L’utilizzo disumanizzante delle tecnologie nelle fasi critiche o terminali della vita mette in pericolo i più deboli

di Mons. Francesco Cavina*

MONS. FRANCESCO CAVINA, VESCOVO EMERITO DI CARPI (MODENA), INTERVIENE SUL TEMA DEL “FINE VITA” ALLA VIGILIA DEL REFERENDUM CHE VORREBBE INTRODURRE L’EUTANASIA NEL NOSTRO PAESE

La Chiesa guarda con speranza e attenzione al progresso delle tecnologie biomediche, che hanno accresciuto enormemente le capacità della medicina in questi ultimi decenni, considerando provvidenziale e prezioso l’utilizzo di queste scoperte. Tuttavia, rimane attenta ad offrire il giusto discernimento morale per evitare un utilizzo sproporzionato e disumanizzante delle tecnologie, soprattutto nelle fasi critiche o terminali della vita umana, come evidenziato recentemente dalla Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede Samaritanus Bonus sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita (cap. I).

La riflessione sul fine vita non dovrebbe prendere spunto da una dottrina o da una speculazione astratta, ma dalla consapevolezza che tutti dovremo attraversare l’ultimo tratto della nostra esistenza terrena. Mi riferisco al passaggio da questa vita a quella eterna. I tempi e i modi sono stabiliti da Dio. A noi non è data la facoltà né di stravolgerli né di anticiparli. Nelle parabole e negli insegnamenti evangelici notiamo che l’iniziativa è sempre del Padre. È Lui che ci raggiunge. Noi siamo chiamati ad accogliere (la sua venuta) e ad essere pronti: «Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà» (Mt, 24, 42). E ancora: «Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così!» (Mt, 24, 46). 

È dunque Lui che viene, nell’ora che ha stabilito. Eppure, mai come oggi, la morte è anticipata. Prendiamo ad esempio la legge sul consenso informato e sulle DAT-Disposizioni Anticipate di Trattamento (l. n. 219 del 31 gennaio 2018). Nel testo viene affermato che ogni persona «ha il diritto di revocare in qualsiasi momento […] il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici» (art. 1, comma 5).

Nella legge la somministrazione di acqua e di cibo vengono considerati come “trattamenti sanitari” che possono essere interrotti su richiesta del paziente. Domandiamoci: quali sofferenze può patire il paziente lasciato morire di fame e di sete? Già nel 1986 una équipe di medici specialisti, su incarico di un giudice del Massachusetts (Stati Uniti), che aveva autorizzato il distacco del sondino naso-gastrico da un paziente in stato vegetativo, stilò un documento che descriveva la morte per disidratazione come agonia atroce.

A questo punto vale la pena di ricordare come san Giovanni Paolo II, nella Lettera apostolica Salvifici doloris (1984), chiarisca in modo illuminante come la vera compassione, se da una parte «promuove ogni ragionevole sforzo per favorire la guarigione del paziente», dall’altra «aiuta a fermarsi quando nessuna azione risulta ormai utile a tale fine». Di qui il rifiuto dell’accanimento terapeutico, il quale non è il rifiuto del paziente e della sua vita, ma rifiuto di intraprendere o decisione di interrompere una terapia sproporzionata ai fini del sostegno alla vita o del recupero della salute.

La sospensione della terapia, tuttavia, non deve fare venire meno la cura della persona: l’idratazione, la nutrizione, l’igiene ed altresì aiuti adeguati e proporzionati alla respirazione…Mi diceva un’infermiera che lavora in un hospice che è importante fare controllare un occhio, un orecchio, un ginocchio anche quando il malato è quasi giunto al termine della vita, perché il compito centrale di chi lavora nelle cure palliative è accompagnare ed aiutare a rimanere vivi fino alla fine, dentro ad una dignità insita nella persona umana. Tale precisazione si rende oggi indispensabile alla luce dei numerosi casi giudiziari che negli ultimi anni hanno condotto alla desistenza curativa – e alla morte anticipata – di pazienti in condizioni critiche, ma non terminali, a cui si è deciso di sospendere le cure di sostegno vitale, non avendo ormai essi prospettive di miglioramento della qualità della vita.

Concludo questa mia prima riflessione sul tema del fine vita richiamando un importante discorso di Papa Francesco sulla necessità che i cristiani affrontino e cerchino di correggere il contesto socioculturale attuale, poiché «sta progressivamente erodendo la consapevolezza riguardo a ciò che rende preziosa la vita umana. Essa, infatti, sempre più spesso viene valutata in ragione della sua efficienza e utilità, al punto da considerare “vite scartate” o “vite indegne” quelle che non rispondono a tale criterio» (Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’Assemblea Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, 30 gennaio 2020).

* Vescovo emerito di Carpi (Modena)

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