Insegnante si rifiuta di usare il linguaggio transgenderista: ha ragione, rispetta l’anatomia umana, ma finisce nella bufera!
di Angelica La Rosa
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UN CORAGGIOSO PROFESSORE DEL LICEO CAVOUR DI ROMA SI È RIFIUTATO DI RICONOSCERE L’IDENTITÀ DI GENERE MASCHILE DICHIARATA DA UNA STUDENTESSA DOPO L’APPROVAZIONE NELL’ISTITUTO DELLA COSIDDETTA “CARRIERA ALIAS” PER STUDENTI TRANSGENDER
Il liceo Cavour di Roma, lo scorso anno scolastico, ha approvato un articolo del regolamento d’istituto che ha approvato la carriera omosessualista chiamata «alias», ovvero la possibilità per gli alunni di avere un’identità differente rispetto a quella legale, cioè quella anagrafica.
Nei giorni scorsi, secondo quanto hanno denunciato alcuni studenti, un docente si sarebbe rifiutato di applicare questo articolo 4 del Regolamento d’Istituto, correggendo il nome “alias” scelto da una alunna che si è firmata (sul compito in classe) con un nome maschile. Il docente avrebbe detto: “davanti a me ho una donna, non posso riferirmi a te diversamente. Non mi interessa cosa dice il regolamento“.
Inutile sottolinearlo, il rifiuto del docente di accettare lo studente con il suo nome maschile, un rifiuto protetto dalla legge italiana perché la carriera alias non esiste nella legislazione italiana, ha sollevato le proteste dei liceali che parlano di “transfobia” e chiedono “provvedimenti disciplinari e legali nei confronti del docente“.
L’associazione Pro Vita & Famiglia ha espresso la massima solidarietà al docente del Liceo Cavour di Roma che si è giustamente rifiutato di sottostare alla cosiddetta “carriera alias”, “un regolamento ideologico e dannoso per i giovani ma soprattutto totalmente illegale, privo di qualsiasi base giuridica e contrario a numerose norme civili, amministrative e penali. La scuola non ha alcun potere di alterare i dati anagrafici dei minori nei documenti e negli atti interni sulla base di autodichiarazioni o di percorsi terapeutici che non hanno portato a diagnosi definitive e alla sentenza di riattribuzione del sesso come previsto dalla legge italiana in materia“.
Secondo Jacopo Coghe, portavoce della Onlus, la comunità scolastica “non può essere obbligata ad adeguarsi acriticamente alla percezione soggettiva di uno studente sulla propria identità, specialmente in un frangente culturale in cui i giovani sono bombardati dalla vera e propria moda dell’identità fluida. La sola ipotesi che il docente possa subire qualsiasi tipo di conseguenza, disciplinare o legale, per aver rispettato la legge italiana, è inquietante e anzi chiediamo che sia tutelato dalla dirigenza scolastica, dall’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio e dal Ministero dell’Istruzione“.
“Come Family Day esprimiamo piena solidarietà al professore del liceo Cavour di Roma che si è rifiutato di appellare in maniera neutra una studentessa donna. Pur comprendendo la delicatezza dei problemi relativi alla disforia di genere, siamo convinti che avallare acriticamente strampalate teorie contribuisca ad alimentare quella che sembra una vera e propria epidemia adolescenziale, con tratti dal sapore più ideologico che clinico”, ha dichiarato il neurochirurgo professor Massimo Gandolfini.
“Per questo motivo chiediamo al Ministro dell’Istruzione Valditara che sia fermato il riconoscimento della cosiddetta carriera alias che alcune scuole portano avanti e usano come una clava per impedire il libero pensiero. La carriera alias propugna l’autopercezione di sé slegata da qualsiasi dato biologico, con registri in cui appaio speciali categorie di identità sessuali fluide e che consentono cambi di identità senza nemmeno che sia stato intrapreso un percorso di transizione. Tutto questo non porta alcun beneficio a bambini e minori che sono in una fase di strutturazione della propria personalità e che affrontano una fase critica dell’adolescenza, su cui non dovrebbe soffiare alcune spinta ideologica”, ha sostenuto il leader del Family Day.
“Tra l’altro, come dimostrano le esperienze di altri Paesi che stanno facendo marcia indietro, la carriera alias crea un enorme danno nella costruzione della personalità del bambino o del giovane, introducendo elementi di confusione che destrutturano lo sviluppo organico della psiche. Bagni gender, carriere alias, schwa e asterischi non sono simboli di inclusione ma di un’offensiva ideologica tesa a creare ancora più fragilità nella mente dei minori”, ha concluso il medico lombardo.
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