Perché la società contemporanea è così misandrica?

Perché la società contemporanea è così misandrica?

di Francesco Pisani

PARLIAMOCI CHIARO E ONESTAMENTE…

Parliamoci chiaro e onestamente: i delitti ci sono, ci sono sempre stati e, ahimé purtroppo, sempre ci saranno. Nonostante le pene severe, i carceri strapieni, le riforme politiche, l’educazione, la scuola, la famiglia, la cultura e la religione gli omicidi hanno sempre accompagnato la triste storia della nostra specie. Si può provare, ovviamente, a ridurli ma ciò, più che dalle istituzioni, dipende dal modo che ciascuno di noi ha di impostare e vivere la vita con se stesso e con il prossimo. Pretendere di debellarli è pura retorica e populismo spicciolo da quattro soldi. Tra i delitti più frequenti vi è quello causato dal demone della gelosia.

Shakespeare, attraverso il personaggio di Otello, ci offre un ritratto estremamente realistico ed eternamente attuale della gelosia e del dramma di chi si ritiene in diritto di essere padrone della vita di un altro. I delitti passionali, causati quasi sempre dalla gelosia e dalla brama di possesso, sono tra i più antichi del mondo. In fondo anche la guerra di Troia scoppiò per gelosia nei confronti di una donna: Elena di Sparta. Tali delitti ci sono sempre stati e probabilmente, purtroppo, sempre ci saranno. Con ciò non si vuole ovviamente sminuire o irridere una terribile piaga, ma che improvvisamente i riflettori mediatici, in questi ultimi anni, si siano accesi per parlare costantemente ed esclusivamente di un fenomeno vecchio quanto il mondo, in calo – è bene ricordarlo – rispetto ai decenni passati e in Italia tra i numeri più bassi in Europa, dovrebbe farci un tantino insospettire.

Ma ciò che più sconcerta, e che non ha precedenti, è la necessità perpetua di sottolineare ad ogni delitto il sesso della vittima. Ora bisognerebbe domandarsi a che scopo tutto ciò? Da quando una vita umana è divenuta più importante di un’altra? Ogni delitto non è sempre una tragedia ineluttabile? E se a morire fosse una persona di cinquanta piuttosto che di trent’anni, alta un metro e settanta piuttosto che un metro e novanta, italiana o finlandese, cosa cambierebbe?

Cosa si cela dietro questo meccanismo perverso? Sentite mai qualcuno protestare, manifestare, scendere in piazza o riempire i rotocalchi dei giornali per le migliaia e migliaia di morti sul lavoro, che al 90 % sono tragedie che colpiscono gli uomini? O magari alzare la voce contro una pratica disumana come l’aborto, che consiste nell’omicidio sistematico di vite innocenti, o per il delitto di qualche anziano abbandonato in una casa di cura, o per le stragi perpetrate quotidianamente in Ucraina, a Gaza, e in tante altre parti del mondo?

E perché se muore una donna improvvisamente i media e l’opinione pubblica ne parlano per mesi, montando trasmissioni, rotocalchi, inchieste, talk show, operando un duplice sfregio nei riguardi dalla vittima, che oltre alla morte si trova ad essere anche strumentalizzata? Dovremmo chiederci, secondo noi, se ai media e al potere interessa la vita della povera vittima o se in realtà si mira ad altro, specie quando si sottolinea costantemente che la colpa dei delitti è di tutta la categoria maschile, e non del singolo carnefice: come se io affermassi che dal momento che l’assassino aveva i capelli biondi allora tutti i biondi sono potenziali assassini, un po’ come quando si asseriva che in Sicilia, a causa della piaga della mafia, tutti i siciliani erano mafiosi. Generalizzare e fare retorica è tipico delle epoche barbare e di decadenza, dove l’obiettivo, in questo caso, è abbastanza palese: demonizzare l’uomo e creare una vera e propria guerra tra i sessi – solo nel ventunesimo secolo si potevano attuare simili follie.

