La “lentezza” è il tempo di Dio

La “lentezza” è il tempo di Dio

di Francesco Bellanti

ELOGIO DELLA “LENTEZZA”

È la lentezza ad avere creato il mondo, il silenzio, la solitudine, il bisogno d’amore. La lentezza è il tempo di Dio, dei santi, degli eremiti, degli anacoreti, dei monaci, degli uomini che hanno predicato la salvezza nei deserti, negli eremi solitari. La lentezza è il tempo dei monaci che hanno salvato la cultura e la civiltà nella solitudine e nel silenzio dei monasteri.

La lentezza è il tempo dei poeti che hanno cantato il mondo, il tempo dei filosofi che hanno spiegato la vita, degli scienziati che hanno costruito il progresso materiale dell’umanità. È la lentezza che ci fa conoscere meglio l’umanità, ci fa amare le emozioni, ci fa raccogliere nella solitudine e nel silenzio per esplorare nuovi sentieri, per andare più lontano, per raggiungere nuove conquiste.

La lentezza è il tempo dell’universo, dove anche le altissime velocità degli astri e delle galassie ci appaiono ferme nella solitudine e  nel silenzio.

Sostiene Milan Kundera che la lentezza per ricordare, e che la velocità serve solo per dimenticare. Quando vogliamo ricordare o salvare il momento, ci muoviamo e agiamo lentamente, invece corriamo veloci per dimenticare un’esperienza passata.

“C’è un legame stretto tra lentezza e memoria, tra velocità e oblio”, dice Milan Kundera. “In un mondo che corre vorticosamente, con logiche spesso incomprensibili, il problema della lentezza si affaccia alla mente con prepotenza, come una meta del pensiero e della via da percorrere. Andare più veloci non significa conoscere più di quello che la strada offre e nessuno vuole arrivare prima alla fine della propria strada.”

Si deve ricordare per amare, non è possibile vivere il presente senza avere presente il passato. La lentezza non ci è stata donata, la lentezza è un lusso, una conquista. Dice un proverbio persiano che la fretta è del diavolo, mentre la lentezza è di Dio. Così è. “Davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno” (2 Pietro 3,8). I suoi tempi sono perfetti: mai in anticipo, mai in ritardo. Dio non ha mai fretta, è sempre puntuale. Il Vangelo di oggi è un inno alla lentezza. C’è bisogno di andare adagio.

Solo così possiamo essere estasiati dalla straordinaria bellezza dei fiori nei campi nel tempo di maggio, dal canto dei passeri, solo così possiamo stupirci dal bosco che esplode di vita e cresce nel silenzio, dal ruscello che innalza melodie armoniose e perfette. Dobbiamo abbandonare l’affanno della corsa quotidiana,  rallentare per rispettare il ritmo della nostra esistenza, accordare la vita al nostro respiro.

La lentezza è il segno della riconquista della nostra libertà, il non lasciarsi avvolgere dalla moda del carpe diem, della società che tutto divora, anche i sentimenti, la frenesia inane dello sfrenato e vuoto consumismo. È nell’istante che viviamo che abita Dio, in esso dimora lo spirito di Dio che dà ordine a tutti gli accidenti, che guida, perfetto maestro d’orchestra, la sinfonia di tutte le creature.

Dobbiamo cancellare, eliminare dalla nostra vita tutto ciò che non è necessario, tornare a leggere un libro, potere ammirare un tramonto, la meravigliosa, lenta apparizione di un’aurora. Dobbiamo ritrovare lo sguardo verso gli altri, entrare nei loro cuori, ascoltare insieme i suoni della primavera, odorare il profumo che ci porta il vento dal bosco, dalle onde del mare.

Tutto quello che scappa è vuoto, è senza consistenza, il silenzio, la solitudine, il raccoglimento, la lentezza, sono le carezze di Dio che ci spingono ad amare gli altri, ad accogliere la vita.

La lentezza è leggerezza, e come la leggerezza non è superficialità. Sostiene Italo Calvino nelle sue Lezioni americane che solo la leggerezza – nella letteratura dell’esistenza – ci impedisce di precipitare nell’abisso senza ritorno, nella pesantezza della realtà, e leggera, ancorché rapida (ma non veloce) è tutta la grande letteratura che ha descritto il mondo: tutto è leggiadria, da Cirano di Bergerac di Edmond Rostand a Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes, dalle Metamorfosi di Ovidio alle novelle del Decameron di Giovanni Boccaccio a L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera. Leggiadra è l’opera di Guido Cavalcanti, di Dante Alighieri, di Paul Valéry, i sonetti di Emily Dickinson e di William Shakespeare, i ragionamenti di Franz Kafka e le poesie di Giacomo Leopardi, come pure il Piccolo testamento di Eugenio Montale, il De Rerum Natura di Lucrezio e la produzione di Henry James. 

Dice ancora il grande scrittore Italo Calvino che una qualità da perseguire (tanto nella  scrittura quanto nella vita) è la rapidità, ma la rapidità non è velocità, la rapidità si può raggiungere solo con la lentezza. In letteratura (ma anche nella vita) rapidità significa ricorrere a ciò che è essenziale, assecondare il ritmo e la logica della storia che si vuole raccontare.  “La rapidità dello stile e del pensiero vuol dire soprattutto agilità, mobilità, disinvoltura; tutte qualità che s’accordano con una scrittura pronta alle divagazioni, a saltare da un argomento all’altro, a perdere il filo cento volte e a ritrovarlo dopo cento giravolte”.

