La “famiglia di barbari”, un po’ scombinata ma felice, del cantante Pacifico

di Simona Trecca

DOMENICA PROSSIMA IL CANTAUTORE PACIFICO PRESENTERÀ IL SUO NUOVO LAVORO AUTOBIOGRAFICO DAL TITOLO “IO E LA MIA FAMIGLIA DI BARBARI” AL SALONE DEL LIBRO DI TORINO. INTERVERRANO IL GIOVANE SCRITTORE NAPOLETANO ALESSIO FORGIONE E IL MAESTRO ANTONIO LEOFREDDI CHE ACCOMPAGNERÀ L’ARTISTA IN UNA BREVE ESIBIZIONE DAL VIVO

Luigi De Crescenzo in arte Pacifico, nato a Milano nel 1964, è musicista, scrittore, autore e cantautore molto stimato nel panorama italiano. Vincitore di numerosi premi e presente per due volte sul palco del Festival di Sanremo (2004 e 2018), in questi mesi sta presentando in varie città il suo secondo romanzo “Io e la mia famiglia di barbari” (La nave di Teseo, Milano 2022, pp. 171, €18). Il prossimo appuntamento sarà questa domenica alla XXXIV Edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino.

Padre di Thomas Riccardo, nato nel 2011, Pacifico vive a Parigi e da diversi anni fa coppia fissa con l’attrice Cristina Marocco. Partendo dai suoi genitori, e allargandosi poi come per onde concentriche, nel nuovo libro narra delle radici familiari che in alcuni momenti della vita percepiamo soffocanti, ma che in realtà sono quelle cui poter sempre fare affidamento perché non smettono mai di nutrire e sostenere il nostro albero della vita. «Mio padre però – scrive in chiave autobiografica l’autore –, come tanti della sua generazione, si trascinava dietro radici piantate in un mondo ottocentesco, contadino».

I Campanici è il soprannome dato affettuosamente da Pacifico alla sua numerosa “tribù”, che gravita tutta intorno alla sua famiglia di origine a Pozzuoli (Napoli), prima di emigrare a Milano negli anni 1960, «una sessantina di persone legate dal sangue, dal primo grado, che si ritrovano per feste e ricorrenze». Il suo è quindi un libro di memorie, non fine a sé stesso ma figlio di una paternità che ha il dovere di tramandare alle nuove generazioni. Si tratta di ricordi recuperati nell’arco di oltre un secolo, come un distintivo da apporre sul risvolto della giacca e che svela al mondo a chi si appartiene. «Credo di fare buona cosa seminando tracce del mio passato nel suo futuro», afferma sicuro.

Io e la mia famiglia di barbari è un libro della maturità scritto a 58 anni, in cui rancori, sentimenti ed emozioni sono addolciti dalla distanza temporale e fisica (Pacifico come detto vive da tempo in Francia). Il vuoto spazio-tempo è colmato però da una fine ironia che non si trasforma mai in antipatico sarcasmo.

«Non ricordo libri per casa – racconta Pacifico a proposito della casa dei “suoi barbari” –. Il testo formativo di riferimento, vero tomo sottile su cui tutti passavano ore e spargevano sudore della fronte era La Settimana Enigmistica».

Della vera e propria poesia popolare promana da ogni immagine letteraria che leggiamo in queste pagine, con una prosa per nulla artefatta. Come quando scrive: «mia madre aveva nello schiaffo una folgore, sentivi il colpo e ti trovavi a massaggiarti la guancia senza nemmeno averlo visto partire».

Si percepisce in ogni sua descrizione dei genitori gratitudine e rispetto, per tutti i sacrifici sostenuti da Pia e Guido, uomini “d’altri tempi” ma su cui contare sempre.

Ad ogni componente della famiglia, Pacifico, assegna un soprannome per meglio definire la parte che ognuno rappresenta in questo “carrozzone circense”, rumoroso, variopinto.

Il Capo tribù è detto “il Sultano”, dal sorriso malizioso e occhi celesti, il capo incursore soprannominato “il Pirata” che non gli resistevi anche se sapevi che ti stava dando la fregatura, poi “la Carabiniera”, severa e maldicente, che era capace – con gelida fermezza – di rendere furibondo chiunque si trovasse di fronte.  Tutti personaggi che si muovono nel contesto di una farsa con picchi di drammaticità, in equilibri precari, il tutto ingentilito dallo sguardo poetico di chi, per mestiere, incanta con parole e musica…

Nel racconto orizzontale si intersecano verticalmente spaccati di realtà di una Italia che non c’è più: il boom economico degli anni ’60, la questione dell’emigrazione dal Sud al Nord Italia, le condizioni lavorative precarie, la realtà femminile, il passaggio generazionale, la veloce industrializzazione del Settentrione.

Il filo conduttore è la famiglia, con i suoi vizi e virtù, con i suoi segreti e drammi, con i suoi limiti e prospettive in un contesto storico di restrizioni e grandi sacrifici. Pacifico racconta della sua ampia famiglia in tutta obiettività, riconoscendone i giusti meriti: «E lì lo vidi il mastice, il collante che teneva insieme Pia e Guido, e con loro tutta la famiglia. Un impasto sapiente e involontario di forza di volontà, spirito indomito, capacità di utilizzare vantaggiosamente i pochi elementi a disposizione».

Elementi che nel corso degli anni si sono piuttosto persi e, con essi, il valore del matrimonio. Quindi fare memoria è doveroso per recuperare il buono che c’è stato nelle generazioni passate, evitando così la scomparsa della famiglia che, con una parola poco significativa ma che rende, è detta “tradizionale”.

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