Cappato punta al “diritto assoluto di morire”: uccidersi come, quando e perché lo si vuole

di Jacopo Coghe

PERCHÉ MARCO CAPPATO TORNA ALLA CARICA AIUTANDO UN’ALTRA PERSONA A SUICIDARSI E AUTODENUNCIANDOSI NUOVAMENTE IN TRIBUNALE? PERCHÉ HA UNA STRATEGIA EUTANASICA DA SEGUIRE E GUARDA CASO SI PRESENTA CON UNA PROPRIA LISTA, “REFERENDUM E DEMOCRAZIA“, ALLE ELEZIONI DEL 25 SETTEMBRE

In queste ore si è tornati a parlare con insistenza di suicidio assistito ed eutanasia. L’attivista radicale Marco Cappato ha aiutato una cittadina italiana malata di cancro a suicidarsi in Svizzera. Una vicenda molto simile a quella organizzata dallo stesso Cappato anni fa per agevolare il suicidio assistito di Fabiano Antoniani (“Dj Fabo”). In entrambi i casi Cappato si è poi autodenunciato in Tribunale per la collaborazione prestata alle vittime.

Prima della vicenda di Fabo, infatti, la legge italiana vietava in modo assoluto qualsiasi collaborazione al suicidio di altre persone. Purtroppo, dopo quella vicenda e proprio a seguito dell’autodenuncia di Cappato, la Corte Costituzionale decise che, in presenza di certe condizioni, aiutare altri a suicidarsi non è un reato. Le condizioni furono ritenute sussistenti nel caso di Fabo, e per questo Cappato venne assolto dall’accusa di aiuto al suicidio.

Perché oggi Cappato torna alla carica aiutando un’altra persona a suicidarsi e autodenunciandosi nuovamente in Tribunale? Perché tra le condizioni poste dalla Corte Costituzionale dopo il caso di Fabo c’è anche il fatto che il malato in questione deve dipendere da sostegni di trattamento vitale. Ovvero, strumentazione medica che tiene in vita il paziente ad esempio consentendogli di respirare o alimentarsi. Cappato ritiene questa condizione “discriminatoria” nei confronti di quei malati che non dipendono da alcun sostegno di trattamento vitale. Come i malati oncologici.

Ecco perché, stavolta, Cappato ha accompagnato a morire in Svizzera una paziente malata di cancro e si è di nuovo autodenunciato. Cappato spera che, nell’ambito di un nuovo processo, i giudici italiani possano reinterpretare le condizioni poste dalla Corte Costituzionale e affermare che, anche in questo caso – anche in assenza di dipendenza da tali sostegni vitali – aiutare altri a suicidarsi è legittimo.

L’obiettivo di Cappato è fare in modo che chiunque lo voglia possa uccidersi o essere ucciso a prescindere dallo stato o dall’entità della malattia, e anzi anche a prescindere dall’esistenza stessa di una malattia. È il cosiddetto “diritto assoluto di morire” come, quando e perché si preferisce. Se, per qualsiasi motivo, io non voglio più vivere, lo Stato deve garantirmi il diritto di uccidermi o di essere ucciso in modo “degno”, cioè secondo certi protocolli medico-sanitari.

Se vincerà la “cultura dello scarto”, la mentalità eutanasica si trasformerà in un vero e proprio buco nero capace di divorare ogni forma di sofferenza, depressione o ‘stanchezza’ di vivere. Per non parlare di chi userà il suicidio assistito o l’eutanasia per terminare una vita considerata ‘fallita’ dal punto di vista affettivo, familiare, lavorativo, economico…

Quello in corso è uno scontro di civiltà. Da una parte la civiltà dell’amore, della vita, della solidarietà, dell’accoglienza e dell’accompagnamento della persona anche nella sofferenza. Dall’altra la civiltà del cinismo, dello scarto, della morte, della soppressione brutale di una vita umana, della falsa “pietà” e di una falsa “dignità”.

Questo è il momento di essere certi da che parte stare. Noi non abbiamo alcun dubbio. Dalla parte della Vita, sempre e comunque.

 

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