Anche la parola di una donna, che accusa un uomo di violenza, può essere falsa!

Anche la parola di una donna, che accusa un uomo di violenza, può essere falsa!

di Dalila di Dio

IL #METOO È RIUSCITO A IMPORRE L’IDEA CHE LA PAROLA DI UNA DONNA CHE ACCUSA UN UOMO DI AVERLE USATO VIOLENZA SIA INCONFUTABILE. PER QUESTI UOMINI NESSUNA PRESUNZIONE DI INNOCENZA. DALLA SENTENZA DEL PROCESSO DEPP CONTRO HEARD ARRIVA LA SVOLTA?

Anche le donne mentono: è questo il vero, grande insegnamento che ricaviamo dalla sentenza del processo Depp contro Heard, all’esito del quale una giuria ha condannato l’attrice Amber Heard a risarcire l’ex marito per averlo diffamato, accusandolo di essere un violento picchiatore.

Da qualunque parte lo si guardi, questo verdetto ha principalmente il merito di ristabilire ciò che è nella natura delle cose ma che, purtroppo – in anni in cui alla natura delle cose si continua a sostituire la propaganda – non era più così scontato.

Persino una angelica ragazza dai capelli biondi, coi suoi occhioni luccicanti e il suo sobrio tubino, può mentire spudoratamente e in maniera totalmente spregiudicata accusare ingiustamente un uomo che sa essere innocente.

E adesso c’è un verdetto di un Tribunale a certificarlo. 

Nulla di più scontato, in realtà: le persone, tutte, uomini e donne, mentono. Per le più disparate ragioni: vendetta, interessi economici, bisogno di nascondere le proprie azioni sconvenienti. 

La menzogna è trasversale, eppure con l’avvento del #MeToo – quello strano miscuglio di malcelato desiderio di vendetta contro gli uomini, ricerca di visibilità ad ogni costo e rivendicazioni a 40 anni di distanza – nato nel 2017 negli USA (ça va sans dire), anche solo adombrare l’ipotesi che una donna potesse raccontare gli eventi in modo diverso da quello in cui si erano realmente verificati ha cominciato ad assumere i connotati della complicità col violentatore, della vittimizzazione secondaria e della becera solidarietà col maschio violento.

Chiunque osasse anche solo domandarsi come fosse possibile che una donna violentata da un produttore avesse continuato a lavorare per anni – ottenendo lauti guadagni, premi e parti da protagonista – con il produttore medesimo, ha rischiato di trovarsi conficcato in fronte il tacco della scarpa di Asia Argento (solo per dirne una) e – uomo o donna che fosse – è stato accusato di machismo, sessismo, sottomissione al patriarcato.

Insomma, con un editto corale delle sue promotrici, il #MeToo è riuscito a imporre l’idea che la parola di una donna che accusa un uomo di averle usato violenza sia inconfutabile. Per questi uomini nessuna presunzione di innocenza.

Pazienza per le contraddizioni, pazienza per le denunce arrivate a decenni di distanza, pazienza per le foto sorridenti accanto al violentatore: se una donna ti accusa, sei colpevole.

 

E lo sei a insindacabile giudizio della stampa mainstream, capace di condurre l’opinione pubblica ovunque voglia.

Intendiamoci, non stiamo sostenendo che tutte le donne che accusano un uomo di averle violentate mentano. Tra le protagoniste di quei mesi di attacchi feroci a ogni portatore di cromosoma y ci saranno state, certamente, donne che hanno subito il dramma dello stupro. Ma quante di loro, al contrario, hanno inventato, ingigantito, manipolato la realtà per un briciolo di ribalta?

La verità è che, probabilmente, non lo sapremo mai. Ciò che sappiamo è che, in alcuni casi, sono bastate le accuse mosse da una donna davanti a una telecamera – senza un’indagine, senza un processo, senza neppure una denuncia – per distruggere la carriera e la vita di uomini a cui non è stata lasciata neppure la possibilità di difendersi. Perché, in fondo, si trattava solo della parola di una contro quella dell’altro: e la donna non mente, per decreto del #MeToo.

O almeno non mentiva, fino a qualche giorno fa. Ora, per sua fortuna Jonny Depp dispone dei mezzi per trascinare in Tribunale la sua accusatrice e ottenere un verdetto in sole sei settimane (un uomo comune, un uomo italiano, probabilmente non impiegherebbe meno di sei anni ad ottenere una sentenza che lo scagioni).

C’è, comunque, voluta una giuria e un penoso processo mediatico, a tratti sconfinato nel grottesco, per ristabilire ciò che è ovvio ma troppo spesso taciuto. 

Le donne mentono, dentro e fuori dai Tribunali. Amber Heard ha mentito. E le sue menzogne sono un oltraggio, prima ancora che a Depp, a tutte le donne veramente vittime di violenza che attendono giustizia.

Nel frattempo, l’attrice, adusa al piagnisteo come poche, ha definito la sentenza “un passo indietro per le donne”. Certamente lo è. Per le calunniatrici. 

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