Il silenzio, questo sconosciuto… quanto è difficile apprezzarlo, abitarlo, ascoltarlo!

Il silenzio, questo sconosciuto… quanto è difficile apprezzarlo, abitarlo, ascoltarlo!

La Quaresima è anche, soprattutto, tempo per ascolta la Parola di Dio. E per ascoltare è necessario fare silenzio…

Di Mariastella Vanella

Saper parlare è un vanto di molti
Saper tacere è una saggezza di pochi
Saper ascoltare una generosità di pochissimi.

(S. Giovanni della Croce)

Il silenzio, questo sconosciuto… quanto è difficile apprezzarlo, abitarlo, ascoltarlo!

Le parole feriscono, il silenzio non dovrebbe. Invece, spesso lo fa. Il problema è che siamo così poco abituati ad averci a che fare, che risultiamo spesso incapaci di comprenderlo. Il silenzio spaventa, tanto che spesso, soprattutto i più giovani -ma non solo-, si tende ad evitarlo, mascherarlo, coprirlo. Riempiamo la nostra vita di frastuono, pur di non ascoltare e non ascoltarci. Nonostante percepiamo, di persona, la dolcezza di uno sguardo fisso e attento, che si accompagna ad un ascolto delle nostre parole. Io amo dire: ascoltare con gli occhi.

Ci è difficile cogliere il silenzio quando non ci è comunicato anche dal senso della vista: questo accade, ad esempio, quando, durante una telefonata, dall’altro capo del filo non arriva nessuna parola. Il primo pensiero è che sia caduta la linea o che ci sia un guasto tecnico: è tanto strano per noi assaporare la profondità del silenzio di una persona che ascolta davvero, che questa è l’ultima delle ipotesi a cui pensiamo!

Tante volte il silenzio ci fa paura, preferiamo riempire ogni istante di rumori, di chiacchiere, magari di lagne, brontolii e lamenti, piuttosto che permettere al silenzio di porci di fronte alla realtà. Siamo capaci di vederlo come indifferenza, non prendendo in considerazione la possibilità che possa, anzi, al contrario, rivelare un approfondimento della relazione, che non necessita più delle parole, ma può servirsi dello strumento del silenzio come il primo modo per prestare attenzione all’altro.

L’amore non può essere solo parole. Certo la comunicazione verbale è ciò che fisicamente è percepibile, ma dimentichiamo che il nostro corpo, essendo dotato di anima, è capace di usare un’espressività che non può essere ignorata né trascurata. Solo nel silenzio, la propria coscienza può avere voce; solo nel silenzio, è possibile chiarirsi le idee di fronte a sé stessi. E, forse, solo grazie al silenzio, è possibile capire sé stessi, fare le scelte giuste, anche quando non sono affatto facili.

Il silenzio più difficile da gestire è il silenzio di Dio. È un silenzio che parla, perché è Verbo incarnato, che parla nel rispetto della libertà dell’uomo. Questo spiazza le nostre aspettative in cerca di adrenalina, di forti emozioni, di sferzate, e quindi difficile credere. Ecco perché attraversiamo infiniti deserti in cui avvertiamo il “silenzio di Dio”. Temo che il silenzio di Dio sia dovuto alla nostra mancanza di allenamento all’ascolto delle Sue frequenze: siamo troppo abituati al frastuono, perché la nostra attenzione sia attratta da chi sussurra, da chi bisbiglia da chi, sommessamente, ci chiama, desidera relazionarsi con noi. Quando i cuori sono in sintonia, non è necessario alzare la voce. A ben pensarci, due innamorati non gridano, loro bisbigliano, mormorano, sussurrano.

Il silenzio è la condizione per ascoltare sé stessi. È lo strumento essenziale per accrescere la nostra capacità di ascolto. Si ha capacità di ascolto nella misura in cui si ha capacità di fare silenzio: si tratta di imparare a distinguere tra ascoltare e sentire. Ascoltare è atto intenzionale, coinvolgente, voluto, deciso. Sentire è meccanico. Ascoltare è una decisione che impegna tutto l’essere umano e ha come obiettivo il comprendere l’altro. Sentire è scontato.

Spesso, quando dobbiamo attirare l’attenzione del nostro interlocutore, diciamo “ascolta”. Ascoltare implica attenzione, richiede tempo, occorre prendersi tempo per ascoltare. La fretta è nemica dell’ascolto. L’ascolto chiede pazienza, il rimettersi ai tempi dell’altro: dare ascolto è dare tempo all’altro, è dare parola all’altro, è, infine, dare vita all’altro perdendo un po’ della propria vita, del proprio tempo e delle proprie energie.

L’ascolto esige tempo perché anche la comprensione lo esige e i tempi dell’espressione e della comprensione spesso non coincidono. Ascoltare diviene atto di ospitalità, occorre avere un’interiorità sgombra per potervi far entrare l’altro, per accogliere l’altro, ci vuole la discrezione di chi accoglie le parole dell’altro che si sta aprendo. L’ascolto ci impone di non essere distratti e occupati dalle proprie sofferenze, dai propri affanni e dai propri pensieri per divenire così grembo accogliente per l’altro.

La capacità di ascoltare è intrinseca alla capacità d’amare: ci può essere un ascolto senza amore ma non c’è amore senza ascolto. Non è facile trovare una persona che ci ascolta e non è semplice saper ascoltare. Una persona racconta… una persona ascolta… Ascoltare con costante attenzione è una fatica, ma mille volte di più è una gioia immensa, è un’esperienza affascinante, creativa, unica. Saper ascoltare con rispetto, in un clima di serena fiducia, crea sicurezza, libertà nel comunicare e accoglienza.

Mi ha sempre colpito la simbologia dei riti dei sacramenti. Nel Battesimo c’è un momento bellissimo, quando il sacerdote benedice le orecchie perché si aprano ad ascoltare la Parola di Dio, una parola che poi diventa vita e dona gioia.

“Shemà Israel” (Ascolta Israele). Gesù si lascia raggiungere da ogni uomo e si pone in ascolto, ascolta il nostro cuore nei suoi desideri più profondi e più veri, è quell’accoglienza senza limiti, che non esclude nessuno e che lascia sempre aperta la porta della fede. Nell’episodio di Marta e Maria, Gesù a Maria che era accovacciata ai suoi piedi ad ascoltarlo dice «ha scelto la parte migliore» (Lc 10,42).

Non sempre si ha l’opportunità di scegliere la parte migliore, non sempre ci è offerto di poterla prenderla. Shemà Israel!

 

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