Rapidità e lentezza devono coesistere, in un racconto come nella vita. Bisogna capire quando si rende necessaria una cosa o l’altra. Festina lente, affrettati lentamente, questa l’antica massima latina (attribuita all’imperatore Augusto) che Calvino aveva scelto come suo motto.

È la letteratura dell’ironia sottile, brillante, che con la leggerezza e la lentezza riduce il carico di pesantezza delle inquietudini della vita.  “Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te”, è un’affermazione del grande filosofo Friedrich Nietzsche.

Tutto il male della storia è la velocità, la corsa affannosa, turbinosa, il non rispettare la notte, l’ombra, il buio, misurare gli eventi col tempo della nostra vita, mentre occorre rapportare le ambizioni, i desideri alla misura della nostra esistenza, della nostra breve vita. Solo il silenzio, la solitudine e la lentezza sono autentici. Dobbiamo sottrarci alla tirannia del tempo. Alla sua dittatura, il correre a tutti i costi per non arrivare in nessun luogo. 

Denaro, successo, oggetti, lavoro, treni, aerei, bus, tram. Computer, telefonini, e nessun libro. Si fa tutto sempre di corsa. Oggi si ha fretta, sempre più fretta. Non abbiamo più un attimo per fermarci a guardare un tramonto, per prendere per mano un anziano e fargli attraversare la strada.

Madre Teresa diceva che oggi si hanno molti beni materiali, ma se guardiamo veramente nelle nostre case difficilmente troviamo un sorriso. Il sorriso che è il principio dell’amore. 

Qual è la meta di tutto questo correre? Riprendiamoci il nostro tempo, il tempo che passa e non ritorna più. Il tempo dell’amore da donare agli altri. 

Comportati così, Lucilio mio, rivendica il tuo diritto su te stesso  e il tempo che fino ad oggi ti veniva portato via o carpito o andava perduto raccoglilo e fanne tesoro. Convinciti che è proprio così, come ti scrivo: certi momenti ci vengono portati via, altri sottratti e altri ancora si perdono nel vento. Ma la cosa più vergognosa è perdere tempo per negligenza. Pensaci bene: della nostra esistenza buona parte si dilegua nel fare il male, la maggior parte nel non far niente e tutto quanto nell’agire diversamente dal dovuto”. 

Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo, e alla sua giornata, che capisce di morire ogni giorno? Ecco il nostro errore: vediamo la morte di fronte a noi e invece gran parte di essa è alle nostre spalle; appartiene alla morte la vita passata. Dunque, Lucilio caro, fai quel che mi scrivi: metti a frutto ogni minuto; sarai meno schiavo del futuro, se ti impadronirai del presente”. Sono parole del grande filosofo latino Seneca, un uomo vissuto duemila anni fa.

Dobbiamo recuperare il nostro rapporto con il tempo. Dobbiamo riprenderci il tempo, il tempo per la nostra famiglia, per stare con gli amici, per passare da una libreria, per comprare dei fiori, per gustare un caffè e vedere la vita che ci passa davanti, per fare una passeggiata sulla riva di un fiume, per stare in silenzio con i nostri pensieri.

La lentezza chiama il silenzio. Quello che occorre per leggere un libro, per trovare la pace. Il silenzio è la chiave per comprendere l’esistenza. Il silenzio non per voltare le spalle al mondo, ma per comprenderlo. Perché il silenzio non è un vuoto che ci allontana dal mondo, la lentezza non è andare contro il mondo.

Anzi, il silenzio, dice lo scrittore Saramago, in realtà non esiste, perché anche la nostra voce e i nostri pensieri riflessi in noi, in fondo, hanno un suono, quasi un’eco. Purtroppo, oggi il silenzio, dice lo scrittore John Biguenet, può essere un bene di lusso, il silenzio è oggi spesso, e sempre di più, prerogativa dei ricchi. Perché solo i ricchi possono avere il privilegio, e anche i mezzi, per vivere lontano dal rumore inutile, dalle rotaie, dalle fabbriche chiassose o dalle roboanti autostrade. 

In realtà tutti possiamo riconquistare il silenzio, la lentezza del vivere, annientare il rumore e il caos. Riprenderci il diritto alla lentezza e al silenzio. Oggi più che mai per salvare il mondo. Perché la storia è diventata una corsa turbinosa verso la catastrofe, perché la velocità produce eventi che sfuggono al nostro controllo. Noi dobbiamo fermare questa corsa verso la catastrofe. Più si va indietro nel tempo, più prevale la lentezza. 

E la lentezza è il tempo di Dio, è nella lentezza l’amore. L’Amore che ha creato l’universo nel silenzio senza silenzio, nel tempo senza tempo, nella solitudine senza solitudine, nel buio senza buio, perché Dio è oltre tutto questo, Egli è il tempo, il silenzio, la luce, la lentezza, l’Amore, l’amor che move il sole e l’altre stelle.

Foto di Adam Tumidajewicz da Pixabay

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