Renzo De Felice, lo storico “contro i falsi miti” della sinistra

Renzo De Felice, lo storico “contro i falsi miti” della sinistra

UNA RIEVOCAZIONE DEL PROF. RENZO DE FELICE (1929-1996) A 25 ANNI DALLA SUA MORTE NON POTEVA MANCARE SU UNA TESTATA COME INFORMAZIONE CATTOLICA, CHE DEDICA UNA SPECIFICA SEZIONE DI ARTICOLI ALLA STORIA CONTEMPORANEA. ANCHE SE LO STORICO REATINO NON HA MAI FATTO PROFESSIONE DI FEDE, LA SUA INTEGRITÀ E PROFESSIONALITÀ CE LO RENDE ESEMPIO DI STUDIO E DI DEDIZIONE AL PROPRIO LAVORO. INSOMMA, UNO STORICO “CONTRO I FALSI MITI”, LA CUI LETTURA RACCOMANDIAMO SOPRATTUTTO AGLI STUDENTI

Di Andrea Rossi

È da poco passato il venticinquesimo anniversario della scomparsa di Renzo De Felice, ed appare incredibile come alcuni punti fermi della storiografia liberale, cattolica e conservatrice del nostro paese, che pensavamo fossero conquiste definitive, siano tornati in discussione. Appare soprattutto preoccupante che alcune ovvietà, come il concetto cardine dello studioso reatino («la storia prima si ricostruisce, poi si interpreta, e non il contrario») appaiano totalmente estranee ad una generazione di ricercatori che confondono la militanza politica con lo studio del passato.

Si tratta, purtroppo, di una pattuglia sempre più folta e con un numero sempre maggiore di “adepti” che intendono proporre (o meglio: imporre) all’intero mondo accademico e della divulgazione un modello basato su interpretazioni che mettono l’ideologia al di sopra dei fatti, pur affermando, piuttosto sorprendentemente, che con la loro operazione essi fanno il contrario, ossia: disvelano i fatti “autentici” a detta loro distorti da un sedicente ritorno del fascismo. È di qualche giorno fa lo stupefacente commento di un docente universitario veneziano, Simon Levis Sullam, alla barbara idea di una libreria di esporre il volume autobiografico di Giorgia Meloni al contrario, in modo che la presidente nazionale di Fratelli d’Italia apparisse, lugubremente, a testa in giù: «Da Feltrinelli può capitare», ha scritto sui social Levis Sullam, fra i like e gli emoticon sorridenti dei suoi fan. Le reazioni politiche sono state sostanzialmente univoche nella condanna di queste parole, quelle del mondo accademico e delle associazioni studentesche di sinistra sono state di segno diametralmente opposto. Secondo una parte “rumorosa” di docenti e ricercatori italiani, un insegnante che sorride all’idea che un leader di destra possa essere ritratto come Mussolini a piazzale Loreto è manifestazione di libertà di espressione, non censurabile da alcuno. Anzi, è una prova di antifascismo militante. Esemplare, in merito, il commento di uno degli autori di punta della collana Fact Checking della casa editrice Laterza, Francesco Filippi: «i politici che vogliono evitare di subire questo accostamento, di certo ruvido e sicuramente crudo, possono fare una cosa: una pubblica, chiara professione di convinto e solido antifascismo». Potrebbero sembrare parole tratte da qualche intervista d’epoca di Toni Negri o di altri cattivi maestri degli anni ’70, e invece si tratta dell’opinione, difficilmente male interpretabile, di uno studioso che gode di stima e credito all’interno dell’università italiana: quella, per intenderci, a cui sono iscritti molti dei nostri figli. In sostanza siamo tornati indietro di mezzo secolo, come ha affermato lo storico non conformista Marco Gervasoni (cfr. l’intervista Marco Gervasoni: «gli spazi di libertà in Italia sono ristretti»), intellettuale “proscritto” dalla stessa intellighenzia marxista che sostiene le opinioni di Filippi o di Levis Sullam: il livello è lo stesso, grottesco e assieme plumbeo, dei maoisti e del “libretto rosso” di Mao Zedong. Una lettura che oggi ci appare una curiosità da museo degli orrori del comunismo, ma che allora troneggiava su molte cattedre del nostro paese. E dalla quale, su tutte, va ricordata la tragica massima “colpirne uno per educarne cento”, che poco dopo sarebbe stata messa in pratica dalle Brigate Rosse.

Sapere che ci sono insegnanti per i quali, se non si vuole essere ritratti a testa in giù, occorre cantare “bella ciao” o salutare con il pugno chiuso, fa tornare in mente quelle parole. E sinceramente fa scorrere un brivido lungo la schiena.

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