Quelle falsità sulle donne

di Gianni Toffali

LA MITOLOGIA FEMMINISTA

Le donne italiane, hanno festeggiato nei giorni scorsi l’8 marzo. La maggioranza, ha bruciato l’amena giornata all’insegna di mimose, chiacchiere, gossip e boy toys notturni.

Un’infima minoranza invece, l’ha vissuta in convegni semideserti che hanno magnificato le magnifiche sorti e progressive delle conquiste femministe, vale a dire il diritto all’aborto e la gestione allegra dell’utero. Le conseguenze le conosciamo tutti: milioni di bimbi abortiti, non nati e sfascio della famiglia.

Attualità a parte, la mitologia femminista ha tramandato la leggenda metropolitana secondo cui la data dell’8 marzo fu scelta alla seconda Conferenza internazionale di donne socialiste a Copenhagen, nel 1910, per commemorare la carneficina di oltre cento operaie di una camiceria di New York, intrappolate in un incendio appiccato dal padrone della fabbrica per vendicarsi di uno sciopero. Cercando in rete si scopre che l’incendio non era riconducibile né a scioperi, né a serrate, che fece vittime anche fra gli uomini, e che soprattutto avvenne nel 1911, cioè un anno dopo Copenhagen.

In realtà, l’istituzione dell’8 marzo come Festa della donna risale alla III Internazionale comunista, svoltasi a Mosca nel 1921, dove fu lanciata da Lenin come “Festa internazionale delle operaie”, in onore della prima manifestazione delle operaie di Pietroburgo contro lo zarismo.

Il racconto di un 8 marzo istituito in memoria di un massacro frutto di odio classista e capitalista fu opera del Partito Comunista Italiano, che nel 1952, in piena Guerra Fredda, pubblicò la cronaca di questo incendio vero, ma manipolato in chiave anti americana ed occidentale.

Se questi sono i fatti (e lo sono!) ha senso festeggiare un’invenzione ideologica il cui unico scopo è perpetuare la rivoluzione femminista ed alimentare l’ultima follia uscita dal delirante cappello femmineo, vale a dire la lotta all’uomo lupo cattivo e al patriarcato?

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