Il Milite ignoto ci ricorda l’unità (perduta) di una nazione

Il Milite ignoto ci ricorda l’unità (perduta) di una nazione

NEL CENTENARIO DEL PASSAGGIO DEL TRENO CHE PORTÒ LA SALMA DEL MILITE IGNOTO DA AQUILEIA A ROMA ALCUNI FATTI SU CUI RIFLETTERE

Di Gianmaria Spagnoletti

Nel centenario del passaggio del treno che portò la salma del Milite Ignoto da Aquileia a Roma, un altro treno ripete lo stesso percorso, giungendo oggi a destinazione. Da allora molto è cambiato: nel 1921 lo attendevano delle folle immense, tanto che il convoglio doveva rallentare e aggiungere tappe al viaggio. Oggi l’arrivo del treno commemorativo è solo una notiziola tra tutte, e per il resto regna l’indifferenza generale del pubblico.

Le celebrazioni del 4 novembre 2021 promettono di essere sottotono, esattamente come sono stati gli altri centenari del 2015 e del 2018 (per l’inizio e la fine del conflitto). Addirittura, il manifesto istituzionale che commemora il centenario del convoglio del Milite Ignoto è stato criticato dagli appassionati di storia per il suo pressapochismo: infatti vi appaiono le silhouettes di soldati americani (da un’immagine scattata più di vent’anni dopo!) e la cartina sullo sfondo sarebbe quella di un Paese sudamericano.

Come si può spiegare tale sciatteria “di alto livello”? Con l’ignoranza della materia? Con la corsa al risparmio sulla grafica? Con il disinteresse? Probabilmente con tutte e tre. Il messaggio sotteso è che la Grande Guerra “non vende più”, non fa “audience”, o se preferite non è più “trendy”. Non si insegna più la Storia d’Italia per timore di fare propaganda politica ed essere “divisivi” (altra parola ad effetto). I tempi in cui l’Inno del Piave scaldava il cuore dell’Onorevole Peppone sono ormai roba da film d’epoca, incompresa dalla maggior parte della popolazione.

Se però si studiasse più seriamente questo periodo storico, si vedrebbe che:

– A volere la guerra fu il governo liberale, non la popolazione (in maggior parte neutralista);

– L’Italia abbandonò l’alleanza con Austria e Germania per firmare un patto segreto (il “Patto di Londra”) le cui clausole, alla fine, non vennero rispettate;

– Molti soldati italiani (per lo più di estrazione contadina) vennero fucilati dietro accuse immotivate di codardia;

– La Prima guerra mondiale costò all’Italia 600 mila morti, e quasi altrettanti furono quelli menomati nel corpo e nello spirito.

– L’instabilità successiva al conflitto portò all’ascesa del fascismo e, in Germania, del nazionalsocialismo, ponendo le premesse per una nuova guerra mondiale.

In sintesi fu una guerra fatta contro l’interesse del popolo italiano, con lo scopo di togliere di mezzo l’Impero austro-ungarico. Nemico storico sì, ma anche Stato apertamente cattolico a differenza dell’Italia liberale e massonica. La riuscita di questo progetto distruttivo, tuttavia, non fu un guadagno.

La scomparsa dell’Impero diede via libera alla penetrazione del comunismo da una parte, e dall’altra del nazionalismo. Non per nulla, tutti i Paesi che lo componevano caddero sotto il tallone nazista o comunista meno di un quarto di secolo dopo.

Allora perché celebrare una catena di eventi così nefasta?

In primo luogo perché fa parte della nostra storia, della quale ogni capitolo va studiato serenamente.

In secondo luogo per onorare il sacrificio di milioni di soldati che, con lo zaino e il fucile a spalla, hanno compiuto gesta che oggi ci sembrano sovrumane: basti pensare alcune battaglie del fronte italiano sono state combattute sui ghiacciai, a temperature polari (le nostre montagne ne portano ancora le tracce).

Dall’”inutile strage”, che papa Benedetto XV tentò invano di fermare, è scaturita l’Europa moderna, con le sue ferite e cicatrici. Pur in quella tragica circostanza, i fanti italiani si ritrovarono insieme per la prima volta e uniti al di là delle loro radici regionali o locali, e poi rappresentati collettivamente da quel Milite Ignoto che fu scelto dalla mano di una madre, Maria Bergamas, per essere sepolto nell’Altare della Patria.

Noi nipoti e pronipoti, invece, siamo “specializzati” nel dividerci in fazioni. Fortunatamente non siamo in una guerra mondiale come nel 1918, tuttavia, quello che ci può insegnare per il presente la Prima guerra mondiale è che “l’unione fa la forza”; in caso contrario, da soli, rischieremo di soccombere.

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