Il “caso Montanari”: un rettore-storico dell’arte che nega la tragedia nazionale delle Foibe

LE FOIBE SONO UNA TRAGEDIA VERA DIVENTATA FARSA PER COLPA DELLA STORIOGRAFIA IDEOLOGIZZATA

Di Andrea Rossi

Il filosofo tedesco Karl Marx (1818-1883) sosteneva che la storia in genere si ripete sempre due volte: la prima come tragedia e la seconda come farsa. Osservando il dibattito sulla tragica vicenda delle foibe istriane di questi giorni, verrebbe da dire che pure la storiografia può facilmente scivolare verso il grottesco, quando non riesce a liberarsi dai cascami di ideologie fallimentari evidentemente dure da sconfiggere definitivamente. Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena (che di foibe non è né esperto né cultore: è un docente di storia dell’arte), inserendosi “a gamba tesa” nella stucchevole polemica estiva  seguita alla nomina di Andrea de Pasquale come direttore dell’Archivio centrale dello stato e “reo” di essere di orientamento politico di destra, ha ampiamente strabordato dai propri limiti istituzionali, parlando di un  “revisionismo di Stato” di cui sono complici allo stesso modo le forze politiche progressiste e conservatrici.

Fin qui nulla di nuovo: si tratta di uno dei tormentoni della militanza intellettuale post-comunista, ossia il sabotaggio dei valori democratici e resistenziali da parte di forze oscure in qualche modo orbitanti nel mondo del neo fascismo, o per meglio dire “fasciste” tout court, in quanto il fascismo, come sosteneva Umberto Eco in una delle sue pubblicazioni meno felici, è un fenomeno eterno. Come spesso accade a chi si improvvisa quello che non è, Montanari è incappato però in una serie di svarioni, compreso quello di considerare il giorno del Ricordo degli esuli istriani e dalmati (10 febbraio) una falsificazione storica, fatta per equiparare la tragedia delle foibe e il genocidio degli ebrei, il cui ricordo cade il 27 gennaio.

Ad essere sinceri questa visione ai limiti della paranoia è, purtroppo, piuttosto diffusa nel mondo accademico: si tratta della stessa tesi presente nel saggio di Eric Gobetti “E allora le foibe?“. Non a caso, a fronte della  trasversale ripulsa del mondo politico per le detestabili affermazioni di Montanari, sono intervenuti in soccorso del docente toscano i “soliti noti”, ossia il sopra citato Gobetti, Paolo Flores d’Arcais e, inaspettatamente, Alessandro Barbero, che da competente medievalista, in una parabola non diversa da quella del rettore dell’Università per stranieri di Siena, è divenuto negli ultimi anni un fervente tuttologo, capace di intrattenere il pubblico televisivo su tutto lo scibile umano, dalla preistoria alla fantascienza.

Non lo conoscevamo, infatti, come esperto di problemi balcanici, ed effettivamente dal suo intervento pubblico a difesa di Montanari deduciamo carenze imbarazzanti sulla storia dell’Istria nel 1945, ridotta a un Bignami di luoghi comuni; la verve polemica in difesa delle affermazioni sconsiderate del rettore porta Barbero a sposarne le tesi, anzi ad aggiungere che il ricordo pubblico di quella infamia è “una tappa della falsificazione neofascista della storia (sic)”. Giunti a un livello in cui, toccato il fondo pare si sia iniziato a scavare per giungere ancora più in basso nella tragicomica querelle estiva, alcuni studiosi accademici hanno finalmente iniziato a distanziarsi da questo genere di argomenti, a partire da Raoul Pupo e da altri ricercatori triestini, autentiche autorità della materia, i quali hanno riconfermato quanto è nell’evidenza delle cose: gli eccidi di massa perpetrati nella Venezia Giulia al termine della seconda guerra mondiale facevano parte di una strategia di più ampie proporzioni ideata dai vertici del Partito comunista jugoslavo, per fare piazza pulita degli oppositori politici e delle minoranze etniche non allineate al programma del maresciallo Tito (Josip Broz). Come gli italiani, furono vittime di quel furore ideologico i tedeschi e gli ungheresi abitanti da secoli in Serbia e i nazionalisti cattolici croati e sloveni; erano tutti collaboratori dei nazisti o dei fascisti nelle atrocità compiute durante la guerra? Certamente no, ma su di loro era calata la cortina di ferro, e divennero “vittime collaterali” di un conflitto ideologico di cui ancora oggi si vedono gli strascichi politici.

Raoul Pupo aggiunge poi quello che praticamente tutti gli italiani hanno compreso, ossia che il 10 febbraio non si contrappone al 25 aprile, ma semplicemente aggiunge alle commemorazioni civili del nostro paese il ricordo doloroso di chi ha dovuto rinunciare a tutto per il solo fatto di essere italiano: un fatto che evidentemente può risultare indigesto solo per chi, ancora oggi, coltiva un’idea vendicativa del passato, fortunatamente lontana anni luce dal comune sentire della nazione.

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