Nonno Paolo non firma per l’eutanasia

Nonno Paolo non firma per l’eutanasia

di Nicola Sajeva

IL DOLORE, LA MANCANZA DI CALORE AFFETTIVO, IL SENTIRE NON PIÙ APPREZZATA LA PROPRIA VITA, DETERMINANO ATTEGGIAMENTI CHE STANNO AGLI ANTIPODI CON L’INNATO PRINCIPIO DI AUTO-CONSERVAZIONE

La storiella è vera; il nome del personaggio per ovvi motivi è inventato.

Nonno Paolo viveva l’esperienza del declino fisico sullo sfondo di una vita trascorsa nella normalità del lavoro di contadino e di piccolo allevatore. La fede semplice che illuminava la sua vita gli faceva apprezzare e proporre, con la sua testimonianza, i valori più importanti dell’esistenza.

Mitezza, saggezza, pazienza, lungimiranza avevano costituito i supporti principali del suo modo di essere. La malattia, con la progressiva perdita dell’autosufficienza, aveva determinato inesorabilmente fragilità, debolezza e tentazione di mettere in discussione, di tanto in tanto, le motivazioni della sua esperienza terrena. In questo crogiolo di sentimenti aggiungiamo ancora una incalcolabile delicatezza che si manifestava come desiderio di non pesare, più di tanto, sul ménage dei familiari che lo accudivano con prontezza, rispetto, riconoscenza e venerazione.

Lo spunto per stendere questa riflessione è partito durante un mio incontro con questo nonnino che, per la delicatezza cui accennavo prima, manifesta al Creatore un desiderio, tanto poco radicato nel suo cuore da svanire alla prima verifica: “Perché il Signore non mi chiama?”. Siamo di fronte ad un insano desiderio di accelerare i tempi della partenza definitiva, ma nel rimettere la decisione al Signore si viene a realizzare un forte sconto sulla gravità di tale richiesta.

Testimone di quanto sto raccontando, decido di testare la convinzione di tale domanda incalzando con una battuta, volontariamente spiritosa, per sdrammatizzare l’atmosfera: “Per mandare avanti la sua richiesta è necessario firmare una semplice domandina!”. Raccogliendo tutte le energie, e con una decisione libera da alcun patteggiamento, risponde convinto: “Non firmo! Non firmo!”. Un sorriso chiude tutte le ulteriori argomentazioni e le nuvole appena scorte all’orizzonte guadagnano in fretta tutte le possibili vie di fuga.

Non firmo! La voglia di vivere ritorna prepotentemente e la richiesta al Signore per sospendere il suo permesso di soggiorno tra i mortali rimane senza radici. Nonno Paolo, sicuramente non aggiornato sulle crescenti ondate di sensibilizzazione per promuovere il radicamento culturale dell’eutanasia, con la sua decisione di non firmare aveva involontariamente gettato un peso consistente sull’altro piatto della bilancia.

Queste poche note non desiderano solo trafficare il principio cristiano a favore della sacralità della vita dall’inizio fino al suo compimento naturale, ma intendono anche muoversi nel campo laico e lavorare sulla seguente chiara e semplice proposizione: l’uomo non desidera morire, se….. Riempire questi puntini è la meta che intendo pormi.

Il dolore, la mancanza di calore affettivo, il sentire non più apprezzata la propria vita, determinano atteggiamenti che stanno agli antipodi con l’innato principio di auto-conservazione o, con un termine molto in voga, di autostima. Spianare la strada allo studio e alla ricerca delle terapie contro il dolore, incrementare il numero dei presidi dove si praticano le cure palliative, fare in modo che all’anziano, al malato, definito con un brutto aggettivo, terminale, non venga mai meno il calore di una carezza che riesce a trasmettere tutte le delicate intensità dell’amore, sono strade che, non percorrendo le condannabili strategie dell’accanimento terapeutico, sono in grado di determinare serenità esistenziale, voglia di continuare a vivere l’avventura della vita, piacere di dialogare, scelta di andare avanti, trepida attesa di ulteriori aurore.

L’amore è la forza creatrice che regala imprevedibilità, emozioni inedite, decisione di non tirare su le ancore quando le nostre vicende umane sembrano aver imboccato vicoli senza uscita. E poi, al di sopra di tutto ciò deve aleggiare sempre la speranza che la ricerca, nel tempo, possa individuare qualche terapia risolutrice.

Si parla di eutanasia perché un cieco efficientismo, un eventuale saldo economico in rosso, la possibilità di compromettere gli obiettivi che oggi vanno per la maggiore, trovano spazio vitale per rappresentare le sceneggiate di un falso e quindi distorto pietismo. Ed è così che tutti i sentimenti risultano zavorra ingombrante da essere rimossa con ogni mezzo per dare posto alla civiltà dell’apparire, della vanità e dell’insulsaggine. Oggi molti sono disposti a firmare perché preferiscono uscire da un vuoto affettivo, fanno esperienza della gelida indifferenza che emargina dalla vita di relazione e introduce nello squallore raggelante della solitudine.

Cerchiamo di ricomporre i cocci di tutto quanto parla di sacrificio, di rinuncia, di abnegazione, di donazione gratuita, di altruismo, di vero amore, di Dio. Solo allora la soluzione offerta dall’eutanasia ci apparirà nella sua tremenda crudeltà.

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