Per prepararsi più intensamente alla celebrazione del mistero pasquale

di Giuliva Di Berardino

PERCHÉ LA DOMENICA DOPO LA V DOMENICA DI QUARESIMA VIENE DETTA “DELLE PALME“?

La denominazione viene dal fatto che, al termine della Messa, i fedeli portano a casa i rametti di ulivo benedetti, e, come simbolo di pace, vengono donati ai parenti e agli amici. In molte famiglie cristiane si usa anche che, nel giorno di Pasqua, il capofamiglia ne intinge un rametto nell’acqua benedetta durante la veglia pasquale, per benedire la tavola imbandita.

La domenica delle palme è una festa molto cara a tutti i cristiani: dai cattolici, dagli ortodossi e dai protestanti, perché, anche se cade durante la Quaresima, che termina il Giovedì Santo, primo giorno del cosiddetto “Triduo Pasquale”, è comunque la domenica che precede la settimana santa, quella in cui si rievocano gli ultimi giorni della vita terrena di Cristo e vengono celebrate la sua Passione, Morte e Risurrezione, realtà che fondano l’identità della fede in Cristo Gesù.

Se infatti esiste una variazione tra le fedi cristiane, non è sul tema della festa, ma sulla data della sua celebrazione, che è sempre relativa alla Pasqua: nella confessione cattolica la data è mobile e viene fissata in base alla prima luna piena successiva all’equinozio di primavera del 21 marzo, mentre per gli ortodossi la data oscilla tra il 4 aprile e l’8 maggio perché utilizzano il calendario giuliano e non quello gregoriano come i protestanti e i cattolici. Dunque, nonostante i tempi diversi, tutti i cristiani, con la domenica che precede la Pasqua, ricordano tutti lo stesso evento: l’ingresso di Cristo a Gerusalemme per la celebrazione della sua ultima Pasqua.

Si tratta di un racconto presente in tutti e quattro i Vangeli, anche se con alcune varianti, perché i vangeli di Matteo e Marco raccontano che la gente sventolava rami di alberi, o fronde prese dai campi, invece il vangelo di Luca non ne fa menzione. Solo la versione di Giovanni, in effetti, parla di palme (Mt 21,1-9; Mc 11,1-10; Lc 19,30-38; Gv 12,12-16). Questa varietà di arbusti indicati sembra essere semplicemente una tradizione ebraica che può essere riferita alla festività ebraica di Sukkot, la tradizionale “festa delle Capanne” che ancora oggi gli ebrei festeggiano per ricordare la benevolenza che Dio ha avuto con il suo popolo durante i40 anni del deserto, in cui la cura e l’amore di Dio si è manifestato al popolo attraverso il dono dell’acqua, scaturita dalla roccia e della manna, il pane venuto dal cielo.

Anche al tempo di Gesù gli ebrei festeggiavano Sukkot, in un modo molto suggestivo: arrivavano in massa in pellegrinaggio a Gerusalemme e salivano al tempio in processione, sventolando il lulav, cioè un piccolo mazzetto che, secondo la tradizione liturgica ebraica riportata nel libro del Levitico, è composto da rami di tre alberi diversi che avevano anche valore simbolico: la palma, simbolo della fede, il mirto, simbolo del desiderio di Dio e della preghiera, e il salice, simbolo del rispetto da avere verso Dio, legati insieme con un filo d’erba (Lv. 23,40).

Spesso attaccato al centro veniva inserito anche un frutto detto etrog (che potrebbe essere tradotto come cedro) simbolo del buon frutto che l’Israele riunito rappresentava per il mondo. La salita verso il tempio era ritmato da invocazioni di salvezza, la più comune è quella riportata anche nei vangeli: Osanna, in ebraico “Hoshana”. Per questo senso di unità del popolo che questa festa suggeriva, era molto sentita e partecipata, tanto che si riteneva che il Messia si sarebbe rivelato durante questa festa.

Nel Cristianesimo, in particolare nella lunga tradizione cattolica questa domenica aveva un nome diverso in passato: si chiamava Dominica de Passione Domini, mentre nella tradizione ortodossa, in particolare quella siriaca, si chiamava “domenica dell’Osanna”.

