La responsabilità sociale di impresa secondo Sant’Ambrogio
di Vincenzo Silvestrelli
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L’ATTUALE LIBERISMO PREDATORIO CHE PRETENDE DI DOMINARE IL MONDO TORNA A RENDERE ATTUALI LE AMMONIZIONI AI RICCHI DI SANT’AMBROGIO. SPECIE IN ITALIA, PERÒ, CI SONO ANCORA “ANTIDOTI” AL NICHILISMO DELL’ECONOMIA E DELLA FINANZA SENZ’ANIMA
Nel suo piccolo libro la “Vigna di Nabot” sant’Ambrogio (339/340-397) ci offre un significativo ritratto psicologico e morale del “ricco”, illuminandone i tratti alla luce della Sacra Scrittura che, come sappiamo, egli conosce profondamente.
Partendo dal noto episodio biblico tratto dal Libro dei Re (cap. 2) in cui si narra come il re Acaz sottrae una vigna uccidendo il proprietario Nabot, il Vescovo di Milano e Dottore della Chiesa illustra e sottolinea i comportamenti del ricco sovrano, attualizzandolo e rendendolo figura generale. È un ritratto che dà lo spaccato di una società complessa ed in crisi come era quella al tramonto dell’Impero Romano, in cui le differenze sociali erano elevate e gli strumenti di tutela dei poveri inesistenti. Il santo Vescovo prende le difese del povero e ammonisce il ricco. Il testo ha una sconcertante attualità. Come mai questa consonanza con l’epoca attuale? Forse perché il liberismo nichilista sempre più invasivo che caratterizza le nostre società ci riporta ad una situazione in cui il povero è solo e privo di effettive tutele. Anche oggi la responsabilità del ricco aumenta per il venir meno di un sistema sociale grazie al quale, nonostante indubbie criticità nel XX secolo, ma la tutela dei diritti era garantita da una democrazia partecipativa reale e dalla articolazione della società che permetteva la rappresentanza degli interessi più diffusi. La crisi della politica e la frammentazione sociale hanno portato invece nell’ultimo trentennio ad un isolamento che chiama ad una maggiore responsabilità il moderno ricco, cioè colui che ha risorse e potere. Parlando del ricco Ambrogio sottolinea come la sua pulsione fondamentale non sia il possedere per usare e far usare, ma il possedere per togliere agli altri e nascondere. Gli raccomanda quindi: «Sei il custode dei tuoi averi, non il padrone. Tu che sotterri l’oro sei l’amministratore, non il despota. Ma dove è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore. Dunque in quell’oro seppellisci nella terra il tuo cuore».
Questa caratteristica predatoria del ricco del tardo Impero sembra riguardare anche le élite finanziarie contemporanee che si accaniscono per creare enormi depositi finanziari anche attraverso giochi di mercato ormai scollegati dalla realtà. Oligarchi che non pensano minimamente ad investire per il miglioramento delle condizioni sociali, materiali e ambientali dei popoli. Come ricordava Ambrogio essi accumulano non per mettere a frutto ma per dominare non facendo possedere ad altri.
Contraria a questa astrazione della ricchezza dai bisogni della comunità è la responsabilità sociale delle imprese che rappresenta un modo concreto per esercitare l’attività economica, rispettando e valorizzando i diritti di tutti i partecipanti all’organismo complesso dell’impresa.
Essa ha una grande tradizione in Italia perché, prima di essere codificata nelle scuole di management, era applicata da molte delle imprese italiane. Ricordiamo le esperienze storiche più note di Olivetti e di Luisa Spagnoli (1877-1935) l’imprenditrice che ha ideato i Baci Perugina. Ma possiamo anche trovare esempi meno famosi ma diffusi come gli asili infantili per le lavoratrici del tabacco, le colonie per la Terni Acciai e gli investimenti per la formazione del personale della Sai Ambrosini di Passignano sul Trasimeno. Oggi è notevole l’impegno in queste pratiche della Ferrero.
In genere le aziende che praticano la responsabilità aziendale non come vetrina ma come concreta pratica coerente e voluta, hanno lavoratori motivati e sono in grado di competere meglio sul mercato. Dietro ci sono sempre proprietari e manager che hanno deciso di non sotterrare l’oro come ammoniva Ambrogio, ma di metterlo a disposizione per il bene della comunità.