti del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum o dell’Università Europea di Roma, sia che ne trattasse nei suoi numerosissimi articoli, sia nelle conferenze che teneva ovunque lo chiamassero, dagli ambienti accademici più prestigiosi fino all’ultima sala parrocchiale di provincia.

Mario era instancabile: si prodigava in mille impegni, riuscendo chissà come a trovare il tempo per scrivere numerosi libri, dapprima da solo, poi con l’inseparabile amico Sandro Gnocchi, e senza mai trascurare la famiglia: la moglie Anna Maria e i quattro figli.

Tra i diversi, preziosi ricordi che restano di Mario non c’è solo la sua fede salda e robusta anche nei momenti più difficili, quando la malattia lo aveva dolorosamente artigliato, la sua fede lucida e capace di penetrare acutamente i problemi della Chiesa di oggi, che vive in un mondo che non smette di perseguitare i cristiani come ha fatto per duemila anni, magari con mezzi più infidi e subdoli; c’è anche il suo umorismo, la sua bonomia che potrebbe sembrare strana a chi ha visto in Mario solo un rigido “indietrista”. E a tale proposito, con grande lucidità fu tra i primi, sempre insieme a Gnocchi, a intravedere le criticità del nuovo corso vaticano, dopo l’elezione di Francesco. Scrisse un libro dal titolo estremamente significativo: Questo papa piace troppo. Una riflessione attenta sul gradimento quantomeno eccessivo riservato al nuovo pontefice, specie da parte degli ambienti ideologici più ostili a Cristo.  

Mario fu un grande apologeta, un esponente di un Cristianesimo  che magari potrebbe essere visto come “inattuale”, ma che in realtà è la fede autentica, la fede di sempre. In tal senso era anche approdato alla Messa di sempre, cioè quella celebrata in Vetus Ordo, e ne era diventato un convinto assertore. A differenza di certi cattocons, sapeva scherzare, sapeva scrivere libri anche su temi come lo sport, dedicati alla sua amatissima Inter, e possedeva un eccezionale capacità di umorismo, che non perse mai, in tutte le sue battaglie. Lo aveva imparato da uno dei suoi maestri, da uno dei suoi autori preferiti, sul quale ha scritto pagine impareggiabili: Giovannino Guareschi. Da Guareschi, Palmaro, insieme al sodale Gnocchi, imparò a vivere a testa alta, ad amare la verità senza compromessi, ma anche a saper vivere coltivando la virtù del buon umore, che non è un’allegria sciocca, superficiale, ma la gioia intima e inattaccabile che viene dalla consapevolezza che Dio ci ama e ci ha salvati, ci ha redenti con la sua croce, morte e gloriosa Resurrezione.

Questa era la granitica certezza che animava Mario Palmaro, e che lo rendeva forte e, allo stesso tempo, amabile. La certezza da cui partiva per andare in esplorazione dei territori della narrativa. Gli esordi pubblicistici, oltre ai saggi di bioetica, si erano infatti rivolti alla letteratura: Guareschi, ma anche Pinocchio, Sherlock Holmes, Chesterton…

Oggi si parlerebbe di “periferie culturali”, ma per Mario erano i territori della narrazione, della fiaba, del mistero, ove andare a rintracciare insieme a Sandro i segni della presenza di Dio. Un Dio non semplicemente da cercare, un po’ a tentoni e nella vaghezza degli spiritualismi, ma un Dio da trovare, e quindi da annunciare.

Da qui la sua vocazione all’apologetica, manifestata negli articoli e nel lavoro redazionale per un mensile di cui fu colonna portante come Il Timone.  Un’apologetica che si è espressa nei numerosi testi pubblicati negli ultimi anni, come Io speriamo che resto cattolico. Nuovo manuale di sopravvivenza contro il laicismo moderno, La messa non è finita, Il pianeta delle scimmie. Manuale di sopravvivenza in un mondo che ha rifiutato Dio, La Bella Addormentata. Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi, perché si risveglierà, fino all’ultima opera, una sorta di sintesi del pensiero e delle battaglie di tutti questi anni: Ci salveranno le vecchie zie. Una certa idea della Tradizione.

Un’analisi severa delle condizioni di salute del Cattolicesimo attuale, condita però dall’immancabile umorismo e dalla virtù della speranza.  Mario, con il sopraggiungere della fine, era preoccupato per i suoi figli. Preoccupato per il loro futuro, per le difficoltà che la famiglia avrebbe potuto incontrare senza di lui, ma soprattutto era preoccupato del mondo e della Chiesa nella quale i suoi figli cresceranno.

La preoccupazione che è espressa anche nella Sacra Scrittura: quando il Figlio di Dio farà ritorno, troverà ancora Fede sulla terra? Sarà possibile vivere nella verità, senza menzogna? Questa era la preoccupazione di Mario Palmaro, e il compito, l’eredità che lascia ai suoi amici, ai suoi estimatori, ai suoi lettori, è di fare di tutto, come lui ha fatto il possibile, perché le porte degli inferi non prevalgano.

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