Nella liturgia latina la domenica di Passione conserva alcuni aspetti che ricordano il periodo antico, destinato a preparare più intensamente i fedeli alla celebrazione del mistero pasquale, come proprio la processione coi rami d’ulivo. Si tratta infatti di un elemento rituale antichissimo, posto come rito d’entrata in questa Messa, testimoniato dalla famosa pellegrina Egeria, una pellegrina in Terra Santa che oggi risulta essere una testimone antichissima di questo rito, come di molti altri, nel suo suo Diario di viaggio, scritto verso l’anno 380 a Gerusalemme. Sicuramente questo rito delle processione con i rami venne inserito nella liturgia latina solo a partire dal XI-XII secolo, dopo essersi diffuso prima in tutto l’Oriente, poi, dal VII secolo in Spagna, poi in Gallia e da qui giunto a Roma verso l’XI secolo.

La caratteristica di questo rito è che esso unisce pietà popolare e liturgia ufficiale così da qualificare questa domenica come una sorta di ingresso a tutta la settimana santa, pur comunque restando nella Quaresima. Tutte le celebrazioni che seguiranno la domenica delle palme, infatti, saranno incentrate sulla meditazione del mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo, fatta eccezione della Messa detta “crismale” o “messa del crisma”, celebrata nella mattinata del giovedì santo. In questa messa infatti si benedicono e si consacrano gli oli che serviranno per somministrare i sacramenti e che costituisce una specie di parentesi all’interno della settimana santa, in quanto non celebra un evento accaduto a Gesù raccontato nel Vangelo, ma serve a mettere in rilievo come i sacramenti della Chiesa sgorghino direttamente dal mistero pasquale.

Secondo le disposizioni della liturgia latina, la processione che inizia la celebrazione e che dà il nome alla messa e alla festa, è preceduta dalla benedizione dei rami e dalla proclamazione del Vangelo dell’entrata di Gesù in Gerusalemme: particolare molto importante, poiché ci fa comprendere che la liturgia non si limita a ricordare fatti passati, ma attualizza e rivive quello che ricorda, così che i fedeli accolgano e acclamino realmente Cristo, rappresentato dal vescovo o dal sacerdote che presiede la comunità. Per questo, le rubriche dispongono che, nella processione, il vescovo o il sacerdote cammini dietro alla croce in capo al suo popolo. La lettura del racconto evangelico è fatta ogni anno secondo uno dei Vangeli sinottici.

Nonostante oggi ricordiamo la domenica delle palme, com’è stato detto, a causa dell’antico rito di processione che si fa risalire alla tradizione ebraica dalle antiche radici bibliche, la liturgia ci orienta a focalizzare la nostra attenzione su Gesù e sulla sua ultima Pasqua. Per questo motivo la tradizione cattolica ricordava questa domenica come “domenica della Passione del Signore”, e, di fatto, la Passione del Signore resta sempre il grande tema che la Chiesa medita in tutto il corso di questa domenica.

Centro della celebrazione, infatti, è la proclamazione dell’intera Passione del Signore, letta anch’essa, ogni anno, secondo uno dei Vangeli sinottici, quindi secondo i racconti riportati nei vangeli secondo Matteo, Marco e Luca. Con le particolarità catechetiche e i rilievi propri di ciascun evangelista. La lettura dell’intera Passione secondo san Giovanni, invece, sarà proclamata nella particolare liturgia del venerdì santo.

In seguito a questo approfondimento spero che potremmo introdurci alla settimana santa aggrappandoci alla solida fede del popolo d’Israele che attende nella festa la manifestazione della gloria di Dio, consapevoli però, come popolo cristiano, che quest’attesa di salvezza si compie per noi nello scandalo della croce, nuova sapienza che conduce a una nuova vita, a una più profonda gioia. Che la domenica delle palme ci offri la possibilità di riscoprire sempre più il dono più grande che ci è stato fatto, quello di appartenere a Cristo, di poter vivere tra noi la comunione col Risorto, in unione alla sua Passione vissuta per amore nostro, e facciamo nostro il desiderio che la liturgia della Chiesa ci fa chiedere al Signore, nel giorno della domenica delle palme, nella preghiera di Colletta: “Dio onnipotente ed eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce, fa’ che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione, per partecipare alla gloria della risurrezione”.

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