In Argentina propongono l’obiezione fiscale all’aborto
PERCHÉ LA COLLETTIVITÀ SI DEVE ACCOLLARE I COSTI DI UN “DIRITTO” SOGGETTIVO CHE OLTRETUTTO LA DANNEGGIA GRAVEMENTE?
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Di Pietro Licciardi
Chi scrive nel 2011 lanciò l’idea di “un piano B” per cercare se non di sconfiggere almeno di limitare la piaga dell’aborto in attesa di giungere alla definitiva cancellazione di una legge infame e omicida come la “194” (QUI l’articolo).
La proposta, in estrema sintesi, era la seguente: concesso, senza ammetterlo, che l’aborto è un “diritto” della donna e una sua scelta, come dicono i paladini dell’infanticidio, e ammesso che la donna deve poter decidere in autonomia della sua vita, evitando i “traumi” psicologici e materiali di una gravidanza indesiderata, e ammettendo, ancora senza concederlo, che questo “diritto”, consente la legge, deve competere solo ed esclusivamente alla donna, che può interrompere la sua gravidanza senza “illecite” ingerenze di mariti, fidanzati, partner e finanche genitori; perché i costi di un atto così arbitrario e soggettivo devono gravare sulla intera collettività? Specialmente in tempi di crisi del welfare e tagli pesanti alla sanità. E oltretutto in considerazione del fatto che la collettività riporta un grave danno dalla pratica abortiva in quanto viene privata di energie nuove, giovani; di persone che nascendo avrebbero dovuto concorrere al benessere comune con le proprie doti fisiche, intellettuali, morali e spirituali. Senza dimenticare che l’attuale emergenza demografica che attraversiamo – con tutto quel che consegue – dipende in buona parte dagli oltre sei milioni di bambini abortiti in Italia dalla entrata in vigore della Legge 194 ad oggi.
E per finire ricordiamoci pure che se oggi si va in pensione a quasi settant’anni, mentre i giovani la pensione la potranno solo sognare, è proprio perché un gran numero di bambini, ovvero i futuri lavoratori che avrebbero dovuto produrre e pagare quelle tasse e contributi da cui l’Inps attinge per la previdenza, vengono ammazzati in nome di un “diritto” del tutto soggettivo, oltre che arbitrario.
Quindi cancelliamo l’aborto dall’elenco delle prestazioni a carico del servizio sanitario nazionale. Se l’aborto deve essere un “diritto” esclusivo e insindacabile chi se ne vuole avvalere almeno se lo paghi.
A Maggio di quest’anno Pro Vita & famiglia ha presentato uno studio sui costi economici e sociali dell’aborto a 43 anni dall’entrata in vigore della legge secondo il quale sono stati bruciati dai 4,1 ai 5,6 miliardi per sopprimere 6 milioni di bambini nel ventre materno. Circa 120 milioni l’anno, ma la cifra potrebbe essere molto superiore, poiché come ha spiegato Benedetto Rocchi, professore associato al Dipartimento di scienze per l’economia e l’impresa dell’Università di Firenze, si tratta di «stime prudenziali perché i dati Istat sulle complicanze sono incompleti».
Tutto questo mentre la sanità italiana subiva, e subisce, tagli; costringendo le famiglie a pagare tiket sempre più salati e a rivolgersi alle strutture private per ottenere quelle prestazioni non più contemplate dal prontuario o evitare le attese talvolta bibliche nelle liste delle Asl. Soldi che sarebbe stato molto più utile spendere per altro, come abbiamo avuto modo di costatare proprio in occasione della pandemia, durante la quale molte delle le nostre libertà costituzionali sono state calpestate in nome di una emergenza provocata in buonissima parte dalla mancanza di posti nei reparti di terapia intensiva degli ospedali.
Riportando le cifre anche il professor Rocchi si è chiesto: «Alla luce di questi effetti controproducenti, perché finanziare l’aborto con i soldi dei contribuenti?».
Purtroppo in Italia siamo fermi alla provocazione, sassi lanciato nello stagno, come la proposta del capogruppo dell’Udc al Comune di Bologna, Mauro Sorbi, il quale nel 2014 ha proposto l’istituzione di un tiket sulle interruzioni della gravidanza; una “spending review etica”, da attuare facendo compartecipare alle spese, secondo la certificazione Isee, chi si sottopone all’intervento. La Asl bolognese tra il 2012 e il primo semestre 2013 aveva effettuato 1.380 aborti per una spesa a carico del contribuente di oltre 4 milioni di euro; questo mentre la riorganizzazione dei servizi sanitari a Bologna e provincia stava riducendo già del 20% circa i posti letto e del 27% i posti di guardia medica (la Repubblica).
Tuttavia c’è chi la questione l’ha presa sul serio, come il gruppo di deputati argentini guidati da Francisco Sànchez (nella foto su, con la moglie) che ha presentato un progetto di legge il quale, se approvato, consentirebbe l’obiezione di coscienza fiscale a quanti siano contrari all’aborto per ragioni morali, etiche, religiose o scientifiche. In sostanza la pratica abortiva, attingerebbe le risorse necessarie da un apposito fondo, senza più utilizzare voci di bilancio o sovvenzioni dalla Tesoreria nazionale. Il contribuente potrebbe a questo punto chiedere espressamente che i soldi versati in tasse non vadano ad alimentare tale fondo, evitando di partecipare col proprio denaro all’uccisione dei bambini nel grembo materno. Tale testo, per molti versi innovativo, potrebbe essere l’apripista ed introdurre così la possibilità dell’obiezione fiscale all’aborto anche nelle legislazioni di altri Paesi.