Giovanni Bosco, un santo anti Massoneria e anti Liberalismo

Giovanni Bosco, un santo anti Massoneria e anti Liberalismo

SAN GIOVANNI BOSCO, CHE FESTEGGIAMO OGGI, AVEVA UNA “TEOLOGIA DELLA STORIA” CHE OGGI APPARE “POLITICAMENTE SCORRETTA”. PERÒ È QUELLA DI UN SANTO. E LE SUE PROFEZIE SI AVVERARONO.

A cura di Angelica La Rosa

Il 31 gennaio è la Memoria liturgica di san Giovanni Bosco (Castelnuovo d’Asti, 16 agosto 1815 – Torino, 31 gennaio 1888), che dopo una dura fanciullezza, fu ordinato sacerdote, dedicò tutte le sue forze all’educazione degli adolescenti, fondando – nel 1854 – la Società Salesiana e, nel 1872, con la collaborazione di santa Maria Domenica Mazzarello (1837-1881), fondando l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, per la formazione della gioventù al lavoro e alla vita cristiana.

San Giovanni Bosco, all’età di nove anni (era nato il 16 agosto 1815 a Castelnuovo d’Asti, oggi Castelnuovo Don Bosco) quando ebbe il sogno che gli indicò la sua strada: in un cortile, in mezzo a un gruppo di ragazzi, vide prima Gesù e poi la Madonna, attorniata a bestie feroci poi trasformate in agnelli. Da quel momento Giovanni divenne per i suoi coetanei un apostolo in grado di affascinarli con il gioco e la gioiosa compagnia, ma anche di farli crescere nella fede con la preghiera.

Su questo grande santo vi offriamo qualche riflessione di Don Roberto Spataro riportate in un articolo per Le Serate di San Pietroburgo pubblicate su “Il Corriere del Sud” ( n. 12, anno XXI/12, p. 3).

Prete cattolico fedelissimo al Papa, come suddito del suo Regno don Bosco mostrò sempre attaccamento al Re e ne rispettò le decisioni, anche quando esse, ispirate al Liberalismo del secolo XIX, erano del tutto contrarie alle sue convinzioni.

Tale rispetto istituzionale, radicato in quell’equilibrio più complessivo tra fede e ragione che caratterizza il Cattolicesimo di don Bosco e ispirato da quell’atteggiamento prudenzialmente pragmatico che lo rese stimato e apprezzato anche dagli avversari, non gli impedì di prendere posizioni molto coraggiose.

Nel 1855, per esempio, il Parlamento piemontese discuteva la famosa “legge Rattazzi” che prevedeva la soppressione di molti Ordini religiosi e l’incameramento dei loro beni. Don Bosco ebbe dei misteriosi sogni in cui un valletto di casa reale, in uniforme rossa, annunciava “grandi funerali a corte”. Per mezzo di lettere affidate a personaggi altolocati egli fece pervenire un avvertimento al Re Vittorio Emanuele II: se egli avesse firmato quelle leggi inique, dei lutti avrebbero colpito la famiglia reale. Il Re ne fu turbato ed irritato. Ciò nonostante, le leggi passarono e furono promulgate con la sua approvazione. Nel giro di pochi mesi, cinque personaggi di casa Savoia morirono inopinatamente. Tra essi, la Regina Madre, Maria Teresa, e la consorte di Vittorio Emanuele II, Adelaide.

Don Bosco aveva una “teologia della storia” che oggi appare “politicamente scorretta”. Però è quella di un santo. E le sue profezie si avverarono. Non solo quella relativa ai “grandi funerali a corte” ma anche quella sul destino di Casa Savoia, la dinastia che, nel secolo XIX, avallò e promosse una legislazione anticattolica e filoprotestante, e invase lo Stato Pontificio più volte fino alla conquista di Roma nel 1870.

