In un tempo di anoressia di buoni sentimenti e valori cristiani era necessario il Festival della Canzone Cristiana

In un tempo di anoressia di buoni sentimenti e valori cristiani era necessario il Festival della Canzone Cristiana

di Bruno Volpe

LA VOGLIA DI EVANGELIZZARE ATTRAVERSO LA MUSICA

Non mi sento l’anti Amadeus, ci mancherebbe altro“. Lo dice in questa intervista che ci ha concesso Fabrizio Venturi, cantautore fiorentino e direttore artistico del Festival della Canzone Cristiana che si è svolto a Sanremo dal 2 al 5 di Febbraio, in contemporanea col Festival della Canzone Italiana. Per tre giorni 23 artisti di musica religiosa hanno calcato il palco dell’auditorium di Villa Santa Clotilde, dell’Opera don Orione, proponendo testi di carattere religioso attraverso gli stili più diversi: dal pop, al rock, al rap, passando per la musica corale e lirica. Il religioso brasiliano Fra Vinicius ha vinto la prima edizione del Festival della Canzone cristiana con il brano “Vale la pena”, che racconta la storia della sua vocazione.

Venturi, da dove nasce il “suo” Festival?

“Nasce dalla voglia di evangelizzare attraverso la musica. In un momento tanto delicato, un tempo di anoressia di buoni sentimenti e  valori cristiani, era necessario. Credo che si possa portare un messaggio di speranza, di gioia, amore  e di pace con la musica. Viviamo un’epoca turbata dalla pandemia, da tanti problemi economici, sociali ed ecco che le note musicali, linguaggio che mai appassisce, possono infondere fiducia e lanciare nei cuori il messaggio cristiano che è appunto di speranza”.

Negli Stati Uniti e in America Latina, la Christian music è più diffusa rispetto all’Italia  e all’ Europa: perché?

“Forse una questione di mentalità. Ritengo che in fin dei conti la non cultura musicale porta a questo ed è un peccato. In effetti io ho lavorato negli Stati Uniti e da quelle parti il messaggio cristiano viene veicolato attraverso la musica con maggior intensità che da noi. Bisogna lasciar maturare i tempi”.

Come nasce il “suo” festival?

“Due anni fa. Eravamo a commemorare i cento anni di Giovanni Paolo II. Durante il Festival della Canzone Italiana di Sanremo mi dissi: ma perché si fanno canzoni sui ciclisti, sulla circostanze più svariate e su Dio no? E’ stata una scommessa, direi vinta”.

Si sente da direttore artistico l’anti-Amadeus?

“Assolutamente no. Io non ho nulla contro il Festival che mi diverte. Reputo che Amadeus sia un eccellente professionista, di valore. Basti vedere i risultati raggiunti non tanto oggi, ma l’anno scorso in un Festival colpito dalla pandemia. Preciso: il nostro non è affatto il contro Festival. Non mi sento l’anti Amadeus, per essere chiaro”.

Che pensa dell’ auto battesimo di Achille Lauro?

“Non è un grande cantante, ma sicuramente un bravo artista. Siccome al Festival non si improvvisa, ma tutto è provato prima, credo che quel gesto sia stato visto in anteprima dagli organizzatori e dai dirigenti Rai e se lo ha fatto evidentemente il significato è stato chiarito, penso che avrà spiegato la non blasfemia. Io non giudico, non è cristiano farlo. Probabilmente nel tempo capiremo il senso, oggi riesce difficile”.

Ma il vescovo di Sanremo Antonio Suetta è stato duro nel censurare…

“Io non sono il vescovo”.

Che le pare in generale del livello delle canzoni?

“Le canzoni oggi mancano di spessore. E’ come fare un abito di Gucci con la carta velina. In quanto a Sanremo è una vetrina di canzoni come qualsiasi rassegna, penso al salone dell’auto o del libro, a quello serve”.

Bilancio del vostro festival?

“Più che positivo, ne ha parlato Fiorello, tutta la stampa, radio Vaticana”.

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