L’esempio cattolico in politica: Clemente Solaro della Margarita

L’esempio cattolico in politica: Clemente Solaro della Margarita

CONSIDERATO DALLA STORIA “DEI VINCITORI” UN REAZIONARIO, È STATO IN REALTÀ ESEMPIO DI COERENZA E ONESTÀ

Di Matteo Orlando

«Non era molto intelligente. Ma era un gran galantuomo, incapace di bassezze, che faceva il suo mestiere con sacerdotale e disinteressato impegno», scrisse di lui Indro Montanelli» (L’Italia del Risorgimento, Bur 2018,p. 116).

Diffidiamo molto dal Montanelli storico (a causa di strafalcioni che sono stati riscontrati in alcune sue opere), tuttavia il giudizio riportato (a parte quello sull’intelligenza, impossibile da verificare a posteriori) si addice appieno a Clemente Solaro della Margarita (1792-1869), ministro e primo segretario di Stato per gli Affari Esteri di Carlo Alberto dal 1835 sino alla vigilia delle grandi riforme costituzionali del 1848.

«Schietto credente, autentico gentiluomo, genuino patriota», hanno scritto di lui Monaldo Bresciani ed Ennio Innocenti (in Statisti cattolici europei, Quaderni di Studi Storici sulla Cristianità, Roma 1990, Edizioni dei Due Cuori, pp. 39-48.) Clemente Solaro della Margarita fu un esponente dell’anti-Risorgimento, avverso ad ogni logica (e loggia) massonica.

Nobile e cattolico, il conte Solaro della Margarita operò al servizio del re senza mai adularlo e senza accettare imposizioni contrarie alla sua coscienza.

Dopo aver studiato (fino al 1806) presso il collegio De Tolomei di Siena gestito dai padri Scolopi, poi a Torino sotto la guida dell’abate Ricordi e conseguita la laurea in legge nel 1812, Solaro della Margarita, a soli 24 anni, entrò definitivamente in diplomazia come segretario della legazione sarda a Napoli, dove era ministro della Real Corte Piemontese il marchese Raimondo De Quesada di San Saturnino, del quale nel 1824 sposò la figlia Carolina (che gli diede 4 figlie e un figlio).

Dopo incarichi d’affari presso la corte di Madrid, nel 1835 fu nominato ministro plenipotenziario alla corte di Vienna e Ministro degli Esteri del Piemonte.

Questa nomina non fu vista di buon occhio dalle due monarchie costituzionali di Francia e Inghilterra per via della sua supposta vicinanza all’Austria. In realtà dell’Austria amava l’autocrazia mentre ne combatteva le interferenze, difendendo la sovranità e l’indipendenza della corte piemontese anche dall’Austria.

Negli anni in cui godette del favore del re, ha scritto su di lui Sergio Romano, «Solaro adottò una linea politica favorevole all’Austria e ostile alla Francia, appoggiò i pretendenti reazionari in Spagna e in Portogallo, sostenne in patria e all’estero le tesi dell’assolutismo legittimista. Uscì gradualmente di scena nella seconda metà degli anni Quaranta, mentre Carlo Alberto rovesciava la propria politica, e fu licenziato dal re dopo l’occupazione austriaca di Ferrara nell’agosto del 1846» (in Giuseppe Prezzolini, Manifesto dei conservatori, La biblioteca di Libero, pp. 21-23).

In un Memorandum storico-politico pubblicato il 10 marzo 1851 dall’editore Speirani e Tortoni di Torino, scritto per difendere la fama di Carlo Alberto di Savoia sia dai detrattori che dalle «funeste lodi di falsi amici», Solaro della Margarita  rivolgendosi a Vittorio Emanuele II, da tre anni Re di Sardegna, gli indirizzò queste raccomandazioni: «fate prosperare i dominii che per divina provvidenza sono vostri; prospereranno allora quando fra i miglioramenti che l’arti, il commercio, l’industria richiedono, voi non perderete di vista mai l’oggetto primo onde ogni felicità deriva, che è la causa di Dio. Difendete la religione, proteggete la Chiesa e l’osservanza delle sue leggi; riverite in Colui che cinge la tiara in Vaticano il Vicario del Re dei Re; non tollerate le bestemmie degli empi; non crediate mai fedele a voi chi non lo è a Dio, ne che vi sia giustizia là dove non si fonda nel codice dell’eterna sua legge… Vivete lunghi anni, o Sire, è la storia degli antichi e moderni errori vi preservi dal calcare quelle vie per cui le Reali dinastie decadono e si cancella il nome dei popoli. Vi preserverà facilmente, e noi con voi, o Sire, da tali disastri il pensiero che tutto passa, tutto è ludibrio di morte, ma la memoria di un Re che rese felice il suo popolo traversa i secoli, benedetta da ogni generazione».

