Quel ruolo, spesso immorale e anti-familiare, assunto dalla tv “pubblica”
“L” COME LIBERTÀ: LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA CI RICORDA IL DIRITTO E, IN DETERMINATI CASI, IL DOVERE DI CERCARE LA VERITÀ, PROFESSARE LE PROPRIE OPINIONI PERSONALI, ASSOCIARSI CON ALTRI PER FINALITÀ DI BENE COMUNE, PRATICARE ANCHE PUBBLICAMENTE IL CULTO RELIGIOSO E RIFIUTARE CIÒ CHE È MORALMENTE NEGATIVO, SOTTO QUALUNQUE FORMA SI PRESENTI
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Di Giuseppe Brienza*
Ogni persona umana, ricorda il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, è creata ad immagine e somiglianza di Dio. Per questo motivo nasce originariamente libera di cercare la verità, professare le proprie convinzioni religiose, culturali e politiche, esprimere le proprie opinioni, decidere il proprio stato di vita e, per quanto possibile, il proprio lavoro.
Ha inoltre il diritto di costituirsi una propria famiglia, promuovere la libertà d’impresa e le più svariate iniziative di carattere sociale, economico o politico compatibili con l’ordine pubblico e il diritto naturale (cfr. Compendio DSC, nn. 199 e 200).
Ha anche il diritto e, in determinate circostanza, il dovere di rifiutare, anche pubblicamente, ciò che è moralmente riprovevole o inaccettabile, sotto qualunque veste si presenti.
Nel “rifiuto” di ciò che è moralmente negativo non si può non rilevare il ruolo spesso immorale e anti-familiare assunto della televisione “pubblica” italiana, almeno dagli anni 1970.
Nell’attuale contesto di crisi e risorse scarse, oltre che in ottica di sussidiarietà, sconcertano i dati finanziari, da ultimo pubblicati dall’Osservatorio Conti Pubblici (CPI) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Secondo il centro di ricerche e studi diretto dal prof. Carlo Cottarelli, l’azienda di Viale Mazzini tra il 2015 e il 2020 ha perso ben 45 milioni di euro a fronte (ma questo lo diciamo noi) di un notevole peggioramento dell’offerta di servizio pubblico. Senza menzionare poi, come ripetutamente fatto dalla magistratura contabile italiana, l’enorme massa debitoria della televisione “pubblica” nei confronti del sistema bancario e la ridondanza di personale, talvolta comunque di eccellenza se ci si riferisce alle strutture tecniche (queste non certo da tagliare).
Per questi e altri motivi che non sfuggono ai tanti promotori e iscritti alle varie associazioni di utenti, specie d’ispirazione culturale-educativa e familiare, costretti a inoltrare centinaia di esposti e denunce l’anno per violazioni del Codice di autoregolamentazione Tv e minori, per “buttare in politica” il principio della “L” come libertà, in particolare nella declinazione di libertà culturale ed educativa, ci sembrerebbe necessario ridimensionare la RAI, senza metterne comunque in discussione l’esistenza.
In effetti, come affermato anche dai migliori presidenti Rai del recente passato, «Dire che il servizio pubblico è estremamente importante non vuol dire che debba essere uguale a sé stesso per l’eternità» (Monica Maggioni).
Come proposto nel manifesto politico dell’Osservatorio Internazionale “Card. Van Thuan”, «la RAI va privatizzata. Lo Stato, eventualmente, potrà tenere un canale snello e strettamente finalizzato ad obiettivi di informazione pubblica seria e non di parte, ma per il resto bisogna che anche in questo campo si applichi il principio di sussidiarietà. L’informazione non la fa lo Stato, ma i soggetti culturali presenti nella società civile» (Osservatorio “Card. Van Thuan”sulla Dottrina Sociale della Chiesa, Un Paese smarrito e la speranza di un Popolo. Appello politico agli italiani, Edizioni Cantagalli, Siena 2014, p. 57).
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Temi di Dottrina sociale della Chiesa.