A che vale definirsi “credente” ma “disobbediente”

Malattia e peccato spesso sono connessi. Solo Gesù ci libera da entrambi i mali.

Di Padre Giuseppe Tagliareni

Come non tutti gli antichi ebrei entrarono nella Terra Promessa, così non tutti i cristiani entreranno nel riposo di Dio.

E la ragione è la stessa: incredulità e durezza di cuore.

Nella sua infinita pazienza, Dio usa molti mezzi per richiamare e attende per anni la conversione.

I peccatori ostinati sfidano la pazienza di Dio, tanto da farlo disgustare.

“Dovremmo avere il timore che, mentre rimane ancora in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso” (Eb 4,1).

Non tutti entreranno nel Regno dei cieli. “Poiché dunque risulta che alcuni en- trano in quel riposo e quelli che per primi ricevettero il Vangelo non vi entrarono a causa della loro disobbedienza” (v. 6).

A che vale dire: “Sono credente”, se poi devi aggiungere: “sono disobbediente?”.

“La fede senza le opere è morta” (Gc 2,26), dice S. Giacomo.

Abbiamo ricevuto Vangelo, Battesimo e tutti i Sacramenti; eppure tanti cristiani disertano le chiese e perdono la fede: temono più di perdere la salute che la grazia di Dio e andare a finire nelle fiamme dell’Inferno.

Il paralitico che si fece portare da Gesù in barella, non solo aveva fiducia in lui, ma era pentito dei suoi peccati.

Gesù vide il suo cuore e per prima gli tolse il peso dei peccati col perdono e poi gli tolse la paralisi con la guarigione.

Malattia e peccato spesso sono connessi. Solo Gesù ci libera da entrambi i mali e ci restituisce salute, bellezza e grazia.

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