E come… Eutanasia

di Giorgia Brambilla

L’ABC DELLA BIOETICA

La Dichiarazione Iura et Bona (5 maggio 1980) definisce l’eutanasia «azione o omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di evitare ogni dolore».

L’Associazione Medica Mondiale la definisce come: «atto con cui si pone deliberatamente fine alla vita di un paziente, anche nel caso di richiesta del paziente stesso o di un suo parente stretto».

Il dolore è insito nell’identità stessa dell’uomo. E l’umanità, provata, si cimenta con esso abbozzando risposte: ora lo sublima, ora lo subisce, ora lo percepisce come ineluttabilità.

Il dolore è qualcosa che si prova e che, al tempo stesso, mette alla prova. Ed è proprio l’elemento probatorio a condurre alla domanda stessa di senso e, dunque, all’elemento esistenziale: unde malum?

Se è vero, però, che nel dolore l’uomo è pienamente umano e riscopre la sua unità con l’umanità degli altri uomini, è altrettanto vero che uno dei tratti più sconvolgenti della sofferenza è dato dal fatto che essa traccia un vero e proprio solco di divisione intorno a chi soffre. 

In una società che ci vuole, per motivi di mercato, felici “per forza” e che, per aiutarci a ricercare la felicità, trasforma tutto in merce, compreso il benessere psico/fisico (Z. Bauman, Consumo, dunque sono), la sofferenza non è permessa. Da questa base, sorge la falsa e colpevole “soluzione finale” dell’eutanasia, la quale per eliminare la sofferenza elimina il sofferente.

In questa video-lezione de “L’ABC della Bioetica”, cerco di spiegare gli aspetti antropologici ed etici dell’eutanasia e, in un tempo in cui il dibattito divampa su questo tema, ricordo – come scrive la Lettera Samaritanus Bonus (25 giugno 2020)  che «quand’anche la domanda di eutanasia nasca da un’angoscia e da una disperazione e benché in casi del genere la responsabilità personale possa esser diminuita o perfino non sussistere, tuttavia l’errore di giudizio della coscienza – fosse pure in buona fede – non modifica la natura dell’atto omicida, che in sé rimane sempre inammissibile».

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