Obbligo vaccinale, il giuslavorista Cerbone: “la compressione del diritto al lavoro è forte”

Obbligo vaccinale, il giuslavorista Cerbone: “la compressione del diritto al lavoro è forte”

di Matteo Orlando

COLPISCE LA MANCATA ESPLICITAZIONE, DA PARTE DEL LEGISLATORE, DELLA MOTIVAZIONE ALLA BASE DELLA ESTENSIONE DELL’OBBLIGO VACCINALE ALLA NUOVA PLATEA DI LAVORATORI, OLTRE AL FATTO CHE, A MONTE, LA DECISIONE APPARE SGANCIATA DALLA DECISIONE SUL PROLUNGAMENTO DELLO STATO DI EMERGENZA

“Io tengo molto al tema del linguaggio che il potere pubblico utilizza in questi tempi. Vorrei richiamare l’attenzione sulla necessità che chi ricopre cariche pubbliche adotti una comunicazione responsabile, senza eccessi nei toni e che soprattutto risulti informata al costante rispetto dei principi costituzionali. Non sarebbe male poi che chi ha responsabilità politiche di governo si facesse carico di risolvere i tanti problemi che insistono sulla condizione sanitaria dei cittadini (ospedali, scuole, trasporti, disagio emotivo delle persone fragili). Anche nei momenti di disorientamento, la bussola è sempre nella nostra Costituzione: rinunciare ad essa – anche per un solo momento – significherebbe rompere definitivamente il patto di fiducia tra cittadini e istituzioni pubbliche. Siamo ancora in tempo per impedire che ciò accada”.

A dirlo in questa intervista esclusiva di inFormazione Cattolica è il giuslavorista Mario Cerbone, professore aggregato di Diritto del Lavoro presso l’Università del Sannio. Formatosi all’Università di Napoli “Federico II”, il professor Cerbone è anche autore di numerose pubblicazioni scientifiche sui temi della dirigenza pubblica, dello sciopero nei servizi essenziali, del mercato del lavoro, della tutela antidiscriminatoria e, da ultimo, dell’impatto dell’emergenza sanitaria sul diritto del lavoro.

Professore, da giuslavorista come valuta l’obbligo vaccinale che gravita su medici e operatori sanitari da diversi mesi?

La decisione di imporre l’obbligo vaccinale per alcune categorie di lavoratori costituisce sempre una scelta “tragica” per il nostro ordinamento. Proprio per questo, essa deve rispettare precisi vincoli che la Costituzione pone all’azione del legislatore. Da giuslavorista, non discuto l’an della scelta legislativa, ma osservo punti di tensione nel quomodo della medesima decisione (specie all’indomani dell’ultimo intervento del d.l. n. 172/2021), che comprime – e per il personale sanitario da lungo tempo – i diritti dei lavoratori, anch’essi costituzionalmente riconosciuti.

Come giudica l’attività che stanno portando avanti i NAS alla ricerca “studio per studio” dei sanitari non vaccinati?

Bisogna sempre condannare fermamente episodi di violazione e/o inosservanza delle regole. In uno Stato di diritto, chi ritiene che le disposizioni normative siano ingiuste può (e deve) attivare la sua contestazione nelle sedi competenti. Detto questo, non posso non osservare come il fenomeno trovi le sue radici, con ogni evidenza, in quello che ho appena detto a proposito della scelta legislativa di azzerare il lavoro e la retribuzione di chi non vuole vaccinarsi. Imporre l’obbligo e colpire pesantemente i soggetti renitenti genera reazioni (sbagliate) come quelle da lei citate. Ma, ripeto, occorre inserire ogni contestazione e/o forma di dissenso sempre e comunque nell’alveo del rispetto delle regole vigenti.

Il prossimo 15 dicembre entrerà in vigore l’obbligo vaccinale per forze dell’ordine, militari ed insegnanti. Anche questo viola i principi del diritto del lavoro?

Valgono le medesime osservazioni critiche che ho fatto innanzi, avendo il legislatore esteso il modello previsto per il personale sanitario anche ad altre categorie di lavoratori. La compressione del diritto al lavoro è forte: si consideri che l’efficacia della sospensione (senza stipendio) di un insegnante o di un poliziotto che non si vaccina può protrarsi fino a 6 mesi dal 15 dicembre 2021. Quel che colpisce inoltre è la mancata esplicitazione, da parte del legislatore, della motivazione alla base della estensione dell’obbligo vaccinale alla nuova platea di lavoratori, oltre al fatto che, a monte, la decisione appare sganciata – al momento – dalla decisione sul prolungamento dello stato di emergenza.

Un insegnante può chiedere, ed eventualmente ottenere dal suo dirigente scolastico, la possibilità di svolgere la sua attività lavorativa in didattica a distanza?

Ecco, questo è un punto che io ritengo molto importante. Un recente dpcm (dell’ottobre scorso) ha, per esempio, vietato il ricorso allo smartworking per i dipendenti pubblici non in possesso del c.d. green pass. In mancanza di espresse previsioni sul punto, immagino che tale principio sarà invocato anche per coloro che, pur oggi obbligati, rifiutino la vaccinazione anti-Covid. Ebbene, se così dovesse essere, si avrà la dimostrazione di quello che ho detto prima a proposito della sproporzionalità della decisione assunta in rapporto alla finalità di protezione della salute pubblica. Sappiamo tutti infatti che lo smartworking è una misura naturalmente vocata alla prevenzione del contagio ed escluderla per principio, per tutti e in maniera generalizzata, risponde più che altro ad una logica punitiva dei comportamenti assunti dalle persone, non in linea con la finalità costituzionale di salvaguardia della componente collettiva della salute.

In molti si chiedono che fine abbiano fatto quasi tutti i sindacati che non difendono i diritti di quei lavoratori che, in base alla loro coscienza, e rispettando lo spirito della Costituzione, hanno scelto di non vaccinarsi. Lei che idea si è fatto?

Il sindacato attraversa da anni un processo di profonda crisi di identità che farebbe bene ad affrontare: ciò in quanto ha rifiutato, per spirito di conservazione, di misurare la propria rappresentatività tra i lavoratori. Avendo perso il contatto con la “base” dei lavoratori (penso soprattutto ai più giovani) è evidente che le sue scelte o le sue non scelte (come nel caso di specie) possano paradossalmente ritorcersi contro i lavoratori stessi, privati della rappresentanza dei propri interessi e della garanzia dei propri diritti, che, è appena il caso di ribadire, trovano larga considerazione nella nostra Carta costituzionale e che quindi avrebbero meritato ben altra attenzione.

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