Come ha rilevato dallo stesso Romano nel testo sopra citato, Vittorio Emanuele di Savoia «non seguì i consigli di Solaro della Margarita e l’Italia ebbe una rivoluzione sui generis», troppo liberale per cattolici, austriaci e borbonici, troppo conservatrice per mazziniani, repubblicani e democratici.

Cattolico fervente, devoto al Papa, stimato dai Gesuiti, quando nel 1847 scoppiò la prima agitazione popolare in favore di riforme costituzionali, al Solaro che ad ogni rivolta si oppose con fermezza, allo statista piemontese anti-cavourriano che non si lasciò ingannare dal liberalismo, fu dato il ben servito. Così i già citati Bresciani ed Innocenti: «Fu ben triste per l’aristocratico piemontese trovarsi, durante i suoi 13 anni di fedele e del tutto disinteressato servizio del trono e del paese, dinanzi ad un re titubante e sempre portato alla scelta più facile pur se non la più oculata, sempre spinto ad assumere atteggiamenti che non incontrassero le critiche da parte dei liberali. Il timore era il supremo consigliere di Carlo Alberto e questo favoriva lo scontro con il Conte della Margarita che non veniva meno ai suoi doveri e parlava con retta schiettezza. E man mano che aumentava l’arrendevolezza di Carlo Alberto verso la sinistra, le prese di posizione di Solaro si facevano più risolute, non essendo in alcun momento prevalsi in lui gli stimoli del tornaconto. Fino all’ultimo giorno del suo incarico, cioè, sino a quando il 10 ottobre 1847 fu allontanato dal governo, il conte Solaro rimase fedele ai principi che lo avevano spinto ad abbandonare una vita dedita alla preghiera, alla meditazione e allo studio per assolvere quei compiti civici ed accettare quelle alte gravosa responsabilità che non aveva voluto evitare consapevole dei suoi doveri di credente e di aristocratico in un’ora in cui il movimento sovvertitore rischiava di travolgere la fede ed i costumi del popolo cristiano. Carlo Alberto, allontanandolo dal governo, non si rese conto di cedere ai suoi nemici, non soltanto del fiero difensore degli antichi diritti conculcati, ma anche della dinastia sabauda che prima o poi sarebbe rimasta travolta dal corso storico sciaguratamente aperto da lui stesso» (op. cit.).

Ritiratosi dalla vita pubblica Solaro non rinunciò a manifestare il suo pensiero con scritti attraverso i quali continuò a difendere la sua concezione politica contraria allo spirito mercantilistico e affaristico liberale, difendendo una concezione cattolica che non ammetteva il «disprezzo dell’autorità» e il «falso concetto della sovranità del popolo».

Clemente Solaro della Margarita era conscio che non si poteva ritornare né alle istituzioni feudali né ai «privilegi esorbitanti di certe classi» perché «ogni età ha il suo colore, il suo carattere». Era però altrettanto convinto che «le massime santificate dalla legge evangelica emanano dalla legge di natura e questa obbliga tutti».

Ancorato al genuino cristianesimo che aveva in Roma il suo centro di irradiazione, da uomo di salda fede, di irremovibili principi e di inoffuscabile coscienza, Solaro della Margarita detestava il moderatismo nel quale vedeva l’origine di ogni ipocrisia, la causa di ogni rinuncia, la premessa di ogni viltà. Nella concezione dell’aristocratico piemontese, infatti, il moderatismo «accenna alla virtù, ma non l’abbraccia, non la segue, detesta il male, ma non ardisce contrastarlo».

Per Solaro della Margarita, in definitiva, il vero scopo dei moderati era quello di mantenere il potere a qualunque costo. Una definizione in particolare che Solaro diede dei “moderati” appare oggi insuperabile: «animi illanguiditi ed incerti fra il bene ed il male, né di quello innamorati mai, né mai questo pienamente aborrendo, non si distinguono per virtù né per delitti, mediocri nel bene, volgari nel male, indifferenti all’uno e all’altro, abietti presso i contemporanei, senza nome fra i posteri». Anche per questa sua “preveggenza” politico-spirituale il nobile piemontese va considerato, dal punto di vista della “storia della fede”, un cattolico senza compromessi, uno che non ha mai ammesso nella condotta politica alcuna transazione sui principi e, coerentemente, dal punto di vista della sua vita personale ha testimoniato il distacco più assoluto dalle “umane passioni”.

In Il Corriere del Sud, n. 5
anno XXIX/2020, p. 3

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