La storica Farmacia di San Marco dei domenicani sprangata e in rovina…

di Benedetta De Vito

Se, con la macchina del tempo, potessi tornare a ritroso nei secoli passati, mi piacerebbe fare una capatina a Firenze, quando era Capitale, mettiamo in un mattino del 1869, per il gusto di vedere gli austeri piemontesi, ministri del Regno, ad esempio Quintino Sella (1827-1884) oppure Giovanni Lanza, in redingote, barba o baffi, papillon e cappello a cilindro, rendere omaggio, nella bella sala del Coccodrillo, agli Alchermes, agli Elixir o ai Liquori domenicani della Farmacia di San Marco, allora viva e pulsante e che si trovava, guarda caso, vicino alla sede del ministero dell’Interno che è oggi il Palazzo Medici Riccardi.

Mi nasconderei dietro allo stipite di una porta per osservare il viavai festoso delle belle signore in abito lungo e parasole, per ascoltare il ragionare verboso dei politici d’allora, e perdermi nel daffare dei frati nelle loro lane bianche, e osservar la conta del denaro che scivolava da una mano all’altra, il toscano volando nel piemontese e diventando tutti quanti italiani. A una cert’ora della sera, andando ancora indietro di qualche decennio, vedrei, nella stessa sala dove, legato al soffitto, nuota il feroce rettile, i “neopiagnoni”, cioè Niccolò Tommaseo, e altri meno noti, farsi una bevutina dai frati e invitar lì persino Alessandro Manzoni, quasi uno dei loro… Ma potrei anche, girando al contrario la manovella fin alle corde, tornare al Cinquecento e di nuovo vedrei la Farmacia allegra e vitale, tutta in esercizio per fornire al Magnifico Lorenzo i deliziosi alchermes che serviva alla sua corte, compreso il giovanissimo Michelangelo. E poi… E poi, con un sospiro, dovrei tornarmene all’oggi, un oggi triste, che vede il portone della Farmacia sprangato, l’attività chiusa e tutt’intorno un deserto e una rovina. Dentro, restano lo splendido bancone per la vendita, gli armadi, il laboratorio, la sala del Coccodrillo e, nei sotterranei, il laboratorio antico con la torre alchemica, gli alambicchi e i forni per la distillazione multipla.

Prima di rispondere a qualche perché, il percome, cioè, di questo inglorioso finale, occorre sapere che fin dal Quattrocento, quando fu fondato il Convento di San Marco, grazie a una donazione di Cosimo il Vecchio e all’opera dell’architetto Michelozzo, fu aperta la Farmacia, dove i domenicani producevano e vendevano medicamenti, profumi, saponi, creme, tisane, sciroppi, lenimenti e altro ancora. Tanto valeva, in termini d’introito all’Ordine, la Farmacia che, oltre a dar da mangiare ai frati e a finanziare le opere caritatevoli,  provvedeva per i restauri del Convento e della Chiesa. Entrando nella Basilica di San Marco, infatti, a naso all’aria potrete verificare di persona poiché la gloria di San Domenico, come si legge tutt’attorno al tondo, fu pagata da Giovanni Gualberto Minghi, speziale della Farmacia di San Marco.

Per anni e secoli, la Farmacia, ma anche la Fonderia, lavorarono di buona lena e alcuni frati inventarono elisir, alchermes, un’acqua antisterica, e un profumo elegante che portava il nome evocativo di “Calendimaggio”. Nel 1700 fu prodotta un’acqua di rose miracolosa e anti-rughe… Nella sala del Coccodrillo, che diventò nell’Ottocento una specie di bistrot, un caffè, ci avreste visto passare pressoché tutti i fiorentini. Ora non più. L’abbandono abita le stanze e mi dicono che, durante un temporale, i vetri si sono rotti e sono ancora rotti adesso che di mesi ne sono trascorsi molti e che l’incuria la fa da padrona.  Ignoti, poi, così mi è stato detto,  si sono intrufolati nel silenzio e si sono portati via i vasi speziali, produzione Doccia Ginori e gli orcioli policromi che erano colore e luce posati sulle brune armadiature. Per alcuni anni, e fino a Novecento inoltrato, la Farmacia ha resistito, non più vendendo, pian pianino, le sue chicche domenicane (vietato per legge produrle e venderle a meno che non si fossero fatti adeguamenti ad hoc ma troppo cari per le tasche dei figli di San Domenico). Così vivacchiò, la Farmacia, messa in divisa italiana, pur nella bellezza unica delle stanze in cui abitava e che la freddezza della modernità non riesce neanche più, quasi, ad apprezzare. Poi Via Cavour, che è la strada sulla quale si affaccia il bel portale della Farmacia, divenne pedonale e i clienti si ridussero al lumino. I conti in rosso, il bilancio o sbilanciato nel meno o, quando andava bene, in pari. La concorrenza, poco distante, troppa. Una farmacia valeva l’altra. Quella di San Marco, o meglio dire l’esercizio commerciale, grazie a un provvedimento comunale, traslocò a Novoli e ancora oggi vende la sua merce in Via Carissimi. Ma, di certo, Quintino Sella, redivivo, non avrebbe ragione di spingersi fin là. Busserebbe, invano, alla porta di San Marco. E anche noi.

Ma la storia è amara e, per ora, non dà scampo. Gli ultimi frati domenicani che resistevano in Convento sono stati trasferiti e nessuno più si cura di nulla, a quanto pare…

E pensare che la gemella di San Marco, ossia la Farmacia di Santa Maria Novella, funziona a meraviglia e va a gonfie vele. Perché quella, stupenda, di San Marco no? Abbiamo girato la domanda chi ne sa più di noi ed è nostra fonte fedele. Qualcuno, tra i religiosi, aveva trovato, faticosamente, la strada per riaprire la Farmacia, producendo le antiche ricette, inventandone di nuove, unendo visite guidate alla meraviglia rinascimentale e negozino per comperare un ricordino. Magari in forma di una certa crema per il viso che, a quanto mi hanno rivelato, farebbe miracoli.

Aveva trovato un imprenditore capace, volenteroso, che si sarebbe accollato anche i lavori di ristrutturazione. Era tutto pronto, in bozza ovviamente. E la gloriosa Farmacia di San Marco sarebbe risorta a nuova vita e avrebbe portato un fiume di denaro anche all’Ordine dei Predicatori e alle loro opere di carità. Invece nulla. Da qualche parte, nella catena gerarchica dell’Ordine, è arrivato lo stop. Senza appello. Vorrei quasi riprendere la mia macchina volante e fuggire in là, avanti nel futuro, in un mondo dove la Farmacia fosse di nuovo aperta e cuore di Firenze, un mondo dove il bene è bene e il male non lo è…

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