Cancellare la figura del padre, sfaldando di conseguenza la famiglia, è funzionale ad una società nichilista, priva di valori, che vuole produrre individui soli, depressi, spaventati, psicologicamente fragili, emotivi, incapaci di pensare e ragionare: in sintesi dei poveri dementi asserviti al potere. Gli stessi dementi che urlano nelle piazze italiane contro il patriarcato ma che magari vivono a casa fino a quarant’anni mantenuti dalla mamma e dal papà, che si schierano a favore dei tagliagole di Hamas (forse andrebbe mostrato loro come vivono realmente le donne nei paesi musulmani e di quanto siano fortunate nonostante tutto le donne a vivere in occidente), o che sono a favore dell’Europa del riarmo – andrebbe spiegato anche in questo caso a tali novelli Einstein che le armi in guerra sono usate per uccidere gli uomini, gli anziani, i bambini e… le donne.

D’altronde una società votata all’emotività isterica non può che produrre costantemente contraddizioni e aberrazioni.
Demonizzare la figura del maschio, dipinto sempre più dai media come predatore, potenziale assassino e stupratore allo scopo di produrre una società femminista significa sviluppare una società dalle fondamenta fragili, emotivamente instabile, debole, plagiabile. Se prendiamo per vera l’idea che la donna è, generalmente, meno forte fisicamente dell’uomo dobbiamo riconoscere anche che molto spesso lo è anche da un punto di vista psicologico. Dice una profonda verità, nonostante tutto, Vannacci quando afferma che il vero problema non è il patriarcato – categoria morta da oltre mezzo secolo – ma la mancanza del padre, in grado di instillare forza (non tanto quella fisica, ma morale e caratteriale) nei figli.

Tutto ciò è evidente, ad esempio, nella totale decadenza del sistema scolastico e nell’aumento del fenomeno del bullismo proprio perché nelle scuole dell’infanzia è ormai del tutto scomparsa la figura maschile del maestro, che una volta costituiva anche un’educatore.

È un reato affermare che le donne spesso non sono capaci di educare i figli proprio perché troppo coinvolte emotivamente, poco capaci di essere obiettive nel giudizio, e anche perché come recita il proverbio in fondo “ogni scarrafone è bello a mamma sua”?

Se analizziamo i profili familiari di molti giovani assassini troveremo nella stragrande maggioranza dei casi un comune denominatore: si tratta spesso di giovani viziati cresciuti con madri inette e incapaci a dire di no. A questi soggetti è mancata la figura paterna, che nella sua espressione migliore si configura nella capacità di educare i figli al rispetto per se stessi e per il prossimo, ad amare la moglie, onorarla e rispettarla, e soprattutto a riconoscere che nella vita vi sono diritti e doveri.

L’amore, il rispetto, la stima reciproca, l’onestà e la forza interiore sono i pilastri su cui edificare le relazioni sane, dove a “comandare” non è né l’uomo né la donna ma l’armonia tra i due. Perché una società sana non demonizza o esalta nessuno dei due “schieramenti”, ma affida ad entrambi pari diritti e pari doveri, e a regnare è la collaborazione tra i sessi.

Per concludere dobbiamo domandarci che futuro può avere una società dove anche le parole più belle del mondo, quelle che il bambino impara nei primi mesi di vita, “mamma” e “papà”, sono considerate discriminatorie? Che futuro può esserci in una società basata sempre più sul dividi et impera, sulla diffidenza reciproca, sul non-senso, sull’ignoranza concettuale, sulla demenzialità del woke e del politically correct, sulla divisione ideologica, in sintesi sulla stupidità più assoluta? In fondo diceva bene Musil quando asseriva che la stupidità è il male peggiore di cui possa soffrire una società perché mentre l’ignoranza può essere combattuta mediante la conoscenza, con lo stolto è impossibile discutere e ragionare.

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