Secondo don Bosco, alla quarta generazione, essa si sarebbe estinta. Sappiamo come sono andate le cose: dopo il cosiddetto “Re galantuomo”, Vittorio Emanuele II, primo Re d’Italia, suo figlio Umberto I, morì nel 1900, vittima dell’odio anarchico in un attentato che scosse profondamente l’Italia; Vittorio Emanuele III, che nel 1943 fuggì ignominiosamente da Roma, prima dell’occupazione nazionalsocialista, fu costretto ad abdicare; alla quarta generazione, Umberto II lasciò per l’esilio l’Italia, diventata repubblica in seguito al referendum istituzionale del 1946.

Anche il Papa Pio IX confidava fortemente in quel prete piemontese, tenace e prudente, e nei doni che Dio gli aveva elargito. E a don Bosco il Papa si rivolse in un momento drammatico: il generale Cadorna aveva da poco occupato Roma, nel Settembre 1870. Che cosa fare? Molti insistevano perché il Papa, “prigioniero” a casa sua, abbandonasse la Città eterna, diventata insicura e pericolosa. Ma don Bosco, dopo aver lungamente pregato, fece sapere al Papa: “La sentinella, l’Angelo d’Israele si fermi al suo posto e stia a guardia della rocca di Dio e dell’arca santa”. Il Papa rimase a Roma.

Che cosa pensasse don Bosco della sottrazione del potere temporale del Papa lo scrisse in uno di quei suoi libri che ebbero una grandissima diffusione, nati per essere letti dai giovani e dal popolo, La Storia d’Italia. Egli scrive che il potere temporale era necessario per garantire la libertà e l’indipendenza della sua missione spirituale. Ecco le sue testuali parole, che si trovavano nella prima edizione del 1856, quando lo Stato pontificio esisteva, e conservate anche in quelle successive, quando esso era scomparso: “Il dominio temporale de’ Papi si può dire un dono fatto da vari principi, dono approvato e posto sotto alla tutela di tutti i governi cattolici, ed è perciò nell’interesse di tutta la Cristianità che il Papa viva tranquillo ne’ suoi Stati, affinché possa liberamente esercitare la suprema autorità di Vicario di Cristo”.

Principio inoppugnabile: a Costantinopoli, il Patriarca greco-ortodosso per tanti secoli è stato considerato un funzionario imperiale. In tempi più recenti, il Patriarca russo-ortodosso di Mosca ha subito indegne umiliazioni per non scontentare i satrapi di turno, cioè i dirigenti del feroce Partito comunista sovietico.

Leggendo la Storia d’Italia di don Bosco si può conoscere il suo giudizio, estremamente negativo, per i moti d’indipendenza della prima metà del secolo XIX, promossi, a suo avviso, dalle società segrete e dai “filosofi” per perseguire due scopi del tutto inammissibili: il rovesciamento dei governi legittimi e l’anticlericalismo. Essi erano accompagnati, come si dilunga a mostrare nel racconto degli avvenimenti dell’effimera Repubblica romana del 1848-49, da azioni delittuose e violenza efferata.

Sulla Repubblica Romana così si esprime don Bosco nell’altra opera storica edita per l’istruzione popolare e dei giovani, Storia Ecclesiastica: “Per prima cosa quel governo impose tributi, spacciò un’immensità di carta monetata, si appropriò dei beni della Chiesa: campane, calici, pissidi, ostensori, turiboli, ogni oggetto d’oro o di argento che fosse nelle chiese era involato per far danaro. Vari sacerdoti e religiosi furono trucidati, dodici in un solo giorno pugnalati. Monasteri e conventi violati e profanati, e non pochi sacerdoti e religiosi barbaramente sgozzati” (p. 485).

Don Bosco appartiene a quella schiera di cattolici intransigenti che condannarono senza assoluzioni il Liberalismo del tempo. Egli si distingue, però, per due caratteristiche. Anzitutto, è alieno da ogni intemperanza verbale. Nei suoi scritti che trattano degli avvenimenti legati al processo di unificazione dell’Italia, sono associate chiarezza di pensiero e moderazione nell’espressione. È la mitezza di un santo che, – e veniamo alla seconda caratteristica, consapevole dell’incontrastabilità degli avvenimenti, alla sterilità della protesta, preferisce la fecondità dell’azione.

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