Dio ci chiede sforzi e sacrifici

di don Ruggero Gorletti

QUINTA DOMENICA DI PASQUA – ANNO C

 
Dal vangelo secondo Giovanni 15,1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

COMMENTO

Anche quest’oggi il Vangelo ci parla di Gesù usando una similitudine: quella della vite. Il punto centrale del brano appena ascoltato sembra essere la frase: «senza di me non potete far nulla». Il tralcio, il rametto, prende la linfa dalla vite, con questa linfa egli può nutrire se stesso e i frutti. Se il tralcio si staccasse dalla vite, ecco che non solo non potrebbe nutrire i suoi frutti, ma non potrebbe nutrire nemmeno se stesso. È destinato a seccare. È destinato a morire.

Il tralcio da se stesso non serve a niente. Per questo l’agricoltore, constatato che è privo di vita, lo getta nel fuoco. È il destino di chi decide di allontanarsi da Cristo, di allontanarsi dalla vera vite, di allontanarsi dalla vera vita.

Il tralcio, staccato dalla vite, non è più se stesso, diventa un pezzo di legno qualsiasi. Perde la sua identità, perde il suo motivo di esistere. Non si può fare niente di bello senza Dio: il legno della vite non può essere usato per costruire nulla. Non è un legno con cui si possono fare altre cose, che so, costruire mobili. È del tutto inutile. E anche per noi è così: senza Dio non possiamo fare nulla.

Anche noi, quando ci allontaniamo da Dio, non siamo più noi stessi, perdiamo la nostra identità. Può sembrare un’affermazione eccessiva, ma è quello che vediamo nel mondo che ci circonda. Oggi la gente, rispetto a qualche decennio fa, mediamente, vive più lontana dagli insegnamenti di Cristo e della Chiesa. E non sembra proprio che il mondo sia migliorato, che la gente sia più serena, più contenta. Tutt’altro. «Senza di me non potete fare nulla».

Il tralcio che si è staccato dalla vite non porta frutto, perde la vita e viene bruciato. È il triste destino di chi decide, fino alla fine, di vivere lontano dal Signore. Ma, dobbiamo dire la verità, nemmeno il tralcio che rimane nella vite e porta frutto se la passa benissimo. Infatti il tralcio che rimane nella vite, e porta frutto, viene potato dall’agricoltore perché porti più frutto. Quando un albero viene potato soffre, i rami subiscono comunque qualche taglio. Questa sofferenza però non è distruttiva, come quella del tralcio bruciato, non è senza ritorno: questa sofferenza porta l’albero ad essere più rigoglioso, a vivere meglio, a produrre più frutti. Spesso anche nella vita succede proprio così. Non dobbiamo stupirci della sofferenza, del sacrificio anche quando cerchiamo di vivere come piace a Dio.

La potatura è un’operazione che dobbiamo fare anche noi su noi stessi: togliere tutto quello che impedisce di portare frutto: ogni propensione al male, ogni cattiva abitudine che ci allontana da Dio, ogni affetto, ogni relazione che non sono secondo Dio. Non è che lo dobbiamo fare perché c’è una legge, un regolamento da rispettare, qualcosa di esterno a noi che ci costringe a fare qualcosa di sgradevole. Il motivo è un altro: togliere dalla nostra vita quello che ci allontana da Dio ci serve per essere veramente noi stessi, perché la nostra vita abbia un senso. Perché la linfa della grazia di Dio possa scorrere dentro di noi e permetterci di vivere bene e di portare frutto per noi e per gli altri.

Togliere dalla nostra vita quello che impedisce di portare frutto non è soltanto un’operazione necessaria ma spiacevole, che ci chiede sacrificio e rinuncia. È anche bello. Certo, il sacrificio rimane, ma è un preludio alla gioia. Non per niente Gesù ha usato l’esempio della vigna. La vite, l’uva, il vino nella Bibbia sono simboli dell’allegria, della gioia. Gli sforzi, i sacrifici, le rinunce che ci vengono chiesti per piacere a Dio non sono fini a se stessi. Sono necessari perché possiamo arrivare ad una gioia più certa e più grande. Non abbiamo paura di fare quello che Dio ci chiede, anche quando richiede sforzo e sacrificio, anche quando ci impone rinunce. Non abbiamo paura, perché abbiamo la certezza che questi sforzi, questi sacrifici, queste rinunce non sono fini a se stessi, ma ci sono necessari perché abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza.

Subscribe
Notificami
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments